DOI 10.35948/2532-9006/2021.11644
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Negli ultimi quindici anni, in Italia si è assistito a una vera e propria esplosione del fenomeno della birra artigianale, in termini sia di produzione, sia di consumo e di diffusione sul territorio nazionale: stando alla ricostruzione proposta in alcuni articoli dedicati al tema (per esempio questo; e questo), la nascita della birra artigianale italiana può essere fatta risalire alla fine degli anni Novanta, quando nel nostro paese vengono aperti i primi microbirrifici artigianali che sperimentano nuovi metodi di produzione della birra, appunto alternativi a quelli industriali fino ad allora dominanti. Il settore si è quindi progressivamente espanso nel corso del successivo decennio, che ha visto non solo il moltiplicarsi dei birrifici artigianali, ma anche il diffondersi della pratica della fabbricazione casalinga della birra (nota anche con il termine inglese di homebrewing), divenuta più accessibile grazie alla commercializzazione anche in rete della strumentazione necessaria. La crescita esponenziale di tale nuova realtà produttiva ha determinato, oltre alla costituzione di associazioni come la Unionbirrai (che riunisce i piccoli produttori indipendenti della penisola) e il Movimento Birrario Italiano (che tutela invece i consumatori di birra artigianale), anche la diffusione di nuove parole, di natura più o meno tecnica e specialistica, legate ai diversi aspetti della produzione della birra, in particolare di quella artigianale: tra queste, una delle più comuni è senz’altro la forma brassare, che a partire dal secondo decennio del Duemila ha cominciato a essere usata, soprattutto dagli estimatori e dai produttori del settore, per riferirsi all’attività stessa di produzione della birra, in alternativa a verbi più generici come produrre o fare (la birra).
Dal punto di vista etimologico, il verbo, che può essere impiegato in forma sia transitiva, sia intransitiva, rappresenta un prestito adattato del francese brasser, attestato già dall’inizio del XII secolo (nella forma antica bracier) proprio nel significato di ‘fare, produrre (birra)’ e, per estensione, in quello di ‘agitare, mescolare (una sostanza o una miscela)’ (cfr. Trésor de la langue française informatisé). A sua volta brasser deriverebbe, secondo l’ipotesi dei lessicografi, dalla forma del latino parlato *braciāre, un verbo denominale formato a partire dal sostantivo latino di origine gallica bracem ‘malto’. Si ipotizza inoltre che in alcuni dei suoi sviluppi brasser abbia subito l’attrazione semantica della forma bras ‘braccio’, probabilmente in ragione del fatto che le azioni indicate dal verbo richiedono, in almeno una delle loro fasi, uno sforzo delle braccia.
In italiano l’uso del verbo, nella forma adattata alla fonomorfologia della nostra lingua, non costituisce in realtà un’innovazione introdotta solo nell’ultimo decennio da produttori e amatori della birra artigianale: questi ultimi, in maniera forse inconsapevole, hanno infatti recuperato e “rilanciato” una parola che può vantare una storia molto più antica, le cui prime attestazioni risalgono già al Seicento. Una ricerca della forma brassare nelle pagine italiane di Google libri permette infatti di rintracciarne le prime occorrenze in alcuni dizionari seicenteschi bilingui e trilingui, che registrano la voce insieme al corrispettivo in inglese, francese o tedesco. Il primo ad accogliere la forma è il dizionario italiano-inglese di John Florio, nella sua seconda, più ampia edizione del 1611 (intitolata Queen Anna's New World of Words, or Dictionarie of the Italian and English Tongues), che pone a lemma il verbo brassare, insieme alle forme corradicali brassaria (nel significato di ‘luogo dove si produce la birra’, dal francese brasserie, di cui si dirà), brassáre (‘birraio’, dal francese brasseur) e brassatura (‘processo di produzione della birra’). L’esempio di Florio è poi seguito, tra gli altri, dal Dittionario italiano et francese pubblicato da Nathanaël Duez nel 1660, e dal Nuovo et ampio dittionario italiano-francese-tedesco di Antoine Oudin del 1674, che registrano le stesse forme accolte da Florio (salvo sostituire il sostantivo brassáre con brassaro), limitandosi a glossare i termini con i relativi traducenti nelle lingue considerate. Una più ampia spiegazione del verbo viene offerta qualche anno più tardi da Gilles Ménage, accademico della Crusca e autore di uno dei primi dizionari etimologici della nostra lingua (Le origini della lingua italiana, 1669 e 1685), in cui viene proposta la seguente definizione di brassare:
Voce moderna. Si dice della biera: braßar la biera. Da brace, che val quel grano con quel si faceva la cervogia. Un Glossario Manuscritto, citato dal Sr. du Cange: Braces: unde fit cervisia. Vedi nell’Etimologie Francesi, alla voce braßer; e nel Vocabolario del Sr. du Cange, in brace.
