DOI 10.35948/2532-9006/2025.40561
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Alcuni lettori ci chiedono delucidazioni sulla locuzione volente o nolente, e in particolare su nolente; altri domandano se esista il verbo nolere e l’avverbio nolentieri.
L’aggettivo nolente ‘che non vuole, contrario’ (GRADIT) è un latinismo entrato in italiano nel XVI secolo, che deriva dal latino nolente(m), participio presente del verbo nolle ‘non volere’, formato a sua volta dall’unione di ne ‘non’ e velle ‘volere’ (l’Etimologico). La sua prima attestazione risale al 1530 (abbiamo “nolente in opinione” nei Diarii di Marino Sanuto, a cura di Federico Stefani, Guglielmo Berchet e Nicolò Barozzi, Venezia, Visentini, 1893, tomo XXXVI, p. 545) e, sebbene lo si possa ritrovare da solo (caso in cui può reggere anche una subordinata), è diffuso prevalentemente nella locuzione volente o nolente (documentata già in latino, volens nolens o volens aut nolens, al nominativo singolare), attestata peraltro solo a partire dal XVIII secolo (anche con omissione della congiunzione), “con riferimento alla condizione di chi è costretto o indotto a compiere una data azione, a comportarsi in un modo determinato, a subire particolari iniziative e condizionamenti indipendentemente dalla propria volontà o convinzione” (GDLI, s.v. nolente):
E vi posso dire che volente nolente ho dovuto darmi vinto alle replicate, e in cento maniere variate sperienze distruggitrici del supposto veleno. (Lazzaro Spallanzani [Scandiano, Reggio nell’Emilia 1729 - Pavia, 1799], Epistolario, a cura di Benedetto Biagi, 5 voll., Firenze, Sansoni, vol. I, 1958, p. 256)
Due anni dopo un papa pronunziava la parola del perdono, e poi benediceva l’Italia, e poi, volente o nolente, la sollevava tutta a una nuova crociata contro i barbari. (Giovanni Pascoli, Prose: pensieri di varia umanità, a cura di Augusto Vicinelli, 2 voll., Milano, Mondadori, 1946 (I ed.), vol. I, p. 289)
Accesasi, si dilatò la guerra a incendio universale. Tutti, volenti o nolenti, vi furono tirati dentro. (Benedetto Croce, Storia d’Europa nel secolo XIX, Bari, Laterza, 1957 [I ed., 1932], p. 357)
Il primo impulso... fu di tirar giù la tovaglia con quanti cristalli e argenteria vi stavano sopra, slanciarsi su Bosso e prenderlo a schiaffi, quindi afferrare per un braccio Marta e, volente o nolente, costringerla a venire via con lui. (Alberto Moravia, La tempesta, in Id., I racconti, Milano, Bompiani, 1954, p. 345)
Rispondiamo ora al lettore che ci chiede se si possa dire volente o non volente: l’espressione ormai fissa prevede l’aggettivo nolente ma dal punto di vista semantico non volente non è sbagliato. Già in latino, il verbo nolle (di cui ricordiamo il paradigma nolo, non vis, nolui, nolle) alternava nella coniugazione forme sintetiche (come nolumus ‘non vogliamo’) a forme analitiche, ossia non unite in un’unica parola (come ad esempio non vult ‘non vuole’). Il participio presente latino, comunque, è sempre stato sintetico (nolens) e l’alternanza, in italiano, della locuzione con nolente a quella con non volente si potrebbe spiegare con la poca fortuna che ha il verbo nolere in italiano (cfr. infra). Volente o non volente è registrata dal GDLI come variante di volente o nolente, con attestazioni anche letterarie:
Dal verso trentesimo al verso cinquantesimo sesto della sonettessa seconda i poeti romantici (quali sono, volenti o non volenti, i più de’ poeti odiernissimi) sono ripresi di viltà e di poco amore alla patria. (Giosuè Carducci, Prose giovanili, in Id., Opere, 30 voll., Bologna, Zanichelli, 1935-1940, vol. V, 1936, p. 141)
