DOI 10.35948/2532-9006/2022.15699
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Negli ultimi vent’anni l’umanità ha vissuto una vera e propria rivoluzione tecnologica: nella nostra vita quotidiana i dispositivi digitali sono diventati di fondamentale importanza, se non addirittura essenziali e imprescindibili. Questo nuovo legame con la tecnologia, da cui senz’altro abbiamo tratto dei vantaggi inestimabili in termini di tempo, efficienza e qualità delle prestazioni (anche nella vita di tutti giorni) ha un rovescio della medaglia da non sottovalutare. Negli ultimi anni, infatti, sono state oggetto di studio approfondito presso la comunità di psicologi e psichiatri le patologie mentali (o comunque legate alla sfera emotiva) derivate dall’abuso o da un uso sbagliato delle nuove tecnologie. Abbiamo già visto che cosa descrive la parola vamping (ossia la patologia per cui si rimane svegli durante gran parte della notte collegati a un dispositivo digitale) e in questa sede affronteremo un termine, recentemente entrato nel lessico italiano, sempre legato a una patologia del nuovo millennio: FOMO, acronimo formato dalle lettere iniziali di Fear of Missing Out, che letteralmente significa ‘paura di essere tagliati fuori’. La parola si può trovare scritta sia con tutte le lettere maiuscole (FOMO), sia con l’iniziale maiuscola e il resto minuscolo (Fomo, come se fosse un nome proprio), sia nella forma FoMO e FoMo in cui sono evidenziate con la maiuscola soltanto le iniziali delle parole “piene”, ossia non grammaticali. Per definire il referente di questa parola e comprenderne la semantica ci serviremo di una sintesi efficace uscita su un recente articolo redatto da un’équipe di noti psichiatri e psicologi, tra cui l’americano Jon D. Elhai:
FOMO has been defined in scientific literature as involving two specific primary components: a) apprehension that others are having rewarding experiences from which one is absent, and b) the persistent desire to stay connected with people in one’s social network. The first component maps onto the cognitive aspect of anxiety […]. The latter component involves a behavioral strategy aimed at relieving such anxiety – analogous to how compulsions aim […] to relieve anxiety in obsessive compulsive disorder. [traduz. mia: “[la sindrome] FOMO è stata definita nella letteratura scientifica come caratterizzata da due componenti specifiche: a) apprensione che gli altri stiano vivendo esperienze gratificanti da cui uno è assente e b) il desiderio persistente di rimanere in contatto con le persone nella propria rete sociale. La prima componente riguarda l’aspetto cognitivo dell’ansia [...]. Quest’ultima componente implica una strategia comportamentale vòlta ad alleviare tale ansia, come le compulsioni servono [...] ad alleviare l’ansia nel disturbo ossessivo compulsivo”] (Jon D. Elhai, Haibo Yang, Christian Montag, Fear of missing out (FOMO): overview, theoretical underpinnings, and literature review on relations with severity of negative affectivity and problematic technology use, “Brazilian Journal Of Psychiatry”, 43(2), 2021, pp. 203-209, p. 203)
Gli autori concludono il loro articolo dicendo che i comportamenti compulsivi riguardano principalmente il controllo frequente dei dispositivi digitali e dei servizi di messaggistica per mantenere sempre attive le connessioni sociali ed evitare di perdere esperienze che si ritiene possano essere gratificanti. Il controllo frequente del telefono poi, non è solo attivo, ossia non riguarda un impulso personale, nato di propria iniziativa e senza induzioni esterne, ma è anche passivo, cioè nasce dalla coazione a rispondere alle numerose notifiche sui social o sulle chat ricevute nel corso del giorno. In definitiva, il concetto chiave della patologia è l’ansia legata alla paura di rimanere tagliati fuori dalle connessioni e relazioni che si instaurano attraverso i social network e le chat dello smartphone. Quest’ansia può generare comportamenti compulsivi o disturbi psicologici di diversa natura (come attacchi di panico, incapacità di gestire relazioni sociali concrete senza la mediazione di una realtà virtuale ecc.). Bisogna fare una distinzione con un’altra patologia del nuovo millennio legata sempre alla dipendenza dai dispositivi elettronici e cioè la nomophobia o nomofobia (cfr. la scheda di Elisa Altissimi nella sezione Consulenza linguistica), da nomo, anch’esso acronimo, il quale sintetizza la locuzione No Mobile (Phone) Phobia, ossia la fobia di rimanere senza telefono (o senza connessione). Alcuni studiosi classificano questa patologia come una tipologia di FOMO mentre altri preferiscono tenerla distinta. Fatto sta che in entrambi i casi la paura interessa lo stretto legame che ormai unisce in maniera indissolubile l’uomo al telefono cellulare, quasi come se fosse una parte integrante del corpo umano, o meglio, ne rappresentasse la proiezione sociale.
