DOI 10.35948/2532-9006/2024.30153
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Diversi lettori e lettrici chiedono lumi sulla forma e sulla flessione degli aggettivi usati per indicare qualcosa che è privo di colore, odore e sapore.
La questione merita una trattazione che parte da lontano. In latino i tre sostantivi odor ‘odore’, color ‘colore’ e sapor ‘sapore’ avevano un comportamento parallelo nella flessione (erano tutti e tre nomi imparisillabi della terza declinazione, con genitivo singolare in -is), ma divergevano nella formazione di un derivato aggettivale indicante l’assenza della proprietà designata dal nome. Secondo le indicazioni desumibili dal dizionario latino di Lewis e Short, per ‘privo di odore’ si aveva inodōrus , -a, -um, attestato in Persio e Apuleio; per ‘privo di colore’ in-cŏlor, attestato in glosse di Filosseno, glossato ἄχροος; per ‘privo di sapore’ insipidus , -a, -um, attestato in latino tardo. Dunque i tre aggettivi in latino non erano paralleli dal punto di vista della formazione: insipidus non deriva dal sostantivo sapor ma dall’aggettivo con senso positivo sapidus; dal sostantivo odor si è formato un aggettivo della prima classe; da color invece un aggettivo della seconda classe. La differenza di classe di flessione tra i due aggettivi denominali si è persa in francese, che ha adattato inodorus come inodore e incolor come incolore, mentre per ‘privo di sapore’ usa solo insipide ‘insipido’.
In italiano invece è attestata una doppia tripletta di termini analizzabili come denominali: incolore / inodore / insapore e incoloro / inodoro / insaporo; il terzo elemento è una creazione originale in italiano (dove pure insipido è in uso), senza paralleli in latino o francese.
I termini della prima tripletta sono oggi i più comunemente usati: ad esempio, lo Zingarelli 2023 definisce l’acqua “liquido trasparente, incolore, inodore, insapore”; quasi identica la definizione nel Nuovo De Mauro; nel Sabatini-Coletti online si varia la prima parte della definizione ma non la seconda “Composto chimico di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, incolore, inodore, insapore”.
Le cose tuttavia non sono sempre state così. Tra la fine del XVII e l’inizio del XIX secolo le forme di maschile singolare in ‑o erano quelle comunemente usate, almeno in trattazioni di chimica, come mostrano gli esempi seguenti:
Attese le circostanze espresse nella Relazione dell’Olio denso, bianco, inodoro, che scaturisce dalle Pareti d’un Pozzo, in Vicinanza di Viterbo, io sono di parere, che non possi essere materia Minerale (Parere, ed opinione del P. D. Silvio Boccone intorno al Balsamo, ovvero Olio, trovato alle Pareti d'un Pozzo in Vicinanza di Viterbo, in Museo di fisica e di esperienze variato e decorato di osservazioni naturali, note medicinali e ragionamenti secondo i principij de’ moderni, di Don Paulo Boccone, Venezia, Zuccaro, 1697, p. 171)
Solfuro d’antimonio ranciato [...] Carattere. Inodoro: insipido: di color ranciato: solubile nel solfuro di potassa. (Luigi Valentino Brugnatelli, Farmacopea ad uso degli speziali e medici moderni della Repubblica italiana, Pavia, Tipografia Giovanni Capelli, 1802, pp. 233-234)
L’asfalto è un bitume inodoro, nero, lucido, pesante, fragile. (Luigi Valentino Brugnatelli, Elementi di chimica appoggiati alle più recenti scoperte, tomo V, Napoli, Presso G. de Turris, 1809, p. 8)
Incoloro è la forma utilizzata sistematicamente nel Compendio di mineralogia moderna di Joseph Jacques Odolant-Desnos (Milano, [Felice Rusconi], Tomi I-III, 1829-1830), per es. in un prospetto dei colori che diverse sostanze assumono “al fuoco d’ossidazione” e “al fuoco di riduzione” (Tomo I, pp. 234-235; nella sola pagina 234 incoloro occorre 9 volte).
