DOI 10.35948/2532-9006/2025.40554
Licenza CC BY-NC-ND
Copyright: © 2025 Accademia della Crusca
Il primo riconoscimento va allo spirito di servizio col quale Aldo Menichetti, dopo la morte di Rosanna Bettarini alla fine del 1912, con un passaggio di consegne non usuale, aderì alla proposta di ricoprire la carica di direttore della rivista. Ne è inconfutabile prova il fatto, ma posso testimoniarlo personalmente nelle parole, quando convocata alla redazione, fui sostenuta nelle mie giustificate perplessità ad assumere un incarico per il quale mi sentivo impreparata. “Impareremo” fu la sua sintesi, e quel plurale impari, perché sapevo quanto l’insipienza riguardasse soprattutto me mentre lui era già introdotto da diversi anni nel Comitato di direzione e redazione degli SFI, determinò la mia decisione. E il mio apprendistato è stato da Aldo costantemente sostenuto, un apprendistato fortunato perché istruito da Alessandro Pancheri, veterano nel lavoro alla rivista, che generosamente mi ha edotto con una didassi attiva e rigorosa, dalle attività essenziali ai segreti di applicazioni informatiche.
La transizione comportò un certo affanno, lo scivolamento inevitabile dei tempi di realizzazione del numero LXXI del 2013, quasi a ridosso del successivo LXXII, 2014, attenuato lo sforzo dal fatto che quest’ultimo volume, dedicato a Rosanna Bettarini con gli interventi dei soli Accademici, si potrebbe dire che si fece quasi da sé, facilitando il rodaggio del nuovo assetto voluto da Menichetti in un Comitato di direzione (Bausi, Coluccia, Leonardi, Pancheri, Tanturli, poi alla sua morte subentrerà Breschi, Weinrich) distinto da un Comitato di redazione (Chessa, Marrani, Piccini), di supporto rispettivamente alla Direzione e alla Redazione. Col nuovo organico gli SFI si assimilavano di più alle riviste correnti, distinguendosi però, e questo per volontà decisa e espressa di Menichetti, nella snellezza del Comitato di direzione (alias Comitato scientifico), dalla pletora di presenze di tanti periodici in corso: come gestibili nei fatti? si chiedeva Aldo.
Il primo numero della direzione Menichetti (LXXI, 2013) si apre con un suo articolo Prosodia e edizioni (Boiardo, un Anonimo, Petrarca), cui fu attribuita da noi scherzosamente la funzione apotropaica per il nuovo inizio; in realtà l’articolo, dedicato alla memoria di Rosanna Bettarini, insieme al ricordo scritto da Pancheri nello stesso volume nella sezione del Bollettino annuale dell’Accademia segnava il giusto raccordo con la precedente gestione.
Con il numero LXXIII, 2015, dopo aver rispettosamente mantenuto anche per il volume dedicato a Rosanna la copertina marrone da lei scelta per gli SFI, Menichetti si accordò con l’editore per ritornare alla veste della tradizione; non si trattava solo di riprendere il colore grigio del cartonato, ma di recuperare tutta l’impostazione, non solo di estetica, col disegno schematico che era stato sostituito dal frullone azionato dai puttini alati del frontespizio della quarta Crusca, ma soprattutto nella ripresa della dizione originaria del sottotitolo “Bollettino annuale dell’Accademia della Crusca”1 per cui le Notizie dell’Accademia, pur in sezione riservata, tornavano ad essere parte integrante della rivista, e non giunta appendicolare (in alcune annate addirittura stampata a parte); sparita l’esplicitazione del Centro studi di Filologia italiana, in quanto struttura scientifica dell’Accademia stessa. “Più in linea con la storia” fu la sintetica motivazione senza alcuna aggiunta polemica, da parte di Menichetti, che non era un conservatore, convinto forse che i reali cambiamenti non si affidano agli involucri.
Inscindibili infatti nelle intenzioni dei fondatori la sezione testuale e l’informazione accademica, come da regolamento: “[l’Accademia] Pubblica sotto il titolo di Studi di Filologia Italiana un suo bollettino, dove oltre a porgere testi minori e illustrazioni dei testi rende conto di quanto concerne la vita accademica”2, e la funzione scientifica del ‘Bollettino’, come di preferenza veniva indicata la rivista nel suo insieme nelle ragioni interne, era lucidamente dichiarata nella presentazione di Pio Rajna al I numero del ’27, quale “pubblicazione più snella” da affiancare “alle pubblicazioni di Autori classici e documenti di lingua” che accogliesse “ricerche complementari e supplementari testi spicciolati di minori dimensioni e altro ancora a cui sono da segnare come unici limiti l’intento e il metodo”, denominatori essenziali espressi per arginare le possibili resistenze all’allargamento del canone a “scrittori e scritture, che avrebbero avuto inflessibilmente ostili i vecchi Accademici”3.
