Consulenza linguistica

“Vuole altro?” “Altro!” Su una risposta possibile a Firenze e dintorni

  • Neri Binazzi
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2024.30165

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Copyright: © 2024 Accademia della Crusca


Quesito:

Un lettore di Campi Bisenzio chiede spiegazioni sull’uso di altro in accezione negativa che udiva da piccolo, quando accompagnava la madre a fare la spesa, dal salumiere o pizzicagnolo. Alla fine degli acquisti il venditore chiedeva “Altro?” e la risposta immancabile era “Altro” invece di un semplice no.

“Vuole altro?” “Altro!” Su una risposta possibile a Firenze e dintorni

Nella moderna società dei supermercati l’esperienza che il lettore riferisce alla frequentazione di botteghe di beni alimentari (lui ricorda il salumiere, di cui riporta anche la variante fiorentina – oggi in via di desuetudine – pizzicagnolo; ma si possono ricordare anche la macelleria, o il fruttivendolo – ortolano, in fiorentino) si può fare ancora mettendosi ad ascoltare i dialoghi tra gli acquirenti e i commessi dei diversi “banchi” che ormai quasi tutti i centri commerciali prevedono – e che servono anche a ritrovare una relazione di fiducia con il venditore vissuta come garanzia di genuinità anche per il prodotto.

Chi scrive, inevitabile frequentatore di supermercati, è stato testimone – stando in coda al banco della pescheria – di un episodio avvenuto di recente. Dopo aver incartato un prodotto, il commesso torna a rivolgersi al cliente. Lo fa per capire se la persona appena servita (che nel caso specifico era una signora curata e di mezz’età) intendesse fare altri acquisti. Già la domanda del venditore, formulata in tono colloquiale, aveva previsto un uso particolare della lingua. Chiede infatti il pescivendolo (a Firenze pesciaiolo): “Dopo?”, attribuendo dunque valore di quantificatore (‘inoltre’, ‘in aggiunta’) a un avverbio di per sé temporale. Ma la cliente non si faceva distrarre da simili sottigliezze grammaticali, e rispondeva: “Altro, grazie”. Al che il nostro pescivendolo chiudeva il sacchetto con lo scontrino aderente, per poi consegnarlo alla signora salutandola con gli auguri di buona serata.

Né la cliente, né gli avventori hanno colto la palese incongruenza nel comportamento del venditore di fronte a una risposta che, di per sé, sembrava rivelare l’intenzione della cliente di continuare la spesa. Invece proprio lei per prima non aveva avuto niente da eccepire quando, proprio in seguito alla sua risposta (“altro, grazie”), il commesso aveva preso atto della cosa procedendo a sigillare il sacchetto col pesce e a salutarla.

Evidentemente non c’era stata nessuna incongruenza, e nessuna incertezza aveva accompagnato lo scambio: rispondendo altro – e non a caso corredando la risposta con grazie – la cliente aveva comunicato, educatamente e con garbo, la propria decisione di aver concluso gli acquisti di pescheria. Preso atto di questo, il commesso aveva altrettanto garbatamente chiuso la vendita, consegnando il pesce alla signora per passare come di prassi al cliente successivo.

Cambio di scena. Qualche settimana fa, nello studio di un amministratore fiorentino, siamo agli sgoccioli dell’annuale assemblea condominiale. L’amministratrice (una donna press’a poco cinquantenne) dà lettura del verbale prima di metterlo in votazione. La formula conclusiva recita: “Altro avendo da deliberare, l’assemblea si scioglie alle ore…”. Anche in questo caso, nessuna contraddizione tra il fatto di aver altro da discutere e il contestuale scioglimento della riunione: il verbale è approvato e si va tutti a casa.

Succede insomma che al pronome altro, a Firenze, venga attribuito il valore negativo di ‘nient’altro’. Anche se, ed è un elemento su cui occorre riflettere, succede soltanto in esecuzioni stilisticamente controllate: nello scambio con un venditore al supermercato, nella sostenuta formulazione di chiusura di un verbale. Difficilmente, insomma, si risponderebbe altro alla richiesta di un familiare che, alla fine di un pasto, ci chiedesse se si vuole ancora qualcosa da mangiare. Nel parlato fiorentino questo altro è dunque una voce prevista solo nei contesti formali, tant’è vero che nella sua pronuncia non si attivano tratti del dialetto locale: la laterale di altro non va mai incontro a esiti tipici del fiorentino (artro / attro), ma risulta sempre realizzata come tale.