Alcune fonti su internet affermano che la parola FOMO sia stata coniata nel 2004 da Patrick McGinnis in un articolo uscito sulla rivista “The Harbus”. In realtà, l’acronimo FOMO comincia a essere usato nei testi in lingua inglese già a partire dai primi anni del 2000, in riferimento non alla patologia come la intendiamo oggi, ma a una paura più generica legata all’impossibilità di partecipare a un qualsiasi evento. Le prime occorrenze della parola si riferiscono, infatti, all’ansia di non poter andare a un festival, di non poter fare una maratona, di non poter far partecipare i propri figli alle attività sportive e formative tagliandoli fuori dalla comunità dei ragazzi, di non poter seguire una particolare moda, insomma a una qualsiasi ansia che riguardi l’estromissione sociale. Riportiamo di seguito alcuni dei tanti esempi rilevati da Google libri:
Consumers have become serial adopters of innovations in every category that offers them worthwhile ones. This readiness is strengthening as time goes by. In the second half of the 1990s I identified this radical change in consumer behavior and its dramatic rise driven by a new and very powerful motivation I named The Fear of Missing Out, or in short, FoMO. In 2001, I developed a questionnaire for measuring levels of FoMO and discovered that this motivation exists at various levels in more than two-thirds of the consumers living in developed countries, and in half of these consumers it exists at high levels. [traduz. mia: “I consumatori sono diventati fruitori seriali di innovazioni in ogni categoria che possa portare vantaggi. Questa prontezza [nel recepire l’innovazione] si rafforza con il passare del tempo. Nella seconda metà degli anni ’90 ho identificato questo cambiamento radicale nel comportamento dei consumatori e il suo drammatico aumento guidato da una nuova e potentissima motivazione che ho chiamato The Fear of Missing Out, o in breve FoMO. Nel 2001 ho sviluppato un questionario per misurare i livelli della FoMO e ho scoperto che questa motivazione esiste a vari livelli in più di due terzi dei consumatori che vivono nei paesi sviluppati e nella metà di questi consumatori esiste a livelli elevati”] (Dan Herman, Outsmart, The MBA Clones, New York, Paramount Market Publishing, 2008)
Fear of Missing Out (FOMO) is a frequent cause of fatigue and burnout in the ultrarunning community. As you become aware that you’re capable of running vast distances, especially through gorgeous locales or with new interesting running companions, you may continually add outings and events to indulge your physiological, spiritual, and social desires. While such desires are wonderful motivators, FOMO can leave you taking on additional events without consideration of training benefit or adequate consideration of physiological cost. If you find yourself unable to decline invitations for a group run, you might have FOMO. If you’re unable to resist signing up for every race, you might have FOMO. If you miss a holiday meal to run, you might have FOMO. Beware of FOMO. [traduz. mia: “La Fear of Missing Out (FOMO) è una causa frequente di affaticamento ed esaurimento nella comunità degli ultrarunner. Man mano che diventi consapevole di essere in grado di correre su grandi distanze, specialmente attraverso luoghi meravigliosi o con nuovi interessanti compagni di corsa, puoi aggiungere continuamente uscite ed eventi per assecondare i tuoi desideri fisiologici, spirituali e sociali. Sebbene tali desideri siano motivatori meravigliosi, la FOMO può lasciarti affrontare eventi aggiuntivi senza considerare il beneficio dell’allenamento o un’adeguata considerazione del costo fisiologico. Se non riesci a rifiutare gli inviti per una corsa, potresti avere la FOMO. Se non riesci a resistere all’iscrizione a ogni gara, potresti avere la FOMO. Se ti perdi un pasto festivo per correre, potresti avere la FOMO. Attenti alla FOMO”] (Byron Powell, A Guide to Running Ultramarathons, New York, Breackway Books, 2011)