Un altro lettore ci chiede se la forma corretta della locuzione non sia volente o dolente, anziché nolente. Il verbo latino doleo (da cui l’it. dolere, usato anche come intransitivo pronominale dolersi ‘rammaricarsi’, ‘dispiacersi’, con part. pres. dolente), a quanto ci risulta, non rientra nella categoria dei verba voluntatis, cioè dei verbi che esprimono volontà (o la mancanza di essa, come dovrebbe essere in questo caso). La forma volens dolens non è attestata in latino mentre troviamo alcune attestazioni ironiche dell’espressione in italiano:
In fondo che sia un poliziotto o un delinquente poco importa, la società che egli ha scrutato per tanto tempo si vendica consegnandogli una immagine codificata e spesso indesiderata. Volente o dolente egli entra a far parte del catalogo dei tipi urbani. (Giampaolo Nuvolati, L’interpretazione dei luoghi: flânerie come esperienza di vita, Firenze, Firenze University Press, 2013, p. 63)
Mentre negli anni ’80/’90 c’era solo il telefono o le riviste di gossip, e volente o dolente, i momenti dedicati al parlare al telefono o leggere i giornali erano solo un ritaglio della giornata, poi ci si concentrava su altro. (Michele Damiano, Sono perché siamo. Nascere bravi genitori è solo questione di fortuna, diventarlo è solo questione di scelte, Lecce, Youcanprint, 2025 [edizione digitalizzata])
L’espressione volente o dolente, nei pochi casi in cui è usata, se non è un semplice lapsus, ma sembra costituire un gioco ironico con cui si contrappone l’azione compiuta volontariamente a quella subìta contro la propria volontà, che quindi provoca un dispiacere, un dolore. Rispondiamo quindi al lettore che questa variante rappresenta un gioco di parole e che non ha molto senso chiedersi se si possa usare o meno.
Passiamo ora alle domande sul verbo nolere: il verbo italiano nolere, attualmente poco noto e usato, è una voce dotta modellata su volere a partire dal latino nolle, attestata fin dalle origini dell’italiano, e registrata dal solo GDLI con il significato di “non volere, non desiderare qualcosa” e anche “essere riluttante a compiere una data azione, a comportarsi in un modo determinato”. Le attestazioni, come dicevamo, riguardano prevalentemente l’italiano antico [1] e [2] (fonte TLIO); nel GDLI se ne ritrova una più recente di àmbito letterario in un’opera di Gadda, autore il cui virtuosismo linguistico è ben noto [3]:
[1] Mo’ ti veggio andar povero e solo, / e io dolente seguitarti nolo? (Felice da Massa Marittima, La fanciullezza di Gesù, in Cantari religiosi senesi del Trecento, a cura di Giorgio Varanini, Bari/Roma, Laterza, 1965, pp. 193-305, p. 289)
[2] tal si gabba dell’altru’iscorno, / che può venire a tempo ch’elli nole... (Cino da Pistoia, Rime, in Poeti del Dolce stil novo, a cura di Mario Marti, Firenze, Le Monnier, 1969, pp. 431-923, p. 849)
[3] Era, il Priapo, uno orecchiuto quadrupede che nolea di fave né di favole, però che solo paglia d’asino pascea. (Carlo Exmilio Gadda, Il primo libro delle favole, Milano, Garzanti, 1969, p. 103 [I ed., Venezia, Neri Pozza Editore, 1952])
Rispondiamo ora al lettore che ci chiede se si possano coniugare i verbi della locuzione al gerundio: volendo o nolendo. Appurato che in italiano esiste, seppur ormai in disuso, il verbo nolere, nulla ci vieterebbe di usarlo in diversi modi e tempi nella stessa locuzione, nonostante che la forma lessicalizzata, ricordiamo, sia con il participio presente. Il dubbio del lettore potrebbe provenire dall’eco di volendo con il significato di ‘se si desidera’ e non volendo ‘senza intenzione’ (Devoto-Oli online); comunque sia, ricordiamo che la locuzione con participio presente ha valore aggettivale (“Matteo volente o nolente