L’uso di questi aggettivi nella forma con maschile singolare in ‑o (dunque, come aggettivi della classe di flessione “a quattro uscite”) diviene, nella seconda metà del XIX secolo, oggetto di discussione da parte di grammatici e lessicografi puristi. Antonio De Nino (1833-1907), in un volume intitolato Errori di lingua italiana che sono più in uso (pubblicato a Firenze presso Brogi nel 1866 e poi ripubblicato più volte in varie sedi almeno fino al 1886) scrive, sotto la voce incoloro:
Es.: “L’acqua potabile dev’essere incolora, insapora e inodora”. Incoloro per di nessuno o senza colore è d'uso recente; ma, se devo dir la mia, a me non tanto piace: anche perché incolorarsi vale divenir colorito, dove l’in non nega, come in incivilimento, incolpare, inebriarsi ed altre voci assaissime. Il simile va detto per insaporo e inodoro per dire di nessun sapore e di nessun odore: se pure non vogliano limitarsi ai trattati di Chimica.
Questo intervento di De Nino è citato con approvazione nella trattazione della voce incoloro nel Lessico dell’infima e corrotta italianità di Pietro Fanfani e Costantino Arlia (Milano, Carrara, 18903), dove si legge poi:
De Nino vorrebbe limitare, come dice lui, ossia lasciare queste voci ai trattati di chimica. Domandiamo noi: c’è egli necessità che abbiano queste voci, perché altrimenti non si potrebbero spiegare taluni fenomeni, esperienze teoriche, e via? Se di sì, se l’abbiano i signori Chimici, anzi inventino, quando è necessità parole, e servitor, padroni. Ma se queste parole, o maniere non riguardano la parte tecnica della loro scienza; o perché i sullodati signori Chimici, e con loro tanti che si dicono scienziati, hanno a parlare un gergo che la lingua de’ vandali non c’è per nulla? L’essere scienziati gli esenta forse dall’obbligo di ben parlare e scrivere la propria lingua? Il Gallilei [sic], il Bellini, il Cocchi, il Torricelli, il Redi, e a’ giorni nostri il Puccinotti, e il Bufalini scienziati, e di che tinta! forse disprezzarono, o si tenner sciolti dal dovere di scrivere secondo le regole della buona lingua? E per tornare a bomba se si dicesse a mo’ d’esempio. «L’acqua potabile (discorreremo poi di questa voce) dev’esser senza colore, sapore e odore, ovvero Non dee avere né colore né sapore, ec., non sarebbe un parlare più chiaro, italiano e che ognuno capirebbe a prima giunta? [...]
Gli autori del Lessico quindi non approvano gli aggettivi nella forma con maschile in ‑o, d’uso comune in testi di chimica nei due secoli precedenti, ma non nominano neppure gli aggettivi con singolare in ‑e più comuni oggi, e propendono per l’uso di formule analitiche quali senza colore, ecc. Analoga posizione è espressa nel Vocabolario italiano della lingua parlata di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani (Firenze, Tipografia Cenniniana, 1875), dove si legge:
Inodòro. ad. Che non ha odore, contrario di Odorifero: «La camelia è un bel fiore, ma inodoro.» E i chimici chiamano oggi sostanze inodore tutte quelle che sono senza verun odore buono o cattivo. || A Firenze ci è la Votatura inodora dei bottini; e hanno avuto intenzione di dire che tal votatura si fa senza far sentire il puzzo: però è solo inodora in quanto non è odorifera; ma in quanto a puzzo, è un’altra cosa. Questa voce poi non piace a coloro, che vorrebbero si parlasse e scrivesse correttamente; né noi la difendiamo e molto meno la raccomandiamo. [I bottini menzionati nella voce sono i ‘pozzi neri’: si veda qui]
Pochi anni dopo, però, Giuseppe Rigutini nel suo I neologismi buoni e cattivi più frequenti nell’uso odierno (Roma, Libreria editrice Carlo Verdesi, 1886) esprime una posizione meno negativa nei confronti dei tre aggettivi usati con senso tecnico in testi di chimica:
Incoloro, Inodoro, Insaporo. Tre voci usate dai chimici per Che non ha colore, odore, sapore, e formate dagli scienziati francesi le prime due sul latino, la terza per analogia. Il basso lat. ha infatti incolor e il latino classico ha discolor, di vario colore; Persio ha inodorus. Sembrerebbe adunque che le voci avessero buon fondamento, e che si dovessero menar buone ai chimici, i quali però invece di Insaporo, voce foggiata analogicamente, come ho detto, potrebbero adoperare Insipido.