Il Merriam-Webster, che registra FOMO, ne dà una definizione più generica, che non riguarda la patologia legata alla dipendenza dai dispositivi digitali: “Fear of missing out: fear of not being included in something (such as an interesting and enjoyable activity) that others are experiencing” [traduz. mia: “Paura di perdersi qualcosa: paura di non essere inclusi in qualcosa (come per esempio un’attività interessante e piacevole) di cui gli altri stanno facendo esperienza”]. L’OED, pur registrando la parola anche con la definizione riguardante la patologia legata al mondo digitale (“fear of missing out, anxiety that an exciting or interesting event may be happening elsewhere, often aroused by posts seen on a social media website”; traduz. mia: “paura di essere tagliati fuori; ansia che un evento eccitante e interessante stia accadendo da qualche altra parte, di solito suscitata dai post visti sui siti dei social media”), su tre esempi, ne riporta due (risalenti rispettivamente al 2004 e al 2006) riguardanti un’ansia dovuta a una generica estromissione sociale:
2004 North Coast Jrnl. Weekly (Humboldt County, Calif.) (Electronic ed.) 12 Aug. It’s a great event; I feel like I have to go, since it’s free for me. The real reason is this thing called FOMO; it’s a disease, the Fear OF Missing Out syndrome. [traduz. mia: “È un grande evento; mi sento come se dovessi andare, dato che per me è gratis. La vera ragione è questa cosa chiamata FOMO; è una malattia, la sindrome Paura di essere tagliati fuori”]
2006 Re: Hardly Striclty Schedule Up in rec.musci.gdead (Usenet newsgroup) 12 Sept. Sounds like somebody has a serious case of festival FOMOitis…fear of missing out. Festivals became much more fun for me when I accepted not having to see a complete show of most anybody…However a bit of FOMO does break out one in a while. [traduz. mia: “sembra che qualcuno abbia un grave caso di FOMOite da festival...paura di essere tagliati fuori. I festival sono divetati molto più divertenti per me rispetto a quando ho accettato di non dover vedere uno spettacolo completo di quasi tutti...Tuttavia un po’ di FOMO ne rompe uno ogni tanto”]
Questo originario significato più ampio viene confermato anche dalle varie definizioni pubblicate nell’Urban Dictionary, il dizionario inglese che registra, attraverso il contributo degli utenti in rete, le parole nuove. Nel 2009 abbiamo una prima segnalazione che definisce la FOMO come un disagio dovuto a una generica estromissione sociale:
Mental state...fear of missing out || Billy’s fomo grew stronger when all of his friends had tickets to the upcoming show! Against all good reasoning he went to venue anyways without tickets! [traduz. mia: “stato mentale…paura di rimanere tagliati fuori || La fomo di Billy si è rafforzata quando tutti i suoi amici avevano i biglietti per il prossimo spettacolo! Contro ogni logica è andato comunque la locale senza biglietti!”] (definizione di Gianniboy, urbandictionary.com, 5/3/2009)
Al 2013 risale una definizione dal tono ironico più complessa che descrive la FOMO così:
