DOI 10.35948/2532-9006/2021.14653
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Modellato sull’inglese infodemic, infodemìa è una delle parole nuove entrate in circolazione e diventate rilevanti negli ultimi due anni, durante la pandemia e per effetto della pandemia.
Etimologia e storia della parola
Il termine infodemic è stato lanciato sulla ribalta mediatica internazionale dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS o, in inglese, WHO) il 2 febbraio 2020, con la pubblicazione del 13° rapporto sul Novel Coronavirus, il “nuovo coronavirus”, ancora chiamato 2019-nCoV. Appena due giorni prima l’epidemia scoppiata a Wuhan a fine 2019 viene dichiarata “emergenza sanitaria di interesse internazionale”, ma in termini ufficiali non si parla ancora di pandemia (lo stato di allerta pandemico verrà dichiarato dall’OMS l’11 marzo 2020). Eppure, già all’inizio di febbraio l’OMS richiama l’attenzione di governi e istituzioni su un’emergenza parallela, correlata a quella sanitaria – e altrettanto perniciosa – che investe il piano della comunicazione. Nel documento citato questa emergenza viene descritta appunto come “un’imponente ‘infodemia’, un eccesso di informazioni – alcune accurate e altre no – che rende difficile alle persone trovare fonti affidabili e indicazioni attendibili quando ne hanno bisogno” [traduzione nostra dell’originale: a massive ‘infodemic’ - an over-abundance of information – some accurate and some not – that makes it hard for people to find trustworthy sources and reliable guidance when they need it].
Per i linguisti infodemic è una “parola macedonia” (un blend, nella terminologia linguistica inglese), formata dalla fusione di info(rmation) e (epi)demic, da cui derivano, oltre all’italiano infodemia, anche l’omonimo spagnolo e portoghese, il francese infodémie, il tedesco Infodemie, l’ungherese infodémiás, lo svedese infodemisk, solo per fare qualche esempio. In altre parole, il termine è diventato immediatamente un internazionalismo, cioè un prestito adottato contemporaneamente, in forma integrale o adattata, in più lingue.
Dal punto di vista formale, l’adattamento del termine inglese in italiano, come in altre lingue, non ha creato problemi, dal momento che le parole da cui sono stati “staccati” i costituenti info- e -demic hanno radici classiche. L’elemento info- è la prima parte di information ‘informazione’ – che l’inglese mutua dal latino informatiōne(m), anche attraverso il francese (cfr. OED) – ed è presente in altri prestiti angloamericani formati con lo stesso procedimento ed entrati nella nostra lingua già a partire dagli anni ’80 del secolo scorso (infopoint, infotainment, infografica); esiste inoltre, sia in inglese sia in italiano, l’accorciamento info ‘informazioni’. Il secondo elemento -demic è la parte finale di epidemic ‘epidemia’ che, invece, ha origini greche: dal nome epidemía che deriva dall’aggettivo epídēmos, composto di èpi- ‘sopra, in’ e dêmos ‘popolo’, letteralmente ‘che è nel/fra il popolo’ e quindi ‘residente in un luogo; diffuso, pubblico’ (cfr. DELI; l’Etimologico). Epidemia significa originariamente ‘dimora, residenza, permanenza in un posto’, ma passa nel latino medievale e poi nelle lingue romanze come voce dotta nel significato medico di “diffusione abnorme di una malattia infettiva che contagia per contatto diretto o indiretto” e con quello estensivo di “malattia pericolosamente contagiosa” (TLIO); in italiano è attestata già dal 1282 (cfr. ancora TLIO), mentre in inglese arriva attraverso la mediazione del francese nella forma epidemy, sostituita poi dall’aggettivo sostantivato epidemic, abbreviazione di epidemic disease (cfr. OED). Questa sostituzione determina la differenza formale tra il termine inglese e quello dell’italiano e delle altre lingue romanze, che hanno ripreso la terminazione greca in -ia (-ie in francese).