Ma in che modo, in altro, un valore pronominale positivo (‘qualcos’altro) può ricevere quello opposto di ‘nessun’altra cosa, nient’altro’? Un ruolo può sicuramente giocarlo la ricorrenza della forma in frasi negative che introducono o richiamano una subordinata (Non farebbe altro che dormire; Prendere la macchina con questo traffico? Non vorrei fare altro! ‘Non vorrei fare altro che prenderla!’), o che prevedono comunque un riferimento, espresso o meno: non è altro che un pusillanime; non posso dire altro (che questo). La frequenza di altro in frasi negative potrebbe dunque “caricare” la forma di una valenza negativa in grado poi di interessarla autonomamente. È forse il tipo di trafila presupposta dal dialogo con cui a suo tempo il Dizionario del Petrocchi illustrava – senza commentarla – la serie Altro? Null’altro? Nient’altro?:

Non dice altro?Che lo pregherà di nòvoAltro?

Come si vede, la formulazione ellittica della battuta conclusiva documenta un uso di altro che esprime autonomamente valore “negativo” (‘nient’altro?’).

Si tratta di capire, però, il motivo per cui la possibilità di imbattersi in un altro in accezione negativa è circoscritta all’area fiorentina: per quanto avvertibile solo in stili sorvegliati – e dunque in registri del fiorentino che potrebbero essere (stati) un riferimento per l’italiano “standard” – altro ‘nient’altro’ parrebbe infatti assente dalla lingua comune.

Vediamo. Scorrendo le testimonianze degli anziani intervistati per la compilazione del Vocabolario del fiorentino contemporaneo (VFC), si riscontra non di rado altro che in luogo del nient’altro che previsto in queste circostanze dall’italiano comune:

Quella lì l’è come la campana della Misericordia: la racconta altro che disgrazie.

Lui legge altro che i’ su’ libro (= Lui non tiene conto di altri punti di vista)

Per cui sotto la figura di buzzurro si dava a una persona di volgare e nello stesso tempo che facea attro che, che queste cose che qui.

L’uso è documentato anche nel testo della canzone Logiardo dei canti popolari toscani raccolti da Alessandro Fornari. La canzone riproduce un lungo scambio dialogico tra la nuora fresca di matrimonio – in apprensione per le sorti del marito – e la suocera “in luogo di madre”:

“Suocerina mia in luogo di mia madre / cos’hanno le campane fanno altro che sonare?”

Si tratta di usi che, in Toscana, contano su una lunghissima tradizione. Nel suo Dizionario ottocentesco (Tommaseo-Bellini), Niccolò Tommaseo cita un passaggio del Morgante in cui Luigi Pulci aveva scritto: “Venne la cena, e fuvvi altro che ghiande”. A sua volta il Grande dizionario della Lingua Italiana (GDLI) riporta un passaggio del Centonovelle del Sacchetti che documenta un valore di altro che ‘all’infuori di, eccetto’ espresso eccezionalmente senza il supporto della negazione: “in quella mattina altro che una trota di venticinque libbre v’era stata”. Come rivela la prima impressione del Vocabolario della Crusca, lo stesso Boccaccio, seppure in una frase che esordisce in modalità negativa, non fa mancare la propria testimonianza: “Niuna cosa, altro che nugoli, e Mar vedea”.

Altro che, insomma, viene gestito in questi casi come locuzione avverbiale per esprimere, in ultima analisi, il senso di ‘solo, soltanto’. In questa veste lo troviamo anche, qua e là, nella Toscana linguistica documentata dalla lessicografia dialettale. Succede nell’uso pistoiese raccolto dal Vocabolario pistoiese di Gabriella Giacomelli:

Nella locuz. avv. altro che ‘solo, soltanto’: altro ’e llui potea fa una ’osa di ’el genere!; a mme la minestra mi garba altro ’e asciutta.