Fomo | f ō m ō | noun || a state of mental or emotional strain caused by the fear of missing out. || - Evolutionary biology – an omnipresent anxiety brought on by cognitive ability to recognize potential opportunities: The brothers had last-slice fomo as they stared at what was left of pizza. || - (with subject) desire to do something typically accompanied by unease. || - A form of social anxiety – a compulsive concern that one might miss an opportunity or satisfying event, often aroused by posts seen on social media websites. || ORIGIN: acronym from FEAR OF MISSING OUT || The college student had concert fomo. [traduz. mia: “Fomo | f ō m ō | sostantivo || uno stato di tensione mentale o emotiva causato dalla paura di essere tagliati fuori. || - Biologia evolutiva – un’ansia onnipresente causata dalla capacità cognitiva di riconoscere potenziali opportunità: i fratelli avevano la fomo dell’ultima fetta mentre fissavano ciò che restava della pizza || (con soggetto) desiderio di fare qualcosa tipicamente accompagnato da un disagio. || Una forma di ansia sociale – una preoccupazione compulsiva che si potrebbe perdere un’opportunità o un evento soddisfacente, spesso suscitata da post visti sui siti di social media. || ORIGINE: acronimo di FEAR OF MISSING OUT || Lo studente del college ha una fomo da concerto] (definizione di Johnny, urbandictionary.com, 3/9/2013)
Intorno al 2010 circa, come affermano gli autori dell’articolo citato in apertura, la parola FOMO comincia a essere impiegata anche nell’ambito scientifico della psicologia per riferirsi alla patologia dovuta alla dipendenza dalla tecnologia e dalla connessione sociale virtuale. Di certo i due significati non sono indipendenti, ma il secondo nasce per restrizione dal primo: in entrambi i casi l’ansia parte da un’estromissione sociale che, negli ultimi anni, è stata accentuata dal confronto costante che si ha con i post pubblicati sui social network. Recentemente, infatti, alcuni studi di ambito anglosassone hanno evidenziato che la FOMO colpisce maggiormente adolescenti (ma anche adulti) che usano Instagram, ossia il social che dà la possibilità di pubblicare foto che riguardano un’esperienza fatta in tempo reale. Questa documentazione visiva può creare, nel caso di rapporti di amicizia, un’ansia di non essere coinvolti nelle attività del gruppo a cui si appartiene, nei follower di influencer (ossia nei fan di persone note) un’ansia nel voler (e spesso non poter) provare a emulare lo stile di vita e/o le esperienze del proprio punto di riferimento social. Inoltre la FOMO parte anche dall’ansia di voler sapere a quante persone piaccia o meno una propria foto, un proprio post, insomma ha anche un aspetto narcisistico per cui chi è affetto da questa patologia è solito alimentarsi dei commenti e dei like pubblicati sui propri canali di comunicazione: quando viene meno questo “nutrimento” si innesca una crisi di astinenza che spesso sfocia in comportamenti ossessivi e ansiogeni. Nel 2013, sempre nell’ambito della psicologia anglosassone, è uscito uno studio di fondamentale importanza pubblicato sulla rivista “Computers in Human Behavior”, la cui definizione di FOMO è diventata punto di riferimento per tutti gli studi successivi fino ai giorni nostri:
[…] This dual nature of social media has driven popular interest in the concept of Fear of Missing Out – popularly referred to as FoMO. Defined as a pervasive apprehension that others might be having rewarding experiences from which one is absent, FoMO is characterized by the desire to stay continually connected with others are doing. [traduz. mia: “[...] Questa duplice natura [della socialità digitale] ha suscitato un interesse diffuso per il concetto di Fear of Missing Out, comunemente denominato FoMO. Definita come un’apprensione pervasiva che gli altri possano vivere esperienze gratificanti da cui si è assenti, la FoMO è caratterizzata dal desiderio di rimanere continuamente in contatto con gli altri e con quello che stanno facendo”] (Andrew K. Przybylski, Kou Murayama, Cody R. DeHaan, Valerie Gladwell, Motivational, emotional, and behavioral correlates of fear of missing out, “Computers in Human Behavior”, 29, 2013, pp. 1841-1848, p. 1841)
Nell’ambito specialistico della psicologia (e psichiatria), dal 2016 gli articoli che parlano della FOMO si sono moltiplicati. Ultimamente, negli anni caratterizzati dalla pandemia di Covid-19, l’attenzione nei confronti delle patologie legate alla dipendenza dai dispositivi digitali si è acuita: sono fioriti moltissimi studi sulla FOMO che hanno affrontato la patologia non solo dal punto di vista psicologico ma anche dal punto di vista socio-culturale, considerando tutte le implicazioni che può portare nella relazione e interazione, soprattutto tra i giovani. Inoltre, testimonia il fatto che il fenomeno abbia attirato l’interesse non solo l’interesse degli psicologi, il film ungherese del 2019 FOMO (Fear of Missing Out), che descrive la vita di alcuni adolescenti fortemente dipendenti dai social network. Nel 2021, infine, è uscito un libro di Patrick J. McGinnis (che, come abbiamo detto, si dice sia l’“inventore” della parola FOMO) dal titolo Fomo Sapiens, tradotto anche in italiano. Il libro affronta la patologia e conia un’altra parola nuova (non considerabile un neologismo stricto sensu ma piuttosto un occasionalismo): FOBO ossia Fear of Better Opinion, cioè la paura che esista una scelta migliore dalla propria. Menzioniamo inoltre un altro occasionalismo modellato per analogia su FOMO: JOMO ossia Joy of Missing Out. Si tratta del piacere di essere tagliati fuori, ossia di stare scollegati e di non usare i social network, il contrario della FOMO.
Tornando al termine oggetto della trattazione, Licia Corbolante ha affrontato sul suo blog Terminologiaetc.it una nuova forma di FOMO, la vaccine FOMO, che unisce la patologia finora descritta alle ansie e paure legate alla pandemia di Covid-19:
In inglese si sta diffondendo anche vaccine FOMO, che descrive ansia, frustrazione e risentimento per non essere ancora stati vaccinati. La locuzione riutilizza un acronimo di inizio millennio, fear of missing out, che esprime l’inquietudine di chi teme che da qualche parte stia avvenendo qualcosa di interessante o esaltante a cui non si può prendere parte, reazione spesso suscitata da cosa si vede sui social. La sensazione di vaccine FOMO può essere suscitata dai vaccine selfie che vengono postati per mostrare di avere appena fatto la vaccinazione. (Licia Corbolante, Invidie “vaccinali” e altri neologismi, blog.terminologiaetc.it, 3/8/2021)
La parola FOMO (più frequentemente scritta Fomo) recentemente è entrata anche nel lessico italiano: nelle pagine in italiano di Google regista ben 187.000 risultati (ricerca del 21/1/2022). Si hanno alcune oscillazioni circa il genere grammaticale: la maggior parte delle occorrenze riporta la parola al femminile ma non mancano esempi di FOMO al maschile (basti pensare nelle pagine in italiano di Google: “la FOMO” ha 7.020 risultati contro 1.700 di “il FOMO”). Come afferma Raffaella Setti a proposito del genere dei forestierismi, la scelta del maschile è data dal fatto che esso è il genere di default con cui entrano i forestierismi neutri (ma non solo) in italiano. La preferenza del femminile, però, ha base semantica e ha due possibili motivazioni: la prima è che il traducente della testa della locuzione che l’acronimo abbrevia (Fear) sia un sostantivo femminile e cioè paura; la seconda è che FOMO si riferisce a una patologia, a una malattia mentale e quindi assume il genere di questi iperonimi (lo stesso invece non è successo per Covid-19 che ha maggiori attestazioni al maschile piuttosto che al femminile nonostante la testa dell’acronimo sia disease ossia malattia che è, per l’appunto, femminile. Si legga, a questo proposito la scheda di Sara Giovine).
La parola è stata registrata recentemente, seppur in maniera un po’ criptica, nello Zingarelli 2022 come termine appartenente all’ambito specialistico della psicologia; non ne viene data una spiegazione e il dizionario preferisce semplicemente sciogliere l’acronimo in Fear of Missing Out seguito dalla sola traduzione ‘paura di essere escluso’. L’altro repertorio lessicografico che registra il termine è la sezione “Neologismi” del portale Treccani: la parola viene inserita come parola nuova del 2015 e viene così descritta:
Sigla del’ingl. Fear of missing out (‘paura di rimanere escluso’), che si riferisce alla sensazione d’ansia provata da chi teme di essere privato di qualcosa di importante se non manifesta assiduamente la sua presenza tramite i mezzi di comunicazione e di partecipazione sociale elettronici interattivi. (definizione di FOMO, treccani.it, 2015)
Stando al portale Treccani, il termine è attestato già a partire dal 2011 (su vice.com) e in effetti su Google libri la prima attestazione del termine risale proprio al 2011. A differenza di quanto avviene in inglese, FOMO entra in italiano già con il significato ristretto riguardante la patologia legata alla dipendenza dai dispositivi digitali, non con quello di ansia generica legata a una qualsiasi estromissione sociale. Colpisce notare che il momento in cui la parola entra nel lessico italiano è di poco successivo al periodo in cui FOMO comincia a essere usato nella lingua inglese, e in particolare nel lessico specialistico della psicologia, con l’accezione ristretta con cui poi si è imposta e diffusa. Inoltre, confrontando le attestazioni sui quotidiani e su Google libri, sembrerebbe che il termine, in italiano, venga subito usato in testi che, seppur scritti da specialisti, sono più divulgativi e non di ambito strettamente settoriale (come era invece accaduto nella lingua inglese). Questo meccanismo si è verificato anche per altre parole che partono in inglese dal lessico della psicologia e che entrano in italiano subito in testi non specialistici e più divulgativi (basti pensare a vamping): sono il segno che la diffusione di questi termini nella lingua inglese e la divulgazione delle tematiche che essi descrivono coinvolgono un pubblico sempre più vasto e per questo meno settoriale. Ecco le prime due attestazioni di FOMO su Google libri, una del 2011 e l’altra del 2012:
Va inoltre evidenziata una nuova nevrosi a cui gli utenti dei social network possono essere esposti: si chiama Fomo, dalle iniziali di Fear Of Missing Out, e rappresenta la paura di essere (o di sentirsi) “tagliati fuori”: consiste cioè nel sentimento di solitudine che la socialità digitale può in qualche modo veicolare. I social network permettono di essere costantemente aggiornati sulle attività e impegni degli amici, e tutto ciò può acuire, in taluni casi, il senso di solitudine se per caso i ragazzi si accorgono che i loro amici organizzano feste e serate in loro assenza, rafforzando quindi il senso di esclusione. (Lorena Toller, Chi c’è in chat?, Roma, Sovera Multimedia, 2011, p. 44)
Paradossalmente, i media sociali sono al contempo fonte di rassicurazione e di frustrazione. Abbiamo bisogni di controllare di esistere soprattutto a livello sociale perché è sempre possibile che gli altri si riuniscano senza di noi, che si stiano divertendo altrove; scoprirlo in tempo quasi reale può essere un duro colpo alla nostra autostima. Gli psicologi sociali parlano di una vera e propria sindrome dell’abbandono, detta FOMO (Fear Of Missing Out). L’esperienza della solitudine è diventata rara, come quella del silenzio, della lentezza, della profondità. (Gruppo di ricerca “Ippolita”, Nell’acquario di Facebook, Milano, Ledizioni, 2012)
Contemporanee o di poco successive a queste, sono le prime attestazioni sui quotidiani nazionali come “la Repubblica” e il “Corriere della Sera”:
I miei ex-compagni italiani della Scuola europea di Bruxelles si ritrovano spesso in un ristorante, a Roma, a sette ore di volo da qui: istantaneamente le foto delle loro simpatiche serate riprese sugli iPhone mi raggiungono, prima sulla mia email e poi evidenziate grazie a Facebook e Twitter. È un modo per rendermi partecipe delle loro allegre rimpatriate? O invece mi rendono ancora più tangibile la distanza, l’assenza? Ora scopro che mia è un’esperienza universale. Ha perfino un nome clinico, la nuova nevrosi creata dai siti sociali. Si chiama Fomo, le iniziali di “fear of missing out”: la paura di essere tagliati fuori. [...] Contro la sindrome Fomo la Turkele propone di cominciare con piccoli esercizi quotidiani: «Ogni tanto, separiamoci dal nostro smart-phone, per riprenderci il controllo su noi stessi». (Federico Rampini, Sindrome Facebook quando troppi amici ti fanno sentire solo, repubblica.it, 11/4/2011)
Uno studio pubblicato all’inizio di quest’anno dalla rivista Computers in Human Behavior ha identificato una delle case della sempre minore intensità del guardarsi negli occhi nel Fomo (fear missing out), ovvero il timore di perdere delle opportunità sociali. (Guardarsi negli occhi oltre 7 secondi. Quello che non riusciamo più a fare, corriere.it, 31/5/2013)
Nell’ambito specialistico della psicologia, le prime attestazioni della parola FOMO sono di qualche anno successive a quelle rilevate su Google libri e quotidiani: è del 2015 il primo articolo pubblicato su “Osservatorio dell’adolescenza”, il sito che si occupa dei problemi psicologici degli adolescenti fornendo delle linee guida ai genitori e anche agli stessi specialisti; mentre è del 2016 il primo articolo uscito su “scienzainrete”, un portale di ricerca scientifica:
F.O.M.O. è l’acronimo inglese di Fear of Missing Out, letteralmente “paura di essere tagliati fuori” e si riferisce alla preoccupazione eccessiva e ossessiva che gli altri facciano esperienze gratificanti nelle quali non si è presenti. Tale paura evidenzia uno stato di ansia sociale caratterizzata dal dover essere costantemente informati su ciò che gli altri stanno facendo. La FOMO non è una patologia dei nostri tempi, ma da quando i social network hanno preso il sopravvento nella vita di ciascuna persona, sembra essersi radicata nei numerosi utenti che controllano in maniera eccessiva e quasi ossessiva le pagine dei social a cui sono iscritti. (La paura di essere tagliati fuori, adolescenza.it, 18/9/2015)
Un altro fenomeno comune è il “FOMO”: “fear of missing out”, cioè la paura di perdere qualche segmento della conversazione in rete, o qualche opportunità derivante da un circolo chiuso di creazione di ansietà e suo alleviamento. Che cosa staranno facendo gli altri? Che cosa staranno pensando? Che cosa pensano di me. E così via. (Paolo Vineis, Prevenire la paranoia: terrorismo, disordini mentali e comunicazione, scienzainrete.it, 23/8/2016)
Negli ultimi due-tre anni, la comunità scientifica degli psicologi italiani ha catalizzato i propri studi e ricerche sul fenomeno della FOMO, producendo una serie di contributi pregevoli, redatti per la maggior parte in lingua inglese: tra questi va ricordato quello di Casale e Fioravanti uscito sul “Journal of Behavior Addictions” nel 2020, che struttura una scala per misurare i livelli di FOMO partendo dall’osservazione del comportamento di 436 studenti in età adolescenziale. (Silvia Casale, Giulia Fioravanti, Factor structure and psychometric properties of the Italian version of the fear of missing out scale in emerging adults and adolescents, “Addictive Behavior”, 23/10/2019)
Nei più recenti articoli che usano la parola FOMO sui quotidiani nazionali, essa si riferisce all’ansia di restare tagliati fuori quando ci sarà la ripresa economica post-pandemia, di non riuscire a cogliere il migliore investimento finanziario. Dunque la parola, già a partire dal 2015 ma più massicciamente negli ultimi due anni, descrive una patologia legata alla dipendenza dell’investimento compulsivo (chiamata anche Trading patologico):
Per capire se effettivamente gli investitori siano in preda al FOMO (fear of missing out), il timore di perdere il momento magico, oppure stiano agendo con un certo raziocinio, pur se in un mercato ultra competitivo, un nuovo approccio può essere l’osservare i trend sul tipo di clausole presenti, o meno, nei contratti di investimento. [...] Analizzando i report di alcune aziende del settore [...], emergono alcuni trend che sembrano in contrasto con la FOMO raccontata dalla crescita delle valutazioni [...]. (Tobia D.A., Il club degli unicorni è una bolla o una rivoluzione industriale?, econopoly.ilsole24ore.com, 5/11/2015)
Tutta colpa della «Fomo» [...] A causare questi periodici svarioni, essenzialmente quella che nel settore viene definita «fear of missing out» (Fomo): la superficiale «paura di esser tagliati fuori» da ghiotte occasioni di guadagno. (Alessandro Vinci, Signal decolla a Wall Street (ma è un’altra società), corriere.it, 16/1/2021)
Le ambizioni pioneristiche sono quelle dei grandi movimenti artistici che hanno precorso i tempi, sempre incompresi dalla cultura mainstream loro contemporanea; il giro di denaro invece è quello delle bolle speculative, tra FOMO – Fear of missing out, ansia di perdere l’occasione di un buon investimento – e doping fornito da un mondo dei media all’affannosa ricerca di clic. (Nicola Baroni, La crypto art indaga il presente e guarda al futuro, repubblica.it, 30/12/2021)
Anche su Twitter, accanto al significato predominante, vi sono molti esempi che riportano quest’ultima accezione, per lo più legata al mondo della criptovaluta:
Non vi fate prendere dalla fomo se i mercati rimbalzano un po’, qui basta una news piazzata ad hoc al momento giusto ( tipo la domenica sera ) e ri crolla tutto #stockmarkets #Ucrania .. occhio Occhi (tweet di @DogeCoinsMeme del 29/1/2022)
Ciao ragazzi! Oggi faccio vedere questa chart significativa #bitcoin Circolazione BTC VECCHI E GIOVANI Osserviamo come, alla scalata ai picchi, sono le GIOVANI a crescere (fomo/inesperienza) e viceversa. Più grande è zona verde più è bottom e consapevolezza mercato! #crypto (tweet di @LorisCavadini del 27/1/2022)
Detto da uno che in investe tutti i risparmi di una vita su qualcosa di rischioso solo per FOMO, ti seguo da quando avevi poco più di 1000 follower, quindi mi ricordo, come è iniziata. Rimani sulla strada, [...]. (tweet di @ElCoyoteCactus1 del 26/1/2022)
Come documentano questi esempi, la parola FOMO, sempre più spesso scritta fomo, è oramai entrata nell’ambito finanziario e non ha bisogno di specificazione o spiegazione. Sempre confrontando Twitter, ci si accorge, inoltre, che FOMO è parola diffusissima tra i giovani, usata anche in questi casi senza spiegazione, per indicare una qualsiasi ansia dovuta all’estromissione da qualcosa (un evento, un gioco, un gruppo, un’esperienza), di solito, ma non necessariamente, legato alla realtà virtuale. In questi casi la parola ricorre senza articolo, quasi che sia l’equivalente di paura:
Ho fomo e vorrei partecipare al fantasanremo ma 1) non so giocarci 2) lo prenderei troppo sul serio e non permettermi di farmi il fegato amaro per il fantasanremo (tweet di @high0per del 30/1/2022)
Ho provato wordle per la prima volta dato che soffro di fomo ma è stata la cosa più stressante della mia vita (tweet di @johdesth del 26/1/2022)
Infine, riconsiderando quanto detto a proposito di vaccine Fomo, rileviamo che in italiano non abbiamo trovato alcuna occorrenza della locuzione inglese: si registra una cinquantina di attestazioni di vaccino fomo ma si preferisce usare invidia vaccinale (che presenta sempre sporadiche occorrenze sul web) e non prelevare materiale lessicale proveniente dalla lingua inglese. Di certo, però, constatiamo con una certa punta d’amarezza che la descrizione della complessità psicologica che si sta improntando in questo ultimo decennio si nutre di un lessico specialistico di origine anglosassone e rimane ancorata, anche nella lingua italiana, come abbiamo visto sia per FOMO sia per vamping, al prestigio linguistico che l’inglese esercita.