La parola infodemic, però, non è nata nel 2020 e non è stata coniata dall’OMS. Come ha segnalato tempestivamente Licia Corbolante in un post pubblicato sul sito Terminologia etc. il 3 febbraio 2020 (e successivamente aggiornato), infodemic compare per la prima volta in un articolo pubblicato sul “Washington Post” l’11 maggio 2003 (When the Buzz Bites Back) a firma di David Rothkopf, politologo americano, consulente ed esperto di politica estera e affari internazionali. Nell’articolo – di cui citiamo qui alcuni passaggi iniziali in traduzione nostra, ma che varrebbe la pena leggere per intero – parola e concetto vengono introdotti e discussi per riflettere sul decorso e sugli effetti, non solo sanitari, ma anche politici ed economici a livello globale di un’altra epidemia, quella di SARS scoppiata in Cina alla fine del 2002. L’articolo si apre significativamente con questa premessa:
Quella della SARS è la storia non di una ma di due epidemie e la seconda epidemia, che è in gran parte rimasta fuori dai titoli dei giornali, ha implicazioni molto più ampie della malattia stessa. Questo perché non è l’epidemia virale, ma piuttosto un’“epidemia d’informazioni” [“information epidemic”] che ha trasformato la SARS, o sindrome respiratoria acuta grave, da crisi sanitaria cinese, confusa e arealmente circoscritta, in una débâcle sociale ed economica globale.
Senza minimizzare il tributo pagato in termini di persone contagiate e decedute a causa del virus, Rothkopf sottolinea, anzi, che “l’epidemia informativa o ‘infodemia’ [the information epidemic or ‘infodemic’] ha reso la crisi sanitaria più difficile da controllare e contenere”.
Subito dopo, Rothkopf descrive così il significato della parola da lui coniata:
Cosa intendo esattamente per "infodemia"? Alcuni fatti, mescolati alla paura, alla speculazione e alle voci, amplificati e trasmessi rapidamente in tutto il mondo dalle moderne tecnologie dell'informazione, hanno influenzato le economie nazionali e internazionali, la politica e persino la sicurezza in modi assolutamente sproporzionati rispetto alla realtà di fondo.
È interessante notare come, quasi due decenni dopo, le parole pronunciate da Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, nel suo intervento del 15 febbraio 2020 alla 56a Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, riecheggino quelle usate da Rothkopf nel suo articolo del 2003:
“Non stiamo combattendo soltanto un’epidemia; stiamo combattendo un’infodemia. Le notizie false si diffondono più rapidamente e più facilmente di questo coronavirus e sono altrettanto pericolose” - @DrTedros at #MSC2020 #COVID19 (traduzione nostra del tweet pubblicato il 15/2/2020 sull’account ufficiale del WHO).
A ben guardare, il campo metaforico della malattia epidemica e del contagio trova larga applicazione nella descrizione dei meccanismi di trasmissione delle informazioni almeno da quando è nata Internet: la metafora stessa dell’“epidemia di informazioni” è presente nella letteratura informatica, sociologica e delle varie discipline che studiano i media e la comunicazione fin dagli anni ’90 del secolo scorso. Solo a titolo esemplificativo, se si digita la stringa “epidemic of information” nel motore di ricerca Google Scholar e si circoscrive la ricerca alle pubblicazioni anteriori al 2020, si ottiene come risultato che l’espressione è presente in 45 testi (il primo del 1998); un risultato analogo si ottiene per la stringa “epidemic of misinformation” (52 testi, il primo del 1994), mentre per “epidemic of disinformation” i risultati sono solo 4 e tutti del 2019 (sulla distinzione fra misinformation e disinformation torneremo brevemente in seguito).
