Consulenza linguistica

Cucinare val più di cuocere

  • Sergio Lubello
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2025.40572

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Copyright: © 2025 Accademia della Crusca


Quesito:

Alcuni lettori pongono qualche domanda sul verbo cucinare, a cominciare dalla distinzione semantica, se c’è, con il verbo cuocere.

Cucinare val più di cuocere

I verbi cucinare e cuocere sono entrambi duecenteschi (il primo attestato dalle Rime di Guittone d’Arezzo, il secondo da Giacomo da Lentini; cfr. TLIO) e di derivazione latina (rispettivamente dal latino volgare *cocināre, variante del latino tardo coquināre, e dal latino volgare *cŏcĕre per il classico cŏquĕre; cfr. DELI, ma non sono sinonimi, perché descrivono due aspetti distinti del processo alimentare: cucinare ha un significato più ampio e riguarda l’intero processo di preparazione del cibo, che include una serie di attività che vanno dalla scelta degli ingredienti alla loro lavorazione, fino alla loro cottura. Cucinare, quindi, implica un’azione complessa e articolata, che può comprendere anche la selezione e la combinazione degli ingredienti, l’aggiunta di condimenti, l’uso di strumenti specifici, la preparazione di piatti complessi (“cucinare una pasta, un risotto, un dolce” ecc.) e anche l’aspetto creativo e culturale della preparazione del cibo, spesso legato a tradizioni gastronomiche (“cucinare alla francese”).

Il verbo cuocere ha invece un significato più tecnico e circoscritto, quello di ‘sottoporre a calore’ e si riferisce, in relazione al cibo, a operazioni come bollire, friggere, arrostire o infornare; quindi cuocere si concentra solo su una parte specifica del processo di preparazione degli alimenti, cioè sulla trasformazione crudo > cotto tramite il calore (del forno, dei fornelli), senza includere altre attività preparatorie: si può dire cuocere la carne o, più genericamente, cucinare la carne, ma non si può dire cuocere una ricetta, un piatto. In sintesi: tutto ciò che si cuoce si cucina, ma non tutto ciò che si cucina si cuoce. Il significato più ampio di cucinare spiega perché un lettore ha sentito in una trasmissione televisiva, con riferimento a una pietanza messa sul fuoco: “lasciamo cucinare” invece di “lasciamo cuocere” (ma si tratta di un uso non recente: per es. nella 3a ed. del Nuovo cuoco milanese di Giovanni Felice Luraschi (Milano, Carrara, 1853), a p. 170 si legge: “fatelo cucinare al dolce fuoco”, cfr. il corpus AtLiTeG).

I diversi significati dei due verbi si riflettono anche nelle espressioni idiomatiche, nelle collocazioni e locuzioni in cui si usano: cucinare è spesso associato a un impegno più complesso o a un’arte (“cucinare con amore”, “cucinare per i bisognosi”, “cucinare in modo tradizionale”); cuocere, invece, è più focalizzato sull’atto fisico della preparazione attraverso il calore: “cuocere al forno, in pentola, alla griglia”, e in espressioni che riguardano il tempo e la temperatura necessari per la cottura, come ad esempio “cuocere per 30 minuti” o “cuocere a fuoco lento”.

Una lettrice chiede precisazioni sulla intransitività del verbo: cucinare può essere sia transitivo (“cucinare il risotto”), sia intransitivo (“cucinare per gli ammalati”) e può essere usato anche con valore assoluto nel senso di ‘fare da mangiare’, ‘preparare il cibo’, ‘fare da cuoco’, senza specificare che cosa si stia cucinando (“stava cucinando, quando sono entrato”; “so cucinare abbastanza bene”; “mi piace cucinare”).

Alla confusione di un lettore sulla forma corretta del passato remoto la risposta è semplice: cucinai e cossi sono forme entrambe corrette, rispettivamente di cucinare e cuocere.

Infine, per quanto riguarda alcuni usi regionali e colloquiali, un lettore pugliese chiede chiarimenti sulla frase “vado a cucinare a mio marito”: in questo caso è sufficiente un intervento minimo nella reggenza del verbo, con la sostituzione della preposizione a con per (“vado a cucinare per mio marito”), in linea con l’uso più diffuso nell’italiano di oggi (“cucinare per qualcuno, per gli amici, per la propria famiglia” ecc.).

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