Verso la fine dell’Ottocento, dunque, l’uso in chimica dei tre aggettivi nella variante con flessione a quattro uscite è stabilizzato, e nei testi di chimica è in uso ancora oggi, come testimonia una lettrice, che ci ha posto un quesito dopo aver trovato queste forme in un testo universitario di chimica inorganica. Nel caso di aggettivi con maschile singolare in ‑o dubbi sul resto della flessione non dovrebbero esserci; si avranno forme di femminile singolare in ‑a, femminile plurale in -e (come si vede anche nel brano di Rigutini e Fanfani citato sopra, dove si parla di sostanze inodore), e maschile plurale in ‑i (quest’ultimo potrebbe però, naturalmente, corrispondere sia a un singolare in ‑o sia a un singolare in ‑e), come negli esempi seguenti:
Mercurio salicilato. [...] Caratteristiche. Polvere amorfa, gialla, pesante, impalpabile, inodora, insapora, alterabile alla luce. (Vittorio Villavecchia, Gino Eigenmann, Nuovo dizionario di merceologia e chimica applicata, a cura di Gino Eigenmann e Ivo Ubaldini, Milano, Hoepli, 1975, ristampato nel 1997, s.v.)
I migliori effetti iridescenti si ottengono partendo da una vernice volatile molto trasparente, incolora o debolmente colorata in tinte brillanti (Antonio Turco, Coloritura verniciatura e laccatura del legno, Terza edizione aggiornata e ampliata, Milano, Hoepli, 1985, ristampato nel 2005, p. 628)
Con questo metodo importante si possono spesso separare e preparare allo stato puro anche delle sostanze incolore (Ludwig Gattermann, Heinrich Wieland, Chimica organica pratica, Edizione italiana autorizzata a cura di V. Broglia, Milano, Hoepli, 1941, p. 18)
I testi di riferimento contemporanei considerano le due serie di aggettivi, con maschile singolare in ‑o e in ‑e, delle semplici varianti. Nella Grammatica italiana di Luca Serianni (Serianni 1988, § V.11) si osserva che alcuni aggettivi della seconda classe (cioè “a due uscite”, con singolare in ‑e e plurale in ‑i) “hanno nel maschile singolare un allotropo in ‑o [in realtà, un maschile singolare in ‑o implica un intero paradigma di forme flesse secondo la classe di flessione a quattro uscite, NdR]. Nella maggior parte dei casi non vi è fra le due forme concorrenti alcuna differenza di significato, come ad esempio negli aggettivi con in‑ privativo: incolore / incoloro [...], insapore / insaporo, ecc.”.