Un altro dato interessante è che nell’ambito di ricerca interdisciplinare denominato in inglese Health Information o Health Communication la metafora della proliferazione virale dell’informazione è servita come base alla creazione di un’altra “parola macedonia”: proprio nello stesso periodo in cui Rothkopf conia infodemic in ambito giornalistico, su una rivista specializzata come “The American Journal of Medicine” compare per la prima volta la parola infodemiology, adattata poi in italiano nella forma infodemiologia (la prima attestazione del termine italiano, reperibile su internet, è del 2013 negli Atti della II edizione delle Giornate degli Specializzandi in Igiene e Medicina Preventiva tenutesi a Napoli il 14 e 15 marzo 2013 ). Più precisamente, nell’editoriale pubblicato il 15 dicembre 2002, intitolato Infodemiology: the epidemiology of (mis)information, il ricercatore tedesco-canadese Gunther Eysenbach usa questo termine, nato dalla fusione di information + epidemiology, per designare una nuova metodologia e una nuova area di ricerca: come l’epidemiologia studia la frequenza con cui si manifestano le malattie, la loro diffusione all’interno di una popolazione e le condizioni che ne favoriscono o ostacolano lo sviluppo (cfr. Enciclopedia Treccani s.v. epidemia) così l’infodemiologia studia la distribuzione delle informazioni mediche e la loro diffusione attraverso internet e identifica una serie di criteri per distinguere i siti o le fonti che diffondono informazioni sulla salute corrette e affidabili da quelli che diffondono informazioni non verificate o verificabili.
In un altro articolo del 2009 lo stesso autore ritorna sull’argomento precisando metodi, strumenti e raggio d’azione dell’infodemiologia, a cui peraltro viene affiancato un altro termine, infoveillance (da information + surveillance, traducibile in italiano con infosorveglianza) che indica il monitoraggio dei dati offerti dall’infodemiologia (una prima descrizione di questi termini è anche in Corbolante 2020 e in Mistretta 2020). Eysenbach apre il primo paragrafo del suo contributo mettendo in esergo un’autocitazione:
The Internet has made measurable what was previously immeasurable: The distribution of health information in a population, tracking (in real time) health information trends over time, and identifying gaps between information supply and demand.
We need to build tools now to manage future infodemics. I would define an infodemic as an excessive amount of unfiltered information concerning a problem such that the solution is made more difficult. (Gunther Eysenbach)
[Internet ha reso misurabile ciò che prima non lo era: la distribuzione delle informazioni mediche in una popolazione, il monitoraggio (in tempo reale) delle informazioni mediche più cercate in rete nel tempo, e l’identificazione di scarti fra la domanda e l’offerta di informazione.
Dobbiamo costruire oggi gli strumenti per gestire le future infodemie. Definirei un’infodemia come una quantità eccessiva di informazione non filtrata su un problema, che rende più difficile risolverlo].
Come si vede, nella seconda parte della citazione, che non rimanda ad alcun testo precedente, anche Eisenbach introduce la parola infodemic e ne offre una definizione.
A partire dai primi anni del 2000, quindi, la metafora del contagio informativo e, in qualche misura, anche la parola infodemic hanno avuto una loro circolazione nell’ambito degli studi sulla comunicazione medica attraverso Internet, a testimonianza del fatto che i meccanismi di diffusione e ricezione delle informazioni sulla rete sono stati percepiti e studiati abbastanza presto come un problema connesso con la salute pubblica, e la questione è divenuta addirittura pressante con il diffondersi delle epidemie nel XXI secolo (nel 2003 la SARS, nel 2009 l’influenza H1N1, nel 2012-13 la MERS in medio oriente, nel 2014 l’ebola nell’Africa occidentale, ecc.).
Verosimilmente è a partire da quest’ambito che la parola infodemic filtra nel lessico del settore di studi che si occupa della comunicazione del rischio in situazioni di emergenza sanitaria. In questo dominio il termine compare, infatti, in documenti di organismi internazionali: è attestata, per esempio, nelle linee guida dell’OMS intitolate Managing epidemics: key facts about major deadly diseases del 2018 (come documenta Corbolante nel post già citato) o, ancora prima, in uno studio del 2006 del World Economic Forum di cui riferisce Giancarlo Manfredi nel libro Infodemia. I meccanismi complessi della comunicazione nelle emergenze, edito da Guaraldi nel 2015. Quest’ultimo è, per l’appunto, il primo testo in italiano dedicato alla descrizione del fenomeno e il primo in cui compare il termine infodemia, ma questa attestazione rimane isolata fino a febbraio del 2020.