I primi veri esempi d’uso del verbo, di natura non lessicografica, che è stato possibile rinvenire in Google libri sono invece successivi di pochi anni (per quanto non si possa escludere che la forma avesse già cominciato a circolare in italiano all’inizio del secolo): lo si ritrova in particolare in una sezione della storia della Gran Bretagna pubblicata da Gregorio Leti nel 1684 (Il teatro brittanico o vero Historia della Grande Brettagna), e negli Avisi italiani, ordinari, e straordinari, dell’anno 1687 (una sorta di bollettino dei più importanti avvenimenti politici, economici e sociali della coeva scena europea), in particolare in un passo che fa riferimento alle più recenti disposizioni imposte dalle autorità della città tedesca di Amburgo in materia di produzione birraria:
Si beve così gran quantità di Biera in Londra, che sembra del tutto impossibile il crederlo alla mente degli stranieri, e di questi stessi della Città, quando gliene se ne fa il recito. Scrive l’accennato Auttore che nell’anno 1667per giusto calcolo fatto furono composti, o brassati come dicono, in questo anno 452563 Barili di Biera forte […]. (Gregorio Leti, Il teatro brittanico o Vero historia della Grande Brettagna […], vol. I, Amsterdam, per Abramo Wolfgang, 1684, p. 86)
Questo Magistrato si applica con assiduità à sopire il resto dell’emozioni, che da alcuni anni in qua hanno perturbato il riposo di questa città: et intanto sentesi, ch’in Lubecca sia insorto qualche imbroglio trà il Magistrato, e li Cittadini, al soggetto del prezzo, e qualità della Birra, havendo il primo proibito pro interim il brassare la Birra, per regolare intanto gli abusi introdottisi […]. (Avisi italiani, ordinari, e straordinari, dell’anno 1687, vol. 4, Vienna, Appresso Gio. van Ghelen, p.17)
Di natura prevalentemente lessicografica sono anche le attestazioni del verbo risalenti al Settecento, epoca in cui brassare continua a ricorrere per lo più all’interno di dizionari multilingui, come traducente del francese brasser o del tedesco Bier brauen (come avviene per esempio nel Dittionario imperiale di Giovanni Veneroni del 1700, che pone a confronto italiano, francese, tedesco e latino, o nel dizionario italiano-tedesco di Matthias Kramer del 1702); o in opere e dizionari enciclopedici dedicati alle arti e ai mestieri, spesso tradotti da altre lingue, che si propongono di spiegare, tra le altre cose, anche i metodi e i processi di preparazione della birra. È il caso, per esempio, del Trattato universale delle droghe semplici di Nicolás Lemery del 1721, del Dizionario universale delle arti e delle scienze del 1748, o del fortunatissimo Dizionario di commercio dei fratelli Savary, nell’edizione italiana del 1770:
Mettonsi a bollire, e a fermentare quest’ingredienti insieme nell’acqua, fin che le loro parti sàlse, ed oleose si sieno rarefatte, ed esaltate; ma per eccitare questa fermentazione, e rarefazione, si agita tutto lungamente a forza di braccia, versando e rovesciandolo in differenti vasi fino, ch’è caldo. Questo è quello, che chiamasi brassare, indi si cola il liquore, e si lascia riposare. Questa è la Birra, che ordinariamente si beve. (N. Lemery, Dizionario overo Trattato universale delle droghe semplici […], Venezia, Appresso Gio. Gabriel Hertz, 1721, p. 87)
BRASSARE, è l’operazione di preparare cervogia o birra, dall’Orzo. […] L’usual metodo di brassare è come siegue. Bollita una quantità di acqua, si mette dopo a raffreddare, finchè esala il maggior odore; allora si versa dentro del tubo, onde ha a mischiarsi, tanta quantità di orzo preparato, che possa, col rivoltarla bene, farsi in una consistenza ferma. (Ciclopedia overo Dizionario universale delle arti e delle scienze. […] Tradotto dall’Inglese, e di molti articoli accresciuto da Giuseppe Maria Secondo, tomo II, Napoli, 1748)
Di tutte le specie di luppoli, quei di Liegi, delle Fiandre, e d’Inghilterra, sono i migliori per brassare la birra. Ma quei di Liegi sono spesso mescolati con una quantità prodigiosa di code, e di foglie, che pregiudicano grandemente alla virtù del luppolo. (Dizionario di commercio dei signori fratelli Savary […] Edizione prima italiana, tomo I, Venezia, Presso Giambattista Pasquali, 1770, p. 174, s.v. birra)
A partire dalla prima metà dell’Ottocento si osserva un progressivo diradamento del numero di attestazioni del verbo, fino a una loro quasi totale scomparsa entro la fine del secolo, a cui potrebbe forse aver contribuito il clima di reazione polemica alla diffusione delle parole straniere, e in particolare dei francesismi, che si impone nel nostro paese all’inizio dell’Ottocento. In un paio di occorrenze brassare sembra inoltre essere impiegato, per estensione, nell’accezione più generica di ‘mescolare e cuocere (una sostanza o un preparato)’, che viene registrata in alcuni dizionari coevi (tra cui il Nuovo dizionario portatile della lingua italiana stampato da Primo Uccellini nel 1863), ma è comunque anch’essa destinata a una rapida fuoriuscita dall’uso. Se ne ritrovano esempi in testi di chimica, per lo più tradotti dal francese, come in:
Il Signor Caraudeau ha ancora pubblicato un processo sicuro, e di una facile esecuzione, per fabbricare l’allume. Egli allunga 100 parti di argilla in una dissoluzione di 5 parti di sale marino, e forma una pasta che egli riduce in pani per calcinarli in un fornello di riverbero. […] Quando si sono dissipati i vapori di acido muriatico, si aggiunge altrettanta acqua, quanto si è impiegato di acido, e si continua a brassare il mescuglio. (Chimica applicata alle arti del S.G.A. Chaptal […] tradotta dal francese, tomo IV, Napoli, dalla stamperia Orsiniana, 1808, p. 65)
Nel complesso, sulla base delle attestazioni rinvenute in italiano tra Seicento e Ottocento, possiamo ipotizzare, per tale arco cronologico, una circolazione piuttosto ridotta del termine, quasi sicuramente non estesa alla lingua corrente: come si è visto, il verbo viene infatti impiegato in maniera pressoché esclusiva all’interno di opere tradotte dal francese, di dizionari che propongono un traducente italiano di verbi appartenenti ad altre lingue, o di opere che fanno riferimento a realtà e paesi stranieri in cui la produzione della birra rappresenta una pratica diffusa da tempo (al contrario dell’Italia, in cui fino a Ottocento inoltrato la birra veniva importata da altri paesi). Con specifico riferimento alla produzione della birra, il verbo riaffiora quindi nell’uso italiano solo con l’avvento del nuovo millennio, con alcune sporadiche occorrenze all’inizio degli anni Duemila, e un loro più significativo incremento nel corso del secondo decennio, come conseguenza della proliferazione di testi dedicati al mondo e alla cultura della birra artigianale, diffusasi nel nostro paese proprio in quegli anni. Lo si trova impiegato in blog, portali web curati da amatori e produttori, manuali per la produzione casalinga e guide dei principali birrifici e delle diverse tipologie di birra prodotte nella penisola, come per esempio:
La Harp Doc sarà la prossima birra tutta all grain e il risultato dimostrerà che questo modo di brassare è sicuramente l’eccellenza e la massima aspirazione per qualsiasi homebrewer. (Antonio Di Gilio, Homebrewer per caso, e-book Youcanprint, 2012)
Gli amanti delle birre a bassa fermentazione, meglio note come Lager, non possono non cimentarsi nella preparazione della bevanda in casa. Ma come fare per brassare una birra a bassa fermentazione? Quali sono i passaggi da seguire e i principali accorgimenti da adottare? Vediamoli insieme. (marta, Come fare una birra Lager? Guida rapida per preparare una birra a bassa fermentazione in casa, “Birre Bassa Fermentazione Online”, post del 26/9/2017)
L’acqua di Monaco ha giocato un ruolo fondamentale per la Dunkel. Sia per il suo sapore, sia per il suo colore. Era pressoché impossibile brassare una birra chiara a Monaco prima che venissero scoperte le tecniche per il trattamento dell’acqua alla fine del XIX secolo. Fino a quel momento ogni nazione, regione o paese, faceva con l'acqua che aveva. (Riccardo Francesconi, Dunkel: la birra di Monaco, “Birra for Beginners”, post del 5/11/2020)
Acque con molti solfati hanno dato i natali a birre secche, dall’amaro esaltato e piacevole. Acque con molti cloruri hanno permesso di brassare, al contrario, birre molto più morbide e rotonde, aumentando il corpo e la pienezza del gusto maltato. (Davide Albanese, Forchetta e boccale. I migliori abbinamenti tra birre artigianali e piatti della cucina tipica del Belpaese, e-book, Panda Edizioni, 2021)
La discreta fortuna di questo “rilancio”, almeno tra i produttori e gli appassionati del settore, presso i quali la circolazione della parola risulta per il momento circoscritta, potrebbe essere dovuta al desiderio di recuperare un termine tecnico per indicare l’attività di produzione della birra artigianale e soprattutto per distinguerla da quella industriale, qualificandola (e nobilitandola) come un prodotto di maggiore qualità rispetto a quest’ultima: la forma permette infatti di sostituire verbi percepiti come eccessivamente generici come fare e produrre, e al tempo stesso di legittimare e riconoscere la specifica autonomia di un settore produttivo emergente come quello della birra artigianale italiana, appunto attraverso il ricorso a una terminologia tecnica specifica. Alla fortuna della parola potrebbe inoltre aver contribuito anche la sua parentela, semantica ed etimologica, con il sostantivo brasserie, un francesismo non adattato attestato in italiano già dalla fine del Seicento (lo Zingarelli lo data 1689) e ormai da tempo acclimatato nell’uso della nostra lingua: la voce, un composto formato dal verbo francese brasser ‘produrre la birra’ con l’aggiunta del suffisso nominale -erie, è infatti accolta dalla maggior parte dei dizionari sincronici dell’italiano (tra cui il GRADIT, lo Zingarelli, il Devoto-Oli e il Treccani online), sia nel significato originario di ‘fabbrica di birra’, sia in quello esteso, e oggi più comune, di ‘birreria, trattoria, tavola calda tipica della Francia’.
È quindi possibile che nella sua recente diffusione nell’uso, il verbo brassare sia stato favorito dalla sua vicinanza, fonetica ed etimologica, al sostantivo brasserie (già entrato nell’uso e in qualche misura noto alla maggioranza dei parlanti italiani), e che quella stessa vicinanza abbia contribuito alla maggiore fortuna di brassare rispetto alla forma concorrente birrificare (che significa anch’essa ‘produrre, fare la birra’ e può essere costruita sia in forma transitiva, sia intransitiva), nonostante quest’ultima possa vantare una derivazione più “autoctona”: il verbo è infatti una retroformazione dal sostantivo birrificazione (attestato in italiano dalla fine dell’Ottocento), sul modello di altri verbi denominali formati con l’aggiunta del suffisso causativo di origine latina -ficare, che vale ‘fare, rendere, fabbricare’ (come esemplificare, parificare, saponificare, ecc., cfr. Serianni 1989, XV 159). Una ricerca condotta nelle pagine italiane di Google libri permette di datarne le prime occorrenze tra il 1938 e il 1939, quando compare in alcuni numeri di una rivista specialistica dedicata alla produzione birraria:
[…] quello che dovrebbe contribuire, quando si birrifica a titolo di esperimento, a dare alla birra quello speciale carattere (“Cerevisia. Rassegna periodica della produzione e del commercio della birra, del malto, del luppolo, del freddo, delle acque gassate e dei prodotti della macinazione”, 1938, p. 212)
[…] i birrai monacensi misero in opera l’acqua che era stata impiegata per birrificare la birra scura, ossia un’acqua dura, nettamente carbonatata. (“Cerevisia. Rassegna periodica della produzione e del commercio della birra, del malto, del luppolo, del freddo, delle acque gassate e dei prodotti della macinazione”, 1939, p. 32)
Si tratta tuttavia di attestazioni isolate, che troveranno seguito solo nel secondo decennio degli anni Duemila, nel periodo che vede l’esplosione del fenomeno della birra artigianale e la conseguente diffusione di nuove parole legate al settore, sebbene la sua circolazione, come anticipato, risulti decisamente più ridotta rispetto a quella del verbo concorrente brassare (2.730 risultati di birrificare nelle pagine italiane di Google il 7/10/2021 contro i 5.660 di brassare). Per esempio:
La maggioranza dei densimetri di uso comune, così come quelli che vengono forniti nei kit per birrificare, sono a Peso Costante. Occorre tenere sotto osservazione l’evolversi della densità del mosto per poter valutare i progressi della fermentazione. (Marco Brussolo, Bionda, Bruna, Rossa... Tre colori per una passione: La Birra (fatta in casa), Brew the Planet, 2013, p. 116)
Se si decide di birrificare con il metodo da estratto di malto non luppolato, oltre all’attrezzatura sopra citata, sarà necessario l’equipaggiamento per affrontare le fasi di bollitura e raffreddamento. (Davide Bertinotti, Massimo Faraggi, La tua birra fatta in casa. Gli ingredienti, le tecniche, i trucchi del mestiere, e-book, Edizioni LSWR, 2020)
Per il momento, in ragione della loro circolazione tuttora limitata agli specialisti del settore, nessuno dei due verbi risulta registrato dai dizionari dell’uso, nemmeno il più fortunato brassare, di cui si contano attestazioni sporadiche negli archivi dei principali quotidiani nazionali (una sola occorrenza della forma all’infinito nell’archivio della “Stampa”, nessuna in quello del “Corriere della Sera”, 12 in quello della “Repubblica”, oltre a 10 esempi dell’aggettivo participiale brassato/-a negli articoli della “Stampa”, 7 in quelli della “Repubblica” e 4 in quelli del “Corriere”). Nella quasi totalità dei casi, le occorrenze risultano inoltre concentrate in articoli delle sezioni “Cucina”, “Food” e simili, che pubblicizzano produttori emergenti o che danno notizia di mostre ed eventi legati al mondo della birra artigianale, in Italia o all’estero:
[…] l’esordio è previsto domenica con la cotta pubblica in programma dalle 13 alle 19 al birrificio “La piazza” di via Durandi 13. Sei ore per “brassare” la “Chellerina” e per vedere come nasce una birra artigianale, per far incontrare gli “homebrewers”, quelli che la birra se la producono in casa e sono ormai diventati una realtà consistente anche a Torino. (Luca Ferrua, In birreria torna la chellerina, Stampa.it, 25/9/2014)
In Inghilterra vogliono una birra “classica”, fatta secondo tradizione e che rispetti determinati standard gustativi. La prima birra che provai a brassare con il kit da homebrewer fu proprio una tipica bitter inglese. La chiamai Barry’s Bitter (4,2%) in onore di mio padre ed è ancora nella nostra linea di produzione. (Luca d’Ubaldo, Dall’Irlanda alla Tuscia, la birra di Hilltop e il gusto dell’innovazione, Repubblica.it, Il Gusto, 13/6/2017)
Nel 2013 la separazione dal brewpub – che oggi continua a mantenere il nome e a brassare alcune produzioni proprie – e nel 2016 la scelta obbligata di spostarsi in una nuova sede fuori città con un impianto decisamente più grande (42 ettolitri) e una produzione annua complessiva che si aggira ormai intorno ai 200mila ettolitri venduti esclusivamente in fusto e in lattina. (Eugenio Signoroni, Amundsen birra da eroi, “la Repubblica”, sez. RFood, p. 57, 16/3/2019)
Infine, va segnalata l’esistenza, in italiano, di altre due forme derivate dal francese brasser e la cui circolazione nella nostra lingua risulta strettamente collegata al fenomeno della diffusione della birra artigianale italiana: brassaggio e brassicolo. La prima, impiegata in riferimento al processo di produzione della birra, costituisce un adattamento del sostantivo francese brassage (un deverbale di brasser, attestato dalla prima metà del XIV secolo, cfr. TLFi), di cui si rintracciano, in tale specifico significato, solo un paio di attestazioni isolate nel corso dell’Ottocento; solo nell’ultimo decennio si è assistito a una sua modesta ripresa nell’uso, in cui continua tuttavia a essere decisamente maggioritaria la forma concorrente birrificazione, attestata come si è detto dalla fine dell’Ottocento (39.300 occorrenze nelle pagine italiane di Google contro le appena 8.340 di brassaggio, di cui si contano inoltre solo 3 attestazioni nell’archivio della “Repubblica” e una in quello della “Stampa”). La seconda forma, brassicolo ‘relativo alla produzione e/o al consumo della birra’, è invece un adattamento dell’aggettivo francese brassicole (formato a partire da brasser, sul modello di viticole ‘viticolo’, cfr. TLFi), e, a differenza del primo, può vantare una circolazione più che discreta nella nostra lingua, con ben 42.300 occorrenze nelle pagine italiane di Google e un numero non indifferente di attestazioni anche nella stampa nazionale (54 attestazioni della forma al maschile nell’archivio della “Repubblica”, 36 in quello del “Corriere” e 11 in quello della “Stampa”), in cui si parla per esempio di “panorama brassicolo”, “settore brassicolo”, “artigianato brassicolo” e simili. La relativa fortuna dell’aggettivo, il cui uso si sta progressivamente estendendo anche alla lingua corrente, è d’altra parte confermata anche dal suo accoglimento nello Zingarelli 2014 (che lo data 1980); resta da vedere se anche il corradicale brassare conoscerà negli anni un’analoga fortuna.