Parole nuove

Ipermedicalizzazione e demedicalizzazione

  • Kevin De Vecchis
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2021.13646

Licenza CC BY-NC-ND

Copyright: © 2021 Accademia della Crusca


Il sostantivo femminile ipermedicalizzazione, composto dal prefisso greco iper- e dal sostantivo medicalizzazione (a sua volta dal verbo medicalizzare, deaggettivale dal raro medicale), è un termine medico che indica ‘la tendenza della società odierna a ricorrere eccessivamente alla medicina e alle sue competenze’. Nella pratica si può tradurre, dal punto di vista del paziente, con il sottoporsi a esami e a visite mediche non strettamente necessari o con l’assumere farmaci anche quando non ce ne sia bisogno; da quello del medico, invece, con il prescrivere indagini cliniche e somministrare medicinali non indispensabili. Entrambi, sia il paziente che il medico, tendono nella fattispecie a considerare fatti naturali e fisiologici come eventi morbosi, a ricorrere eccessivamente alle cure mediche per tenere sotto controllo ogni forma di disagio. In contrapposizione a questo termine, vi è anche demedicalizzazione, che possiamo considerare o deverbale di demedicalizzare (composto dal prefisso de- con valore privativo e il verbo medicalizzare) o un derivato, come il precedente, direttamente da medicalizzazione, che indica ‘la necessità di ridurre il ricorso alle pratiche mediche e ai farmaci’.

Per fare un paragone letterario, ci troviamo di fronte a due termini che in sostanza ben descriverebbero, rispettivamente, l’atteggiamento di Argante, protagonista ipocondriaco del Malato immaginario di Molière, che, schiavo del suo disturbo, ricorre senza badare a spese a medicinali e a visite di medici poco onesti, e di Tonietta, la serva che in tutti i modi cerca di togliere il suo padrone dalle grinfie della medicina.

Esistono anche, sebbene si trovino molto raramente, i termini sovramedicalizzazione e supermedicalizzazione, che si possono considerare sinonimi di ipermedicalizzazione, formati con i prefissi latino e italiano corrispondenti nel significato all’iper- greco.

Nella lessicografia italiana le nostre voci non sono registrate: soltanto ipermedicalizzazione compare nella sezione Neologismi del 2018 della Treccani. Nei dizionari consultati si trovano invece medicalizzazione ‘l’attribuzione di connotati medici a un evento di altra natura (per es. sociale o psichica)’ con prima attestazione al 1984 (Devoto-Oli 2022), derivato da medicalizzare ‘attrarre nella sfera delle competenze e delle attribuzioni proprie della medicina’ (Devoto-Oli 2022), attestato la prima volta nel 1978 (GRADIT), sul modello del francese médicalisation da médicaliser, e demedicalizzare ‘sottrarre alle competenze e alle attribuzioni dei medici’ (1987). I nostri termini risultano, tuttavia, di modesta diffusione sia in rete che sulla stampa (dati aggiornati al 29/10/2021): per ipermedicalizzazione abbiamo 4.310 risultati nelle pagine in italiano di Google, 12 sulla “Repubblica” (1 risultato nel 1989, 2 nel 2001, 1 nel 2004, 1 nel 2006, 1 nel 2008, 1 nel 2010, 1 nel 2014, 2 nel 2015, 2 nel 2018) e 2 sulla “Stampa” (1979 e 2001); per demedicalizzazione, invece, 7.760 risultati sulle pagine in italiano di Google, 16 sulla “Repubblica” (1 nel 1989, 1 nel 1996, 1 nel 1999, 2 nel 2005, 1 nel 2008, 2 nel 2011, 1 nel 2014, 2 nel 2017, 1 nel 2018, 3 nel 2021), 4 sul “Corriere della Sera” (1 nel 1981, 1 nel 1991, 1 nel 1995, 1 nel 2008) e 4 sulla “Stampa” (1 nel 1975, 1 nel 1980, 1 nel 1991, 1 nel 2004). Proprio dalla “Stampa” possiamo reperire le prime attestazioni per entrambi i termini:

I sintomi di questa crisi sono di varia natura. Squilibrio crescente fra le nazioni più progredite, che soffrono di un’«ipermedicalizzazione» e i quattro quinti dell'umanità, ancora esclusi dall’assistenza clinica e dalle garanzie di igiene più elementari. (Elena Guicciardi, Siamo eterni cannibali: per sopravvivere mangeremo noi stessi, “La Stampa”, 20/9/1979, p. 6)

Se le dimensioni dei fatti sono quelle che espone, Ivan Illich ha certamente ragione di non credere all’utilità di correttivi. Ma che cosa si può fare, allora? Proponendo, come già la “descolarizzazione”, la “demedicalizzazione”, Illich propone in definitiva che la medicina non sia più concepita come salvezza. L’idolo scenda dall'altare, e l'uomo assuma i rischi della propria condizione senza eluderli con l’attesa illusoria di prodigi terapeutici». (Sergio Quinzio, Medici e religione. Esculapio salvatore, “La Stampa”, 28/2/1975, p. 3) 

Queste date ci costringono a rivedere anche le prime attestazioni di medicalizzare (1978), medicalizzazione (1984) e demedicalizzare (1987) date dai dizionari. Da una ricerca su Google libri effettivamente ricaviamo attestazioni anteriori, retrodatando così tutti e tre i termini e ipotizzando una circolazione della famiglia lessicale già intorno agli anni Settanta del Novecento.