Tuttavia, se cerchiamo le attestazioni delle diverse voci nei testi letterari italiani raccolti nella Biblioteca italiana Zanichelli (BIZ) possiamo verificare che l’intercambiabilità tra le due serie non è un tratto originario. Nella BIZ si hanno diverse occorrenze di incolore, da una sorprendente attestazione antichissima nell’Acerba di Cecco d’Ascoli (“è calcedonio pallido e incolore”) fino a diverse attestazioni ottocentesche e primonovecentesche, in De Sanctis, Svevo, Verga, Oriani, Fogazzaro, Tozzi, Deledda e Boine, in senso sia proprio sia figurato (in Una vita di Svevo si ha sia “un barbone biondo qua e là incolore” sia “la vita gli sembrava incolore”), sia al singolare che al plurale, sia al maschile che al femminile (“la pelle arida, picchettata in alcuni punti delle braccia di bollicine incolori” in Una peccatrice di Verga; “gli olivi sembravano incolori e trasparenti” in A occhi chiusi di Tozzi); se l’incolori di Tozzi è da interpretare come plurale di incolore e non di incoloro, non si ha nessuna attestazione di forme di incoloro nei testi raccolti nella BIZ. Si hanno invece cinque attestazioni di inodoro, in De Amicis (in Sull’Oceano occorre tre volte “direttore della Società di spurgo inodoro”) e Faldella, e nessuna di inodore. Dunque nei testi letterari italiani, a differenza che in quelli tecnici di chimica, l’uso prevalente fino a inizio Novecento ricalcava fedelmente le forme latine: si aveva inodoro / *inodore da inodorus, e incolore / *incoloro da incolor.
Di insapore e insaporo non si hanno occorrenze nei testi raccolti nella BIZ. Si tratta di due formazioni analogiche, create in italiano, senza un antecedente latino o francese (come si è visto, in latino per ‘privo di sapore’ si usava insipidus e in francese tuttora si usa insipide).
Alcuni dizionari (per es. GRADIT e Zingarelli 2023) riportano come data di prima attestazione dell’aggettivo insapore il 1598 (l’Etimologico ha genericamente sec. XVI), ma si tratta di un equivoco. Il 1598 è la data di pubblicazione della prima edizione del dizionario italiano-inglese di John Florio, A Worlde of Wordes, pubblicato a Londra appunto nel 1598 (e che in seguito ha avuto una seconda edizione riveduta e ampliata nel 1611). Qui compare un lemma Insapore così glossato: “in savour so as ones teeth water for longing”; nell’edizione critica curata da Hermann W. Haller (Toronto-Buffalo-Londra, University of Toronto Press, 2013; si tratta in realtà di un’edizione semidiplomatica, come sottolineato nella recensione di Antonio Vinciguerra in “Lingua e stile” XLIX, 1, 2014) il lemma è trascritto come “In sapore”, cioè non come una singola parola ma come un sintagma preposizionale (nonostante Haller non renda esplicitamente conto del perché di questa scelta; il lemma non compare nel ricco elenco di Corrections to the 1598 Printed Version, alle pp. xliii-liv, dove si elencano correzioni di numerosi refusi presenti nel testo del 1598 e corretti nell’edizione del 2013); il significato di questa forma o locuzione non è affatto ‘privo di sapore’, ma qualcosa come ‘tale da far venire l’acquolina in bocca’; è dunque errato attribuire la datazione del 1598 all’aggettivo insapore nel senso di ‘privo di sapore’. Nel XVI secolo è registrato anche un sostantivo insapore con il senso di ‘dissapore, dispetto’, usato nel Candelaio di Giordano Bruno (1582) e segnalato dal DELI; anch’esso ovviamente va distinto dal nostro aggettivo.