andò da Anna”), proprio perché il verbo coniugato in tale modo e tempo assume questa funzione. D’altra parte, usare il gerundio imporrebbe un vincolo di soggetto, poiché tale modo “è strettamente connesso a un verbo finito, sia che i due verbi costituiscano due frasi distinte [...], sia che diano luogo a una sola struttura verbale” (come nei verbi fraseologici, Serianni 1988, XI.421). Dunque nell’uso di volendo o nolendo, dovremmo stare attenti al soggetto della principale da cui dipende, per non incorrere in un eventuale gerundio irrelato (per un approfondimento sul gerundio si legga la risposta di Marcello Barbato, Dubbi sul gerundio). Considerata la scarsa diffusione del verbo nolere, si consiglia, per la locuzione al gerundio, l’uso di volendo o non volendo. Per completezza diciamo anche che il verbo latino nolle sopravvive in italiano anche nella locuzione noli me tangere, propriamente ‘non mi toccare’ (dal monito, variamente interpretato, con il quale Gesù, appena risorto, si rivolge a Maria Maddalena), e che è usata nei linguaggi specialistici della botanica e della medicina per indicare rispettivamente alcune tipologie di piante (come le cosiddette impaziente e sensitiva) e una tipologia di cancro, ma diffusa principalmente come aggettivo scherzoso per riferirsi a una persona ‘scostante’ o per invitare qualcuno a tenersi alla larga (GRADIT e Devoto-Oli online).
Un lettore ci chiede se sia possibile usare l’avverbio nolentieri: in italiano la parola non trova attestazioni (almeno nei corpora consultati); inoltre abbiamo a disposizione l’avverbio malvolentieri, attestato fin dal XIII secolo e formato da male e volentieri, con il significato a cui il lettore fa riferimento: ‘contro voglia, di malavoglia, a malincuore’ (a differenza di malvolere ‘volere male’, che non è sinonimo di nolere ‘non volere’, Sabatini-Coletti 2024).
Ricordiamo infine che esiste il sostantivo nolontà, dal latino noluntāte(m) (modellato su volŭntas), diffuso soprattutto in àmbito filosofico, per indicare “la fuga dal male” nel pensiero tomista e “la negazione della volontà di vivere” in Schopenhauer (Sabatini-Coletti 2024). Diffusa è anche l’accezione di ‘atto con cui si nega la volontà, intesa come atto da controllare’ e, in psicologia ‘assenza di volontà, resistenza della volontà a un impulso’ (GRADIT). Il sostantivo, attualmente, risulta attestato sporadicamente e posto a volte tra virgolette, nei quotidiani con il significato di ‘mancanza di volontà’:
una mal distribuzione del personale sanitario [...]; un’assenza completa di verifica e utilizzo, non personalistico, degli spazi; l’assoluta nolontà di mettere mano alla proliferazione di ruoli primari, spesso inesistenti, senza reparti e addirittura senza personale [...]. (Luigi Finelli, Policlinico diagnosi di un male, “la Repubblica”, ediz. Napoli, 17/10/2013, p. 1)
È vero che a suo tempo, per “nolontà” inglese, la Ue non ottenne poteri su una politica sanitaria comune. (Massimo Giannini, La solidarietà che serve all’Europa, lastampa.it, 28/3/2021)
In definitiva, volente o nolente continua a essere la forma maggiormente attestata della locuzione, ma si possono trovare sporadiche occorrenze di volente o non volente e, al gerundio, di volendo o nolendo, sebbene il verbo nolere sia ormai disusato (per cui si preferisce usare la forma volendo o non volendo). L’avverbio nolentieri non ha attestazioni e non ha ragione di esistere perché in italiano abbiamo l’avverbio malvolentieri mentre il sostantivo nolontà, da termine usato prevalentemente in àmbito filosofico, comincia a diffondersi anche nei quotidiani per indicare ‘mancanza di volontà’ e pure ‘non curanza’.