Solo dopo gli interventi dell’OMS, susseguitisi a partire dal 2 febbraio 2020, infodemic e i suoi corrispondenti nelle altre lingue sono stati ripresi dagli organi d’informazione su scala nazionale e internazionale e hanno cominciato a circolare nei vari media, con gradi diversi di precisione e adeguatezza d’uso.
Infodemic diventa una voce dell’OED a partire dal mese di giugno del 2020; infodemia viene registrato nella sezione Neologismi 2020 del Vocabolario Treccani online ed entra nel lemmario dello Zingarelli 2022 e del Devoto-Oli 2022.
Significato della parola
Come spesso succede con le parole nuove, il neologismo coniato da Rothkopf nel 2003 dà nome a un fenomeno che nella sostanza non è nuovo: la proliferazione di voci e notizie, il loro diffondersi rapido e incontrollato in situazioni di crisi che investono una collettività, con il corollario di effetti negativi che ne discende (panico e comportamenti antisociali o irresponsabili che aggravano la situazione di partenza) sono reazioni note, documentate e descritte da storici e scrittori di tutti i tempi e a tutte le latitudini, ancor prima che dagli psicologi delle masse e dai sociologi della comunicazione. Valga per tutti il richiamo, già da molti evocato, ai capitoli dei Promessi sposi dedicati alla peste, da cui citiamo solo un breve passo particolarmente pregnante:
Da’ trovati del volgo, la gente istruita prendeva ciò che si poteva accomodar con le sue idee; da’ trovati della gente istruita, il volgo prendeva ciò che ne poteva intendere, e come lo poteva; e di tutto si formava una massa enorme e confusa di pubblica follia (cap. XXXII).
Tornando però a tempi più recenti, quel che Rothkopf osserva nel suo articolo del 2003 è che negli ultimi anni (ormai diventati decenni) il fenomeno in questione è diventato sempre più frequente: lo si è visto in azione nelle diverse fasi dell’attuale pandemia, e nelle epidemie che l’hanno preceduta, ma anche, come scrive lo stesso Rothkopf, “nella nostra risposta al terrorismo e persino a eventi relativamente minori come gli avvistamenti di squali”, e potremmo facilmente ampliare e aggiornare la lista di esempi facendo riferimento a tutto un catalogo di emergenze, reali o presentate come tali: terremoti e alluvioni, sbarchi di immigrati, campagne elettorali e referendum.
Inoltre, ciò che è nuovo e che contribuisce a caratterizzare in modo specifico il fenomeno designato come infodemia è che, con lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione, con il moltiplicarsi dei mezzi e degli attori che producono e diffondono contenuti informativi, il flusso di notizie che si genera su un tema “sensibile”, non solo è diventato abnorme, ma circola e si dissemina in modo molto più rapido, esteso e capillare, e le conseguenze che ne discendono sul piano delle reazioni e dei comportamenti sociali sono diventate più imprevedibili, problematiche e difficili da gestire.
Dubbi sulla “correttezza” della designazione
Una delle perplessità segnalate all’Accademia della Crusca sul nome infodemia e sul suo significato è quella di chi istintivamente associa alla metaforica “epidemia di informazioni”, evocata dalla parola infodemia, una connotazione positiva: se a informazione si assegna il significato di “elemento o dato che permette di venire a conoscenza di qualcosa” (GRADIT, accezione 1b) la parola macedonia infodemia può essere decodificata come ‘contagio informativo benefico che produce e diffonde conoscenza’. Dunque il nome è “sbagliato”?
Il secondo dubbio, evidentemente correlato al primo, è quello di chi si chiede se non sarebbe più esatto parlare di disinfodemia, dal momento che ciò che si diffonde attraverso i media vecchi e nuovi non è informazione, intesa come sinonimo di conoscenza, ma disinformazione.