Le prime attestazioni di insaporo e insapore come aggettivo con il senso di ‘privo di sapore’ che ho reperito tramite una ricerca nel corpus di testi in italiano digitalizzati da Google risalgono agli anni Trenta del XIX secolo, e si trovano in testi di chimica o di medicina pubblicati a Napoli:
AZZURRO DI BERLINO, DI PRUSSIA O PRUSSIATO DI FERRO. È composto di peridroclorato di ferro, ed idroferro cianato di potassa; è inodoro, insaporo, azzurro gratissimo. (Dizionario portatile di materia medica e terapeutica [...], opera adattata al comun intendimento, onde facilmente farn’uso, dell’Abb. D. S. Acquista, Napoli, presso Gaetano Sciarrà, 1833, p. 109)
Acido margarico. [...] Proprietà. È bianco, insapore, quasi senza odore, insolubile nell’acqua, solubile nell’alcool e da cui si precipita con l’acqua, arrossisce col riscaldamento la tintura del tornasole. (Francesco Ricca, Trattato di chimica applicata, Napoli, Fibreno, 1838, tomo II, parte I, pp. 59-60)
Il gas azoto non ha caratteri positivi, e non si può distinguere che per caratteri negativi che sono per la maggior parte in comune con altri corpi coi quali si può confondere facilmente. Questo gas è inodore, incolore, ed insapore, è poco più leggiero dell’aria atmosferica essendo il suo peso specifico di 0.976 secondo Berzelius e Dulong. (Conoscenze elementari di fisica e chimica compilate per un corso d’insegnamento da Francesco Sav.o Scarpati, Napoli, Tipografia del Tasso, 1839, p. 140)
Come si vede, fin dalle prime attestazioni per ‘senza sapore’ si oscilla tra insaporo, sul modello di inodoro, e insapore, sul modello di incolore. In genere, come si vede dagli esempi qui citati e da numerosi altri reperibili, quando due o tre di questi aggettivi si presentano insieme, l’uno dopo l’altro a descrivere le proprietà di una sostanza, chi scrive li uniforma morfologicamente: Acquista scrive “è inodoro, insaporo” e Scarpati “è inodore, incolore, ed insapore”. La sostanziale intercambiabilità semantica tra le due serie è evidente.
Resta da verificare quale sia il comportamento flessivo degli aggettivi della serie con singolare in ‑e. Chi ci ha scritto si chiede se questi aggettivi siano invariabili o abbiano un regolare plurale come aggettivi della classe in ‑e/‑i. Per verificare l’uso, sono d’aiuto solo forme in cui l’aggettivo si presenti al femminile plurale, dato che un maschile plurale sarebbe in -i sia in corrispondenza di un maschile singolare in ‑e che di uno in ‑o.
La ricerca della sequenza “sostanze insapori” non offre risultati dal corpus di Google libri; una ricerca della stessa sequenza in rete (fatta tramite Google il 18 luglio 2023) offre una sessantina di risultati, ma si ha anche un’ottantina di risultati per “sostanze insapore”, caso in cui non possiamo sapere se si tratti di insapore usato come aggettivo invariabile o di un regolare plurale femminile di insaporo. Disperante è una frase, riportata virgolettata in diverse fonti giornalistiche, attribuita a Souad Sbai, giornalista e politica italiana di origine marocchina (dunque parlante probabilmente non nativa di italiano, ma senz’altro altamente competente), che nel dicembre 2008 ha subito un avvelenamento. Testate diverse virgolettano un’affermazione di Sbai in due forme diverse:
È a New York che l’esperto di medicina tropicale Kevin M. Cahill e il tossicologo Lewis Goldfank avanzano l’ipotesi di un avvelenamento per ingerimento di “cristalli di acido solforico, idrossido di sodio o acido idrocloridico”. “Sostanze insapore e inodore, già utilizzate in passato dagli integralisti pakistani” chiosa Sbai, secondo la quale qualcuno avrebbe mescolate al suo cous cous: “Se lo avessi mangiato tutto sarei già morta”. (Elvio Pasca, Souad Sbai: “Mi hanno avvelenata”, stranieriinitalia.it, 5/3/2010)
non c’è certezza della diagnosi fino a che, a New York, autorevoli esperti ipotizzano l’avvelenamento da “cristalli di acido solforico, idrossido di sodio o acido idrocloridrico”. “Sostanze insapori e inodori già utilizzate in passato dagli integralisti pakistani” spiega la deputata. (Franca Fossati, Veleni chimici e veleni simbolici, donnealtri.it, 12/3/2010, già pubblicato il 10/3/2010 su “Europa”)
Non possiamo quindi sapere cosa davvero abbia detto Sbai; però questi testi dimostrano che l’uso giornalistico contemporaneo, se fa interventi redazionali su testi virgolettati, non è uniforme nella scelta del plurale femminile di questi aggettivi.