[…] divenne rapidamente un discorso di massa, innanzitutto perché la rapidità degli effetti consentì di mobilizzare l’atmosfera dei manicomi, che la massiva medicalizzazione suscitata dalle terapie d’urto autorizzò poi […]. (Edoardo Balduzzi, L’assistenza nella schizofrenia, in “Aut Aut. Rivista di Filosofia e Cultura”, 113, 1969, pp. 57-70, a p. 60)

I medici avvalendosi delle loro influenze e del loro prestigio hanno finito col “medicalizzare” tutto ciò che è espressione di una richiesta di aiuto e tendono a riferire all'individuo (colpito organicamente) il malessere accusato nella sua esistenza sociale. (Angela Zucconi, Regioni e servizi sociali, Milano, Edizioni di comunità, 1974, p. 103; da notare la presenza delle virgolette, che indicano che la parola non è del tutto acclimatata)

Le proposte che vengono avanzate riguardano: 1) il primato della prevenzione-partecipazione come atto tecnico-politico teso a modificare l’assetto del potere nei luoghi di lavoro (attraverso il controllo degli investimenti, attraverso la modifica del processo produttivo e delle organizzazioni del lavoro), nell’habitat (attraverso servizi sociali pubblici residenziali), a demedicalizzare l’intervento sociale. (ivi, p. 135)

Quanto a sovramedicalizzazione e supermedicalizzazione, nelle pagine in italiano di Google hanno, rispettivamente, 1.670 e 192 attestazioni. Sulle pagine dei quotidiani, invece, hanno soltanto un’occorrenza ciascuna sulla “Repubblica” (rispettivamente sovramedicalizzazione nel 2020 e supermedicalizzazione nel 2005). Gli esempi più antichi tra quelli forniti da Google libri risalgono in un caso ai primi anni Novanta e a metà degli anni Ottanta:

Il fenomeno della sovramedicalizzazione femminile, ad esempio, non è stato riscontrato da Colameco, Becker e Simpson (1983). (Psicologia medica, a cura di Carlo Cipolli, ‎Egifio A. Moja, Roma, Armando, 1991, p. 290)

L’invecchiamento medicalizza la popolazione, ma una popolazione invecchiata possiede ancor meno le risorse macroeconomiche per offrirsi una supermedicalizzazione. (“Il Mondo”, 1985, p. 54)

Ritornando ai due termini qui specificamente in esame, possiamo vedere grazie a Google Ngram Viewer la crescente diffusione che hanno avuto negli ultimi anni:

 

I contesti d’uso in cui appaiono possono essere di senso generale:

La ipermedicalizzazione dell’individuo sano è una stortura sia dal punto di vista morale che logico (Tweet di @pensavopeggioh del 25/10/2020)

Nella comunità medica ci sono molte proposte per contrastare l’ipermedicalizzazione con il suo opposto, la demedicalizzazione, cioè un ridimensionamento delle terapie consigliate ai pazienti sulla base delle loro effettive necessità. Il punto di partenza è l’idea che una “medicina per i sani” – non le persone che non si sono ancora sottoposte agli esami, ma quelle che anche con qualche piccolo disturbo di fatto stanno bene – esista, ma non abbia tanto a che fare con i medici. (s.f., Curarsi troppo può essere controproducente, articolo in www.ilpost.it, 7/6/2019)

oppure riguardare alcuni temi specifici. Si parla spesso dell’ipermedicalizzazione e della demedicalizzazione della gravidanza e del parto:

La mia è una posizione del tutto laica, non ho il dono della fede, ma proprio per questo abborisco [sic] l’ipermedicalizzazione di processi, quali il parto e la menopausa, che per fortuna nella maggior parte delle situazioni evolvono in maniera del tutto fisiologica, non sono malattie. (Tweet di @floradellavalle del 7/10/2021)

In caso di gravidanza non patologica di solito si fanno tre ecografie, una all’inizio, la morfologica a 21 settimane e un’altra per vedere lo sviluppo del feto alla 32esima settimana. C’è una ipermedicalizzazione che serve solo a riempire i portafogli dei medici. (Francesca Russi, Troppi parti cesarei “Scelta di comodo sono meno rischiosi”, articolo in www.larepubblica.it, 10/12/2014)