Per rispondere alla prima domanda bisogna considerare che la parola informazione, che entra in combinazione con epidemia a formare infodemia, è usata nel significato neutro di ‘contenuto, messaggio inviato attraverso un canale a uno o più riceventi’ (cfr. GRADIT, accezione 3a). In questo senso informazione e conoscenza non sono sinonimi, ma parole i cui significati stanno in una relazione – possibile, non necessaria – di causa-effetto. Le informazioni producono conoscenza se i dati trasmessi sono fondati e verificati, se la forma del messaggio è adeguata allo scopo e ai destinatari, se i destinatari interpretano correttamente il messaggio e molto altro ancora. Se queste condizioni non si verificano ciò che si produce è disinformazione.
Possiamo allora considerare il fenomeno designato con il termine infodemia come una patologia della comunicazione che ha delle cause e degli effetti. La produzione di un abnorme flusso di informazioni (‘contenuti, messaggi’) di qualità variabile su un certo argomento è ciò che sta a monte del processo comunicativo e ne causa una distorsione, lo rende “insano”; ciò che di conseguenza si produce a valle di questo processo sarà un effetto cognitivo altrettanto distorto: se una comunicazione “sana” produce conoscenza, una comunicazione “malata” produce disinformazione (‘mancata o errata informazione’, cfr. GRADIT, accezione 1). Il nome infodemia, ‘epidemia di informazioni’, designa il fenomeno a partire dalle cause, mentre la designazione alternativa disinfodemia ‘epidemia di disinformazione’ ne mette a fuoco gli effetti.
All’affermazione di infodemia rispetto a disinfodemia ha contribuito probabilmente il fatto che la metafora del contagio informativo si era già rivelata efficace e produttiva sul piano linguistico, considerato che già tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000 l’aggettivo inglese viral e il corrispondente italiano virale avevano esteso il loro significato per descrivere la capacità di diffusione estremamente rapida e capillare di contenuti e unità d’informazione attraverso il web e i mezzi digitali (cfr. la scheda di Vera Gheno).
A questo bisogna aggiungere il problema dell’ambiguità terminologica legata alle parole che in inglese, lingua della comunicazione internazionale, veicolano i diversi significati della parola italiana disinformazione. In italiano, infatti, disinformazione è parola polisemica che ha un’accezione più ampia di “mancanza di informazione; scarsa o errata informazione” e una più ristretta di “insieme di informazioni errate o distorte diffuse intenzionalmente per influenzare l'opinione pubblica su un dato argomento” (GRADIT, accezioni 1 e 2). In inglese, invece, lo spettro semantico coperto dall’italiano disinformazione è ritagliato diversamente ed è veicolato da due distinte parole: misinformation designa in generale qualunque tipo di informazione scorretta o fuorviante, mentre disinformation si riferisce più specificamente alle informazioni false messe in circolazione deliberatamente (cfr. OED e, per un’analisi più articolata e precisa, la scheda di Edoardo Lombardi Vallauri). In prospettiva interlinguistica, quindi, alla parola macedonia disinfodemia, ‘epidemia di disinformazione’, corrispondono due termini diversi, misinfodemic e disinfodemic, non completamente sovrapponibili.
Entrambi i termini sono stati effettivamente proposti e usati in inglese. Per disinfodemic Google restituisce 35.500 risultati (il 9/11/2021); il termine compare, per esempio, in due documenti programmatici dell’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura), pubblicati il 24/4/2020: Disinfodemic: Deciphering COVID-19 disinformation [Disinfodemia. Decifrare la disinformazione sul Covid-19] e Disinfodemic: Dissecting responses to COVID-19 disinformation [Disinfodemia. Dissezionare le risposte alla disinformazione sul Covid-19] (le versioni in inglese e le traduzioni in francese, spagnolo e portoghese sono disponibili a questo indirizzo https://en.unesco.org/covid19/disinfodemic; a quest’altro https://unric.org/it/covid-19-unesco-combattere-la-disinfodemia-ai-tempi-del-coronavirus/ si apre la pagina in italiano dell’ONU che presenta i documenti, scaricabili però solo nella versione inglese). Anche misinfodemic è attestato, sebbene in misura molto minore (sempre il 9/11/2021 i risultati su Google sono 4.330).
Posto dunque che esistono nomi diversi per indicare lo stesso fenomeno o quasi, possiamo affermare che la battaglia terminologica tra le forme concorrenti è stata già vinta da infodemic e dai suoi omologhi nelle varie lingue nazionali.
A dimostrazione, riportiamo alcuni fatti di diverso ordine:
Complessità del concetto e diffusione della parola
Il termine infodemia, come già accennato, entra nei titoli e negli articoli dei giornali e, più in generale, viene usato dagli organi d’informazione, a partire dal 2 febbraio 2020, quando viene data la notizia dell’allarme lanciato dall’OMS. In un primo momento, parola e concetto compaiono prevalentemente associati al fenomeno delle fake news, le notizie deliberatamente false o non verificate messe in circolazione online e offline sul virus, sulla sua origine, sui meccanismi di diffusione, sulle cure e via elencando. Riportiamo solo due titoli a mo’ di esempio, il primo con il suo sottotitolo:
Coronavirus, da Bill Gates alla candeggina: le bufale e le contromisure dei social. L'Oms contro l'“infodemia" che insegue l’epidemia arrivata dalla Cina portando con sé manipolazioni e panzane: dalle origini nel laboratorio segreto fino alla moltiplicazione dei casi. Facebook, Twitter e WhatsApp sono alle prese con un’esplosione di contenuti falsi e pericolosi (“Repubblica.it”, 2/2/2020)
Tutelare le persone dal rischio infodemia: nasce un sito contro le fake news (“Corriere della sera”, 25/3/2020)
Fin da subito, però, e sempre di più con il passare del tempo, il fenomeno si manifesta in tutta la sua complessità: non sono solo le notizie false a generare l’infodemia e i suoi effetti nefasti, ma anche le notizie “vere”, fondate, ma date in forma troppo sintetica (perché i tempi e gli spazi di un telegiornale, di un talk show, di un titolo di giornale o di un tweet sono limitati e predeterminati) o fruite in modo frettoloso; spettacolarizzate in vari modi o presentate in modo ambiguo, poco chiaro, anche da fonti autorevoli come quelle istituzionali, o ancora tali da risultare contraddittorie anche quando si tratta di informazioni su dati scientifici. Il tutto in un flusso ipertrofico e continuo di produzione-trasmissione-ricezione-rilancio in cui la disinformazione deliberatamente perseguita (disinformation) e quella non intenzionale (misinformation) si mescolano e si amplificano, generando disorientamento, false credenze e comportamenti incongrui.
Nei due anni trascorsi fino a oggi il termine infodemia si è diffuso ed è stato usato in diversi ambiti: dal giornalismo alla politica, dalla divulgazione scientifica alle discipline specialistiche che studiano i media, la comunicazione e i loro effetti. L’infodemia generata dalla pandemia di Covid-19 e, più in generale, il fenomeno in sé, infatti, sono stati e continuano a essere oggetto di analisi e di discussione.
Nel giornalismo la parola ha avuto un picco di frequenza nel 2020: cercando, per esempio, infodemia nell’archivio online della “Repubblica” si osserva che, su 91 risultati complessivi, 72 sono del 2020 e 19 del 2021, segno che, pur continuando a circolare, parola e concetto hanno subito un ridimensionamento nella stampa quotidiana, dovuto anche al fatto che dopo la campagna vaccinale e il contenimento dei contagi si è progressivamente abbassato l’allarme pandemico e si è parzialmente e parallelamente ridotta anche l’attenzione sul fenomeno infodemia.
L’argomento e la parola si sono però rivelati vitali e rilevanti in molti ambiti.
Solo per fare qualche esempio un studio di tipo infodemiologico è stato condotto in Italia da un gruppo di ricerca della Fondazione Kessler di Trento che “ha monitorato l'andamento della ‘misinformation’ su Twitter processando milioni di dati e realizzando un sistema interattivo di visualizzazione della diffusione dell'infodemia relativa a Covid-19”(Covid-19 infodemics observatory: FBK punto di riferimento globale per l’infodemiologia). Allo stesso ambito appartiene il progetto IRIS “una coalizione di alcune delle migliori organizzazioni accademiche che analizzano fenomeni di infodemia e promuovono la salubrità degli “ecosistemi” dell’informazione. IRIS è un progetto congiunto di Vaccine Confidence Project (London School of Hygiene & Tropical Medicine), University of Cambridge, Università la Sapienza, Ca’ Foscari, City University of London (e Alan Turing Institute) e Harvard T.H. Chan School of Public Health”.
La riflessione sull’infodemia che ci ha investito durante l’attuale pandemia è stata anche oggetto di pubblicazioni di taglio divulgativo come #ZONA ROSSA. Il Covid-19 tra infodemia e comunicazione, di Lelio Alfonso e Gianluca Comin, esperti di media e comunicazione, edito nel 2020 da goWare & Guerini Associati o come Infodemia. Dal «paziente zero» ai vaccini, come il Covid ha contagiato l'informazione, della giornalista Patrizia Gazzotti, pubblicato nel 2021 dalle Edizioni Artestampa.
Al tema sono stati dedicati convegni, come quello organizzato a Venezia il 24 e 25 settembre 2021 intitolato “Farmaco-strategy europea, infodemia e geopolitica dei farmaci”(cfr. notizia ANSA del 20/9/2021); dibattiti in diretta streaming, come quello tenutosi il 29/1/2021 dal titolo “Il giornalismo tra infodemia e servizio essenziale”; podcast, come quello della testata on line “Pagella Politica” del 4/12/2020 intitolato “Nascita di una infodemia: come è circolata la disinformazione sul coronavirus in Italia”; e innumerevoli contributi di sociologi, psicologi, esperti di comunicazione scientifica o di comunicazione del rischio, e anche di linguisti (cfr., per esempio, Nicola Grandi e Alex Piovan, I pericoli dell’infodemia. La comunicazione ai tempi del Coronavirus, pubblicato sul sito di “Micromega” il 26/3/2020 e ora accessibile all’indirizzo http://www.parliamoneora.it/2020/04/05/i-pericoli-dellinfodemia-la-comunicazione-ai-tempi-del-coronavirus-2/).
Il termine infodemia ha un’ampia circolazione anche sui social network come Twitter: numerose sono le occorrenze, anche sotto forma di hashtag, all’interno di tweet in cui il fenomeno è chiamato in causa, a volte per commentare o segnalare iniziative, siti e articoli giudicati autorevoli o al contrario inaffidabili, a volte per polemizzare contro comportamenti o decisioni politiche da punti di vista opposti:
Per fortuna abbiamo un efficacissimo #vaccino contro la cosiddetta #infodemia (valanga di informazioni incomprensibili sulla pandemia): è il profilo Twitter (e/o Instagram e Fb) di @robivil (2/11/2021 https://twitter.com/parloamestessa/status/1455411904600477699)
Intanto i media italiani sono esterrefatti dal fatto che quelli inglesi hanno smesso di parlare del covid, nonostante i 30.000 casi al giorno, così il covid è "scomparso" e gli inglesi se ne fregano. Poi quando parli di infodemia sei un pazzoide con la carta stagnola in testa. (tweet del 8/11/2021)
Mi sembra giusto. Licenziare, limitare le libertà di circolazione (vedasi daspo a @PuzzerStefano) etichettare, urlare contro chi non la pensa come vorrebbe il mainstream, ripetere in loop i vaccini sono la salvezza assoluta. Benvenuti nell’era dell’infodemia. (tweet del 4/11/2021)
Segnaliamo infine che oltre al nome infodemia in italiano è attestato anche l’aggettivo infodemico, usato al maschile per determinare nomi come fenomeno, processo, rischio, osservatorio e al femminile con nomi come ondata, crisi, campagna (vaccinale).
In definitiva, possiamo concludere che il termine infodemia, al pari dell’inglese infodemic, rilanciato dall’OMS per denunciare i pericoli del caos informativo associato all’attuale pandemia, è diventato un tecnicismo delle scienze della comunicazione che si è ben affermato anche al di fuori dei circuiti della comunicazione specialistica e che, per ciò che designa, è destinato a mantenersi a lungo vitale nei nostri studi e nei nostri discorsi.
Nota bibliografica