Interessante è capire perché diverse delle persone che ci hanno scritto ritengano che aggettivi come incolore, inodore e insapore debbano essere invariabili. Si tratta di aggettivi che hanno una struttura piuttosto rara in italiano: appaiono costituiti dal prefisso in‑ con valore negativo seguito da un nome che termina in ‑e (e che appare in una forma che coincide con la sua forma di citazione). Questa struttura non corrisponde a uno schema produttivo di formazione di aggettivi in italiano: le forme che lo presentano sono o esiti di aggettivi già esistenti in latino (come incolore) o formazioni analogiche su di essi (come insapore, e inodore rispetto a inodoro). Come spiega bene Iacobini (2004: pp. 186-187), l’analizzabilità sincronica di incolore, che è maggiore di quella di aggettivi come imberbe, implume, formati in latino con lo stesso procedimento di incolore, ma in italiano non analizzabili come prefissazione di in‑ alle basi barba e piuma, è frutto di “puri accidenti di fonologia storica”. Se non abbiamo dubbi sul fatto che si dica fanciulli imberbi e uccellini implumi, non dovremmo neppure dubitare del fatto che si dica piatti insapori o olive insapori (esempi citati da chi ci ha posto quesiti). Eppure c’è chi ne dubita, al punto da rivolgerci un quesito in materia. Questa incertezza va forse interpretata come spia del fatto che a parlanti dell’italiano di oggi gli aggettivi incolore, inodore e insapore, morfologicamente anomali perché non frutto di una regola di formazione produttiva, appaiono elementi tanto estranei al sistema da essere trattati come invariabili.
La percezione di invariabilità di aggettivi formati da un nome in ‑e preceduto da un prefisso si estende anche ad altri aggettivi, come tricolore (su cui pure ci è stato posto un quesito), e anche monocolore, bicolore, multicolore e altri. Il trattamento di questi aggettivi da parte di chi parla e scrive italiano sembra assai oscillante: per esempio, nel corpus ItTenTen20, contenente oltre 12 miliardi di occorrenze di parole da testi reperibili in rete, si hanno 14 occorrenze di palloncini multicolore e 39 di palloncini multicolori, dunque prevale qui la flessione a due uscite sull’invariabilità, ma quando lo stesso aggettivo modifica pareti la tendenza è opposta: pareti multicolore 150 vs. multicolori 8. Ci si chiede se il genere del nome modificato abbia un’influenza sulle scelte di chi scrive. La questione andrebbe approfondita, ma in questa sede ci porterebbe troppo lontano.