La risposta italiana alla comprensibile domanda di demedicalizzazione del parto è data, per ora, dal sorgere di “case parto” (strutture che riproducono un ambiente di tipo domestico collocate in prossimità di un centro ospedaliero). (Maurizio Tucci, Come si nasce oggi in Italia, “Corriere della Sera”, 23/11/2008, p. 50) 

Anche per quanto riguarda gli anziani:

Una terza raccomandazione è quella di monitorare con attenzione le terapie farmacologiche in corso e di essere particolarmente attenti nelle nuove prescrizioni utilizzando strumenti che permettano di individuare pericolose interazioni farmacologiche. Il deprescribing deve diventare pratica applicata con scrupolo in particolare nei pazienti anziani, con lo scopo di realizzare un’efficace prevenzione quaternaria (o prevenzione della ipermedicalizzazione). (Rapporto ISS COVID-19, 10/03/2021, p. 23)

Non si può infatti trattare il tema dell’ipermedicalizzazione separandolo dalla questione della sovradiagnosi. (Luigi Torinese, Note sull’ipermedicalizzazione degli anziani, www.generiamosalute.it, 23/1/2020)

L’assunzione di diversi tipi di farmaci può avere conseguenze inattese sulla salute, in particolare tra le persone anziane, che spesso devono prendere molti medicinali. Gli studi sulle conseguenze dell’ipermedicalizzazione sono però solo ai primi passi. (s.f., Anziani a rischio ipermedicalizzazione, www.swissinfo.ch, 23/11/2015)

Dai primi due esempi riportarti emergono due parole che ben si inseriscono nella tematica dell’ipermedicalizzazione e che da una breve ricerca su alcuni repertori lessicografici non risultano attestate: deprescribing, parola inglese che in italiano viene tradotta con deprescrizione, cioè la riduzione o la sospensione totale della posologia di un farmaco, e sovradiagnosi, cioè la determinazione di una malattia in un paziente che però sarebbe rimasta silente e non avrebbe determinato rischi per la salute.

Ritornando all’ipermedicalizzazione, si può ricavare un ulteriore accezione del termine, cioè quella dell’abuso consapevole di farmaci per migliorare le proprie prestazioni sportive: 

la pratica sportiva impone problematiche peculiari, sia legate all’abuso di farmaci leciti (ipermedicalizzazione) finalizzato alla necessità di accelerare il recupero, sia legata all’uso di farmaci illeciti (doping) finalizzato alla ricerca illegale della prestazione. (Roberta Pacifici et al., Droga e doping, Roma, Istituto Superiore di Sanità, 2014, p. 14) 

Il sostantivo demedicalizzazione, invece, ha sviluppato da qualche anno anche il significato di ‘sottrazione di eventi o di attività di ambito socio-sanitario alla sfera di competenza della medicina’, come si evince da questi esempi che riguardano l’abbandono da parte della componente medica dei servizi di emergenza e di pronto soccorso del 118:

E, intanto, assistiamo alla chiusura di punti di primo intervento, alla demedicalizzazione di postazioni territoriali sia del 118 che dell’ex guardia medica, oggi Servizio di Continuità Assistenziale.. (s.f., Demedicalizzazione e chiusura di postazioni emergenza, allarme da Baldari e Masotti (Fp Cgil), articolo in www.catanzaroinforma.it, 26/10/2021)

Guardiamo con fiducia alla azione del Ministro della Salute, Roberto Speranza, del Governo, del Parlamento, perché si eviti lo scempio della progressiva demedicalizzazione del 118 e perché il nuovo Sistema 118 che verrà non rinnovi i reiterati catastrofici errori di visione politica, dall'evidenza così pervasiva e destruente, commessi nell'ultimo decennio. (s.f., Balzanelli, ‘medici vanno via dal 118, è abbandono di massa’, articolo in www.ansa.it, 22/9/2021)

 Ci troviamo, dunque, davanti a due parole la cui diffusione sempre maggiore nel corso degli anni all’interno della nostra lingua è sintomo di un morbo sociale: l’ossessione e la paura di ammalarsi, che dopo la pandemia di COVID-19, non ha fatto altro che aumentare. Nonostante da anni si parli in ambito medico di prevenzione quaternaria (cfr. Thomas Kühlein et al., Prevenzione quaternaria, un compito del medico di famiglia, www.slowmedicine.it), cioè un insieme di azioni per evitare un abuso delle risorse socio-sanitarie e un aumento della medicalizzazione da parte del personale medico ma anche da parte dei pazienti (tra le varie prevenzioni rientra la limitazione di prescrizione di farmaci o di esami diagnostici), oggi non sembra esserci ancora una linea guida ufficiale in merito.

Se da un punto di vista linguistico possiamo affermare che entrambe le parole sono ben formate, in generale vogliamo ricordare che curarsi è importante, ma l’ipermedicalizzazione (con il conseguente bisogno poi di ricorrere alla demedicalizzazione) è rischiosa e il rischio è di fare la fine del malato immaginario di Moliére.