Per il senese (però “contadinesco”), Cagliaritano registra allo stesso modo il valore di altro che, di cui evidenzia la tendenziale saldatura con i pronomi soggetto. Altro che lui / lei / loro valgono dunque rispettivamente ‘soltanto lui’, ‘soltanto lei’, ‘soltanto loro’:

contad., altr’e llui, llei, lloro, soltanto, altri che, in frasi affermative. In casa c’er’altr’e llui, non c’era che lui.

Del resto, soltanto è a suo modo una possibile formulazione positiva del senso di nient’altro che: mangia soltanto carne / (non) mangia nient’altro che carne. Stando così le cose, è possibile che il valore di ‘soltanto’ per altro che rilevato dalla lessicografia dialettale toscana abbia finito per interessare il pronome in quanto tale, che per questa via si sarebbe trovato disponibile ad essere usato in modalità ellittica (cioè senza il che) per esprimere, altrettanto ellitticamente, il valore di ‘nient’altro’. La possibilità di trovare – a Firenze – altro con il valore negativo di ‘nient’altro’ sarebbe dunque facilitata dal fatto che nella Toscana centrale è previsto altro che nel senso di ‘nient’altro che’ (= ‘soltanto’).

Se insomma la Toscana dialettale propone, qua e là, un altro che sovrapponibile, per senso e condizioni d’uso, a nient’altro che / soltanto, l’omissione del connettivo potrebbe aver consentito di proporre altro svincolandolo dalla sintassi di frase, mantenendone però il significato. Per questa via si sarebbe prodotta, di fatto, una sovrapposizione fra altro a nient’altro.

Da parte sua il fiorentino conosce (di sicuro più nel passato che oggi) usi assoluti di altro, come nel caso, documentato dal Giorgini-Broglio e confermato dagli intervistati del VFC, di altro! in funzione di modo affermativo che conferma e irrobustisce (‘certamente!’) quanto prefigurato da una domanda. In sostanza, altro è anche in questo caso variante ellittica di altro che / altroché. Ecco quanto riporta il Giorgini-Broglio:

(sv altro, § 11) Altro cheAltro se… e assol. Altro! Non solo quel che si concede, o si domanda, ma assai di più. – C’era gente al teatro? Altro! (Moltissima) – Lo conoscete quell’uomo? Altro se lo conosco!È vero? Altro se è vero!

Ed ecco una testimonianza del VFC:

Come dire: Certo! Dice: Che è vera questa cosa? Altro! Certo!

In conclusione, un venditore che a Firenze domanda Altro? nel fare riferimento alla merce fin lì acquistata dal cliente, esprimerebbe in modo ellittico ciò che nel parlato comune di Toscana potrebbe suonare come Altro che questo? (cioè ‘soltanto questo?’ / ‘nient’altro che questo?’. Da parte sua la risposta altro del cliente chiamato in causa non farebbe che recepire il senso proposto, e dunque rispondendo ellitticamente altro affermerebbe sì, altro che questo, cioè ‘soltanto (questo)’ / ‘nient’altro (che questo)’.

Rispetto alla modalità estesa altro che questo, come si è visto attestata nel parlato toscano, la formulazione ellittica altro potrebbe funzionare da formulazione di registro elevato, che proprio in virtù dell’essere percepita come variante “non parlata” troverebbe spazio – non a caso – anche nell’allusivo e rarefatto burocratese dei verbali di condominio. Eppure, tutto questo contegno non sembra essere stato sufficiente ad assicurare a questo uso di altro la cittadinanza nell’italiano comune.

Nota bibliografica:

  • Ubaldo Cagliaritano, Vocabolario senese, Firenze, Barbera 1975.
  • Alessandro Fornari, Canti toscani. Nuova edizione. Firenze, Libreria editrice fiorentina 2002.
  • Gabriella Giacomelli (a cura di), Vocabolario pistoiese, Pistoia, Società pistoiese di storia patria 1984.
  • Policarpo Petrocchi, Nòvo dizionario universale della lingua italiana, Milano, Fratelli Treves 1894.

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