Concludiamo tornando a parlare di incolore. Alla ricerca di usi spontanei di questo aggettivo al plurale, ho voluto controllare la traduzione di una frase molto famosa negli studi di linguistica, Colorless green ideas sleep furiously. Questa frase è stata usata da Noam Chomsky nel suo Syntactic Structures (1957) per dimostrare che essere grammaticale, nel senso di sintatticamente ben formato, non è lo stesso che essere semanticamente interpretabile. Nella traduzione italiana di Francesco Antinucci (Le strutture della sintassi, Roma-Bari, Laterza, 1970, nota 1, p. 177) la frase è tradotta come in (1a); nel libro di Giorgio Graffi Sintassi (Bologna, il Mulino, 1994, p. 17) la traduzione adottata è quella in (1b):
(1)
a. idee verdi prive di colore dormono furiosamente
b. idee verdi senza colore dormono con furia
Viene spontaneo chiedersi come mai Antinucci e Graffi abbiano optato per la traduzione con un sintagma invece che con un singolo aggettivo; l’ipotesi che fossero in dubbio su quale forma di plurale usare per incolore si può avanzare, ma risulta improbabile; la testimonianza dei due autori, da me interrogati sul perché della rispettiva scelta traduttiva, rivela infatti che le motivazioni furono altre. Antinucci (email ad Anna M. Thornton del 31 luglio 2023) scrive:
In primo luogo, non credo di aver dato particolare importanza alla traduzione di quella frase, dato che il suo scopo era solo quello di mettere in luce quello che era un tema centrale di Chomsky, l’autonomia della sintassi. Quindi qualunque frase ben formata con un contenuto semantico assurdo o contraddittorio sarebbe andata ugualmente bene. Neutramente, ho scelto quella più vicina alla lettera. Non ricordo se ho considerato alternative. Forse l’unica era “senza colore”, ma lo statuto del “senza” non era così lineare come la testa aggettivale “prive”. Naturalmente era invece impossibile usare “incolori” che si presta ad altri significati.
Graffi (email ad Anna M. Thornton del 27 luglio 2023) scrive:
non penso che il motivo (più o meno inconscio) che mi ha indotto a tradurre ‘colorless’ con ‘senza colore’ sia la mia incertezza [...] perché, nel mio idioletto, esiste soltanto ‘incolori’. Penso piuttosto di essere stato spinto dal fatto che la resa del suffisso negativo inglese tramite il corrispondente prefisso italiano fosse, per così dire, un po’ troppo debole, e quindi ho preferito sottolinearla di più mediante il ricorso a una preposizione bisillaba come ‘senza’.
Entrambi gli autori, quindi, attestano esplicitamente che se avessero deciso di usare l’aggettivo incolore la forma plurale che avrebbero selezionato (o almeno, che selezionerebbero oggi) sarebbe stata incolori; la scelta di non usare l’aggettivo è dovuta non a incertezza sulla forma del plurale, ma ad altre motivazioni (tra le quali colpisce, in Antinucci, l’idea che usare incolori sarebbe stato addirittura “impossibile”, presumibilmente perché nel suo significato metaforico l’aggettivo potrebbe accompagnare idee in modo semanticamente interpretabile).
In altre sedi in cui si traduce o si cita, anche con variazioni, la stessa frase, l’aggettivo colorless è tradotto con incolori (e mai con incolore, che ne attesterebbe l’uso come invariabile). In (2a) si presenta una ripresa della frase contenuta in un saggio di Tullio De Mauro (Il valore delle parole, Roma, Treccani, 2019, pag. 164; il testo è una ripubblicazione in volume della voce Semantica contenuta nell’Enciclopedia del Novecento, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1982); in (2b) il testo stampato su una borsa di cotone prodotta dalla casa editrice nottetempo nel 2022 (ringrazio Silvia Ricci per la segnalazione); Google traduttore traduce come in (2c), e Wikipedia come in (2d):
(2)
a. Quel pazzo di Tullio pensa che le idee verdi sono incolori e, per giunta, dormono furiosamente
b. Verdi idee incolori dormono furiosamente - Noam Chomsky
c. idee verdi incolori dormono furiosamente
d. incolori idee verdi dormono furiosamente
Dunque nell’italiano degli ultimi decenni il trattamento di incolore come normale aggettivo della classe a due uscite è ben attestato, anche da fonti autorevoli, come De Mauro, Antinucci e Graffi.
Se una tendenza all’invariabilità di incolore e degli altri aggettivi qui discussi si affermerà, si vedrà nel tempo. Al momento, nulla osta a trattarli come normali aggettivi della classe di flessione detta “a due uscite”, con singolare maschile e femminile in ‑e e plurale maschile e femminile in ‑i.
Nota bibligrafica: