DOI 10.35948/2532-9006/2022.16704
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Il lievito, il pane, le paste lievitate sono da sempre cibo universale, conosciuto e diffuso in ogni parte del mondo, con procedimenti e consumo che possono variare da cultura a cultura, ma alla base dell’alimentazione della maggior parte degli esseri umani. La panificazione è una pratica arcaica, domestica e fondata su materie prime di estrema semplicità, la farina e l’acqua (sufficienti come base per il lievito madre, mentre per altri tipi di lievito si aggiungono agenti lievitanti come lievito di birra, yogurt, miele, che favoriscano la proliferazione dei microorganismi) da cui si ottiene il lievito, quella parte di impasto fermentato necessario a rendere leggeri, gonfi e soffici altri impasti, in primo luogo il pane, ma anche paste lievitate dolci e salate di ogni tipo.
Ormai da qualche decennio assistiamo, a livello globale, a una forte specializzazione del settore gastronomico che ha prodotto come conseguenza, tra le molte altre, l’emergere di figure professionali che non esistevano, o che non erano riconosciute come tali, e che hanno determinato la nascita e la diffusione di nuove denominazioni. Da quando l’umanità fa il pane lievitato una delle operazioni più delicate a cui rivolgere un’attenzione speciale è stata quella di fare il lievito, di conservarlo, di non farlo “morire” per continuare a utilizzarlo. Tradizionalmente questo era uno dei tanti compiti di chi si occupava di fare il pane, in casa o nei forni dei panettieri, oltre a impastare e cuocere. Con l’avvento della panificazione meccanizzata e industriale le diverse operazioni, dalla miscela degli ingredienti all’impasto fino al prodotto finale, si sono distinte e tecnicizzate tanto da richiedere operatori specializzati addetti esclusivamente a ciascun singolo passaggio della produzione ed esperti nell’utilizzo delle macchine (bilance di precisione, impastatrici, forni professionali, ecc.). E già l’introduzione delle macchine nei laboratori e nelle pasticcerie ha determinato alcuni cambiamenti nel lessico settoriale: proprio la denominazione della figura professionale che recentemente troviamo citata come lievitista (vedremo quanto affermata ed effettivamente riconosciuta nell’uso e nella lessicografia contemporanea) era contemplata in italiano nella forma lievitatore. Il sostantivo lievitatore è registrato nel GDLI [vol. XI, 1975], indicato come nome d’agente derivato dal verbo lievitare, e nel GRADIT, che lo data al 1966 evidentemente sulla base del Dizionario delle professioni (a cura del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Roma, 1966) con la seguente definizione: “(fem. -trice), operaio addetto a preparare e a sorvegliare le varie operazioni della lievitazione della pasta nei panifici e nei laboratori di pasticceria”. Attualmente il termine lievitatore è utilizzato per indicare ‘la cella (o armadio) di lievitazione’, una macchina professionale (ma ce ne sono anche versioni domestiche) che permette di accelerare i tempi di lievitazione degli impasti, come viene descritto in uno degli innumerevoli siti di commercializzazione del prodotto:
La cella di lievitazione o lievitatore professionale, viene utilizzato [sic] dai panifici, pasticcerie e pizzerie per accelerare i tempi di lievitazione degli impasti. La camera di lievitazione può essere regolata da 30°C a 60°C a seconda delle proprie esigenze. (chefline.it, "Lievitatori per pane e pasticceria")
È solo uno dei tanti esempi possibili per vedere come le parole possono piegarsi a significati nuovi al variare dei contesti e dei bisogni: il lievitatore, da nome d’agente riferito a una persona addetta alla lievitazione, è diventato il nome della macchina che permette di far lievitare maggiori quantitativi di impasto in tempi più rapidi. In parallelo è lievitato a dismisura (è proprio il caso di dirlo) il fenomeno dell’arte della gastronomia specializzata, che ha assunto negli ultimi decenni grande pervasività attraverso il moltiplicarsi di offerte formative, di divulgazione e spettacolarizzazione di tutto ciò che ruota intorno alla preparazione e alla consumazione del cibo. Se sul piano sociale e del lavoro tutto questo ha creato nuove specializzazioni, nuovi percorsi professionali e un notevole innalzamento di livello nella considerazione sociale di chi si dedica alla ristorazione in senso lato, dal punto di vista linguistico il fenomeno ha prodotto almeno due effetti: all’interno del settore, si è costituito un lessico gastronomico molto più specifico e tecnicizzato, funzionale alla trasformazione sempre più consolidata dell’arte culinaria in scienza vera e propria (già Pellegrino Artusi aveva intitolato il suo ricettario “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” e ormai sono numerosi i corsi universitari di Scienze e tecnologie alimentari); sul versante dei parlanti non professionisti, che comunque necessariamente hanno a che fare quotidianamente con il cibo, si assiste a una costante e pervasiva esposizione a un lessico tecnico, o almeno settoriale, a quell’italiano che Giovanna Frosini ha definito “gastronomico”. Così la massa dei parlanti è stata raggiunta da un gran numero di termini che non avevano mai circolato nelle cucine e nei salotti casalinghi e operazioni e nomi di professione specialistici sono entrati nella lingua comune e tendono a diffondersi. Questo ovviamente non ha come effetto automatico l’accoglimento nei dizionari di tutti questi termini, molti dei quali restano entro i confini degli addetti ai lavori. Tutto questo per cercare di spiegare perché il nostro lievitista sia effettivamente assente dai dizionari contemporanei benché se ne inizino a trovare attestazioni in rete, sui giornali e in pubblicazioni specializzate. In realtà però, non se ne trova traccia neanche in un glossario tecnico come l’Atlante del lavoro dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, dove la corrispondente figura professionale è indicata con la perifrasi “addetto preparazione lieviti”.
Per approfondire le sfumature semantiche che ha assunto il termine negli ultimi anni dobbiamo vedere in sintesi le caratteristiche formali. Dal punto di vista morfologico lievitista, che possiamo definire una parola nuova anche se, come vedremo, per il momento circola prevalentemente in ambienti circoscritti e in rete, è il risultato dell’aggiunta alla base lievito del suffisso -ista, attualmente il più produttivo dell’italiano per quanto riguarda la derivazione nominale (M.G. Lo Duca, in Grossmann-Rainer 2004, p. 206). Tra gli innumerevoli valori semantici che il suffisso può assumere (per cui si rimanda a Lo Duca, in Grossmann-Rainer 2004, p. 207), in questo caso specifico abbiamo quello di ‘addetto/a al N’; quindi il/la lievitista è ‘un/una professionista, esperto/a di lievito’. Tecnicamente si tratta di un nome di agente (o agentivo), un nome cioè che individua chi compie un’azione, ma il suffisso -ista non è l’unico in italiano con cui si formano nomi di questo tipo; un altro, molto diffuso anche se ormai meno produttivo (che si lega però a basi verbali e non nominali) è -tore (di muratore, lavoratore, agricoltore, ecc.), lo stesso che troviamo in lievitatore citato poco sopra. Il suffisso -ista presenta alcune caratteristiche che gli hanno garantito la tenuta nel tempo e, possiamo dire, un maggior prestigio (su questo si rimanda anche alla scheda neologica su ortista di Simona Cresti): in primo luogo, come notava già Bruno Migliorini per i nomi che indicano professioni, il suffisso -ista porta con sé un tratto di modernità, di tecnicismo qualificante, “un’aura di maggiore distinzione” (Bruno Migliorini, Correnti dotte e correnti popolari nella lingua italiana, in “Lingua Nostra”, 1939, 1, pp. 1-8: 6); ha poi il “vantaggio”, al singolare, di non richiedere la flessione per genere, ovvero può essere riferito a nomi maschili o femminili senza variazione della forma (il/la lievitista, per -tore abbiamo il femminile -trice) e, inoltre, trova piena corrispondenza con altre lingue di prestigio come il francese (nella forma -iste) e l’inglese (-ist), nelle quali ugualmente ricorre nei nomi di professioni maggiormente qualificate e altamente specializzate: si pensi solo a pianista, francese pianiste e inglese pianist (su questo si rimanda a Maria G. Lo Duca, Italiano: la formazione delle parole, Roma, Carocci, 2020, pp. 48-51). Nel nostro caso specifico, inoltre, lievitista permette di distinguere la persona dal già citato lievitatore ‘mobile da lievitazione’ e risponde molto bene ai nuovi bisogni comunicativi della società contemporanea e all’innalzamento ad arte della pratica culinaria che, per essere riconosciuta tale, deve vantare professionisti di altissimo livello tecnico, oltre che creativo e manuale.
Come accennavamo lievitista non è attestato in nessun dizionario contemporaneo (e questo non stupisce visto che i dizionari generali operano una drastica selezione del lemmario e quindi una parola tecnica, non adoperata al di fuori del settore di riferimento, ha scarse possibilità di essere accolta), non è segnalato in nessun repertorio di neologismi, ma è diffuso, soprattutto in rete, almeno dai primi anni del Duemila con un costante aumento delle occorrenze a partire dal 2019. Sulle pagine in italiano di Google (al 19/1/2022) la ricerca su lievitista restituisce 5.990 occorrenze (in aumento costante dal 2019: 281r.; 2020: 442r.; 2021: 701r.); 4.590 occorrenze per il plurale lievitisti (con la stessa tendenza dal 2018: 124r.; 2019: 207r.; 2020: 365r.; 2021: 423r.).
Google libri recupera un’attestazione, isolata e che andrebbe verificata con ricerche più approfondite, molto lontana nel tempo, nel 1939, all’interno della “Rivista di commissariato e dei servizi amministrativi” in quella che sembra essere (il brano riportato è uno stralcio e non permette di capire il contesto) una disposizione sulla procedura della preparazione dell’impasto lievitato per fare gallette (per i militari?): “lievitista dovrà così distribuirlo alle squadre impastatrici: kg. 30 per il 1° impasto - galletta; dopo 20 minuti: kg. 29 per il 2° impasto - galletta; dopo 20 minuti: kg. 27 per il 3° impasto - galletta; con i rimanenti” (p. 407).
Grazie poi alla ricerca delle eventuali apparizioni del termine sui quotidiani, ho potuto imbattermi in un’altra sporadica occorrenza di lievitista in un annuncio economico pubblicato sul quotidiano “La Stampa” nel 1969 (identico per due giorni successivi):
ARMA Taggia dolciaria «B.B.» di Borgotallo […] cerca subito pasticciere lievitista. Buona retribuzione, posto fisso. (Annunci economici, “La Stampa”, 3 e 4/12/1969)
Anche se quest’unica occorrenza non consente certo di ipotizzare una diffusione del termine a partire dal 1969, il sintetico testo dell’annuncio ci rivela qualcosa sul significato di lievitista che trova conferme nell’uso odierno: è associato con valore aggettivale alla qualifica di pasticciere e quindi identifica una figura professionale che opera nei laboratori di pasticceria e che si occupa nello specifico di lievitazione di impasti dolci. La presenza del termine è subito intercettata e registrata nella rubrica Nuova nomenclatura professionale della rivista “Lingua Nostra” (XXXI, fasc. 1, 1970, p. 33): “lievitista, chi è addetto alla produzione di pasticcerie lievitate (lieviti)”.
Negli ultimi anni, un forte impulso alla definizione di questa figura professionale è senz’altro da attribuire al rinnovato interesse per la lievitazione naturale e al ritorno all’impiego del lievito madre: Marco Gobbetti (coordinatore del gruppo di ricerca dei Laboratori Micro4Food), uno dei massimi esperti mondiali di lievitazione naturale, ha curato, insieme a Raffaella Di Cagno, un’ampia rassegna di articoli scientifici proprio sul lievito madre (Thirty years of knowledge on sourdough fermentation: A systematic review, in “Trends in Food Science and Technology”, febbraio 2021), in cui sono state estratte dai principali database scientifici nel settore delle Scienze e Tecnologie alimentari le ricerche più significative apparse negli ultimi trent’anni. Da questa rassegna emerge che, dagli inizi degli anni 2000, la ricerca sulle potenzialità della fermentazione naturale ha dato il via a un rinnovato utilizzo del lievito madre anche nell’industria alimentare, in seguito al consolidamento dei dati scientifici che dimostrano i grandi vantaggi – di sapore e profumo innanzitutto, ma poi nutrizionali, di digeribilità, addirittura di prevenzione di malattie – del lievito madre rispetto agli altri lieviti (di birra o artificiali).
In questo contesto inizia a profilarsi la figura del lievitista, agli inizi degli anni Duemila, ancora difficile da definire e da trovare:
In stabilimento vengono inserite 20 persone: addetti di linea, impastatori e lievitisti sono figure professionali difficili da individuare: sono gli esperti che si occupano di tenere sempre in vita i fermenti da una stagione all’altra. Tema tanto importante da aver dato vita a una inconsueta solidarietà tra aziende concorrenti. (Cristina Coglitore, 250 trovano pane e dolci, “Corriere Lavoro”, 8/2/2002)
Anche in rete cominciano a comparire rubriche e forum in cui si chiedono e si offrono consulenze in materia di lievitazione:
Non mi rispondere che non sei lievitista, perchè [sic] ciò che tu sai in materia mi basta ed avanza (ho seguito anche un corso sui grandi lievitati). (Rubrica Esperto on-line del sito pasticceriainternazionale.it, 09/03/2003)
E alcuni pizzaioli e pasticcieri iniziano a fregiarsi del titolo di specializzazione di lievitista:
Chef Prete viene riconosciuto non come semplice pizzaiolo, bensì come lievitista. Perché sono gli impasti il vero fiore all’occhiello della sua proposta culinaria e la peculiarità che differenza le sue creazioni dalle altre pizze gourmet. Impasti innovativi, buoni e digeribili, frutto di ricerca e sviluppo costanti. (Una storia d'amore. La mia storia, www.massimilianoprete.it, 2021)
Ogni singolo panettone è lavorato a mano, con gesti artigianali che permettono di sentire sull’impasto il lavoro insostituibile del lievito madre. Chef lievitista. Così si definisce Valentino Catucci, di origini pugliesi, che, lavorando come chef d’hotel, ha scoperto un feeling particolare con i grandi lievitati della tradizione dolciaria italiana. (Artigianalità e creatività: gli ingredienti del miglior panettone, foodartistgroups.com, 2021)
La storia di molte famiglie di fornai, diventate, nelle generazioni, vere e proprie aziende di alto artigianato dolciario, testimonia i cambiamenti tecnici nelle lavorazioni e la comparsa di nuove figure di consulenti, tra cui anche il lievitista:
Sempre come bottega artigiana, però. E tale la Grondona è rimasta sino a metà degli anni Ottanta, quando i fratelli Orlando e Gildo hanno aperto il nuovo stabilimento di Pontedecimo, rinnovato nel ’93, dopo l'alluvione che spazzò via tutto, tranne le idee. E il lievito, naturalmente, il ceppo che da cent’anni la famiglia prima e i lievitisti dell’azienda ora ravvivano ogni giorno con la farina. (n.s., Il lievito del mulino resta il vero segreto, “la Repubblica”, 23/12/2001)
Nasce negli anni ’30 come panetteria, quando i De Vivo sfornavano ogni giorno a Pompei. Prosegue negli anni dedicandosi alla parte dolce del forno con la tenacia di due generazioni, fino a Marco che oggi porta avanti la pasticceria insieme alla moglie Ester e alla figlia Simona. Per la pasticceria e pralineria si avvale della consulenza di Maurizio Santin, mentre Alfonso Schiavone è il lievitista che cura gli impasti e il loro bilanciamento. (Giulia Mancini, I migliori panettoni tradizionali del Natale 2019 (secondo noi), “la Repubblica”, 6/12/2019)
L’affermazione del termine rimanda dunque principalmente alla pasticceria e, in particolare, alla produzione dei grandi lievitati della tradizione italiana, panettoni e pandori: programmi televisivi e manifestazioni internazionali di grande richiamo hanno poi provveduto a far uscire lievitista al di fuori del settore degli addetti ai lavori. Un contributo fondamentale è stato dato dal maestro pasticciere Iginio Massari, che, in qualità di presidente del Consorzio Pasticcieri artigiani, ha presentato all’Expo 2015 di Milano una rivisitazione del classico dolce natalizio lombardo, rilanciandone la fama e le possibilità di innovazione. Sulla scia del successo dell’Expo e della popolarità sempre più ampia di Massari, si sono moltiplicate le iniziative e le occasioni di ogni genere per diffondere le nuove tecniche dolciarie e, nello specifico, di lievitazione. Nel 2017 si svolge a Milano la prima edizione della manifestazione “I maestri del panettone” e, fin dall’inizio, è pubblicizzata la presenza di maestri lievitisti:
Proposto in tutte le sue varianti e declinazioni, il panettone è il vero protagonista dell’appuntamento, ma sarà impossibile non rimanere affascinati dai 25 maestri lievitisti presenti all’evento. Dopo aver sottoscritto la “Carta dei Maestri del Panettone” (il documento programmatico che sancisce i cinque principi fondamentali del vero panettone artigianale), sono pronti a condividere con noi il meglio della loro produzione attraverso un percorso ricco di assaggi, workshop, incontri e scoperte. (Gaia Masiero, 100 panettoni artigianali stanno arrivando a Milano. Ecco dove assaggiarli, www.lacucinaitaliana.it, 8/11/2017)
Ma non si tratta dell’unica manifestazione di questo tipo: nello stesso anno, sempre a Milano, si svolge “Re panettone” e a Torino “Una Mole di panettoni 2017”, che vedono l’affermazione dell’Artigianale Ascolese con Fiorenzo Ascolese che riconosce l’unicità del lavoro artigianale di alto livello proprio nella tecnica raffinata dei lievitisti:
Ritrovarmi alle vette delle classifiche nazionali alla mia giovane età dimostra che ci si può arrivare solo con la passione, quella che ti spinge ad usare le migliori materie prime, a fare sacrifici e anche a rischiare – racconta Fiorenzo Ascolese – dal primo giorno che ho iniziato i corsi per i lievitisti ho appurato che fare il pasticciere non ha niente a che vedere con il fare dolci industriali (Qui si mangia il miglior panettone d’Italia, “la Repubblica”, 8/12/2017)
Una ricerca per intervallo di date su Google ci mostra un balzo in avanti di occorrenze (pur restando nell’ambito di cifre molto molto contenute!) proprio nel 2017: lievitista raccoglie 205 risultati (lievitisti 43 r.) a fronte dei 41 del 2016.
Siamo arrivati quindi, almeno negli ambienti dell’alta cucina, al riconoscimento di un titolo, quello di maestro lievitista, che va ad affiancarsi a quello già conosciuto e affermato di maestro pasticciere: lo studio e la cura della lievitazione si avvia a essere riconosciuta come un’arte.
La manifestazione milanese diventa, dal 2018, anche una trasmissione prodotta da Sky (in onda su Sky Uno) intitolata Artisti del panettone, che ha dato volto e celebrità a molti pasticcieri e lievitisti:
Al grande pubblico [Paolo Sacchetti] è arrivato grazie alla tv, volto di I maestri del panettone, prima trasmissione dedicata ai migliori lievitisti italiani (A Minori è tutto pronto per “La Notte del Panettone in riva al mare” con Sal De Riso, ilportico.it, 23/8/2021)
Iniziative analoghe vengono “esportate” anche in altre regioni d’Italia e, lo scorso agosto 2021, è arrivata in riva al mare in Costiera amalfitana, grazie anche alla collaborazione del maestro pasticciere Salvatore De Riso:
A Minori è tutto pronto per la prima edizione de “La Notte del Panettone in riva al mare”, iniziativa organizzata dall'Accademia dei Maestri del Lievito Madre e del Panettone Italiano, con la collaborazione del maestro Salvatore De Riso […] i tanti pasticceri e lievitisti che parteciperanno all’evento, provenienti da tutt’Italia, arriveranno via mare e approderanno, alle 17.30, direttamente sul pontile che farà da porta d’accesso alla cittadina. Qui troveranno a fare gli onori di casa, assieme al presidente Gatti, Sal De Riso, decano della pasticceria italiana nonché testimonial appassionato della Costiera. (A Minori è tutto pronto per la "notte del panettone in riva al mare" con Sal Di Riso, ilportico.it
La figura professionale di lievitista si è dunque fatta conoscere e la parola, negli ultimi 5 anni, ha avuto una diffusione mediatica un po’ più consistente, per quanto sempre circoscritta al settore dell’alta pasticceria e dei prodotti lievitati gourmet. I riflessi sulla lingua comune non sono però così evidenti e, se i giornali possono essere le spie dell’affermazione di una nuova parola, in questo caso i numeri sono davvero scarsi: negli archivi dei principali quotidiani nazionali abbiamo rintracciato sul “Corriere della Sera” (al 19/1/2022) 12 occorrenze di lievitista/i (prima occ. del 2002 e il massimo di 5 occ. nel 2019); sulla “Repubblica” (al 2/2/2022) 9 occorrenze di lievitista (dal 2017 con massimo 3 occorrenze nel 2018) e 8 per lievitisti (dal 2001 al 2020); su “La Stampa” (al 19/1/2022) solo 4 risultati per lievitista (dal 2017 al 2020) e 1 per lievitisti (2016).
Alla luce di questi dati, risulta dunque comprensibile che i dizionari dell’uso non abbiano accolto la parola, che, per il momento, non è nemmeno contemplata nell’Atlante del lavoro già citato. Di sicuro il/la lievitista resta una professione di nicchia, molto prestigiosa e riconosciuta nel settore, ma ancora probabilmente non abbastanza definita e diffusa da rendere la sua denominazione patrimonio della lingua comune. Le tendenze in atto, con un interesse sempre più vasto e competente in ambito culinario, ne lasciano presagire un futuro promettente e, in ogni caso, anche se non avremo una parola in più registrata nei dizionari, ci consoleremo con focacce e dolci sempre più buoni.