Il carattere autarchico della pubblicazione, che contava esclusivamente su forze interne, se comportò volumi di portata miliare (il I numero con i tre articoli di Barbi), fu ragione anche di una frequenza discontinua, oltre i “liberi intervalli” previsti per statuto, con difficoltà anche nel reperimento di materiali adeguati, da cui la caustica affermazione di Barbi (siamo nel 1936 e si discute del nuovo ordinamento) “che il Bullettino si stampi solo se ci sono studi degni, meglio nulla che cose mediocri. Del resto non è fissato che debba uscire un volume ogni anno”4. E le uscite si sgranano nel tempo bellico e postbellico: un numero VI del ’42, il VII dedicato a Barbi nel ’44 per riprendere nel ’50, Presidente dell’Accademia e quindi direttore Bruno Migliorini, anno in cui la rivista nel suo numero VIII prende lo slancio con la presenza di filologi ancora giovani (Ageno, Branca, Caretti, Roncaglia, Contini). Acquisita la regolare scansione annuale, si avverte anche la necessità di un responsabile incaricato, come si deve leggere l’assunzione di Contini a condirettore nel n. XVI del ’58; per poi arrivare alla distinzione tra la Presidenza dell’Accademia e la direzione degli SFI, affidati a Contini nel vol. XXII, 1964 fino al vol. XXVIII del ’70. De Robertis succede dal vol. XXIX, 1971 al LIV, 1996; dopo quattro numeri di condirezione con Rosanna Bettarini, all’inizio del nuovo millennio, a partire dal vol. LIX, 2001, dirige la sola Bettarini fino al n. LXX del 2012.
A direzione Menichetti i nn. dal LXXI, 2013 al LXXIX, 2021, dai contenuti diversificati e convergenti all’ortodossia della testata. La rassegna delle tipologie è solo indicativa: testi ampi con pubblicazione integrale; analisi di singole composizioni; studi sui manoscritti e sui loro apparati, ricognizioni di raccolte e fondi; studi linguistici ai fini di recupero testuale5. I volumi tutti corposi, alcuni eccedenti anche di molto quelle 350 pagine indicate nel contratto; con l’editore, e da quest’ultimo generosamente derogate. Il fatto è che agli SFI vengono proposti perlopiù articoli lunghi perché contenenti testi e le relative ricerche, e possono proporsi contemporaneamente lavori con le stesse caratteristiche e di analoga dimensione; in questo senso la rivista è un libro non programmabile che deve tener conto sì di esigenze biunivoche, di chi scrive e di chi pubblica, ma non equivalenti, essendo quelle degli autori più individualizzate e complesse e quindi da privilegiare.
Chi lavora a un periodico sa di dovere affrontare ogni volta una serie d’incognite. E non da poco: il reperimento degli articoli, e parlo di reperimento perché sono da operare comunque mirati sondaggi, anche quando gli studi vengono direttamente proposti; la loro valutazione, prima interna, e poi quella dei lettori per il (famigerato?) referaggio doppio cieco, affrontando una dialettica che può essere imprevedibile nelle sue dinamiche, perché l’esperienza del giudice selezionato può non aderire, e non sempre in senso criticamente corretto, a quella dell’autore, sicché la fase decisionale talvolta si ripropone ancor più delicata; un velo sulla possibile ipersensibilità degli artefici che impone di agire una prudente, talvolta assai prudente, mediazione. L’imprevisto a monte è in massima parte a carico della direzione mentre l’assemblaggio del libro, è un lavoro di squadra che ha i suoi problemi (il tempo, il tempo…) sui quali sorvolo. Nel caso delle riviste della Crusca si può contare, parlo al presente perché è ancora così, sulle capacità e disponibilità della redattrice de ‘Le Lettere’ Serena Settesoldi, che mi piace qui nominare.
Su questa rappresentazione sommaria si deve proiettare l’attività di Menichetti nella sua funzione, specificandola in alcuni tratti, nel rispetto di quella riservatezza che lo caratterizzava e che non dà molta materia a citazioni aneddotiche.
Aldo era un lettore curioso, appassionato, profondo, e non aveva riserve preventive verso i materiali che venivano presentati agli SFI. Alieno alla selezione pregiudiziale anche quando i lavori apparivano subito devianti rispetto alla disciplina, li prendeva in considerazione per una forma di rispetto dell’autore, e per rispondere a tono, come diceva. Ricordo in proposito un tenace scrittore di schede dantesche che ha reiterato l’accesso più volte e sempre respinto ma con compiuto giudizio. Del resto non faceva mistero Menichetti di una concezione, diciamo, "aperta" sulla materia, e ritrovo in un messaggio le sue parole a riguardo alla possibile accoglienza di articoli “più stilistici”: “non un’idea totalizzante e indistinta della filologia ma la complessità del lavoro che pur segue il testo ma lo sostiene”. Rispondere con un rifiuto lo imbarazzava, ma lo esprimeva con fermezza e non solo col comodo rinvio ai giudici esterni. Qualche volta, ma in privato, il cedimento a una valutazione più diretta, un esempio: “mi fa cadere le braccia come caninamente scrive”. Il salvataggio fin dove possibile: “bisogna accontentarsi…”, significava però non accoglienza passiva piuttosto un lavoro di revisione, talvolta di rispettosa riscrittura. E ci sono autori che avranno nella memoria le lunghe sedute in presenza, per emendare e riparare discutendo.
Particolare la sua attenzione alla lingua pur nel rispetto degli idioletti:
Ho segnato in giallo alcuni dunque non deduttivi (come potrebbero sembrare a un’occhiata superficiale) ma temporali e sostituirei con un più chiaro poi.
Sulla questione mi sono soffermato non intrattenuto troppo mondano.
Un rimarcare non può essere legittimato da un volume della Crusca.
Posso attingere per queste citazioni alla cartella di posta elettronica (conservata ma bucata da un incidente all’hard disk), e vorrei avere di più, anche del cartaceo delle bozze, dei cui passaggi resta ben poco; e pongo una domanda problematica e generale: come si crea l’archivio di una rivista? Deve essere difficile se non impossibile se anche del pregresso, quando i materiali erano più omogenei, si ritrovano pochissime tracce.
Menichetti non amava dilungarsi per posta, solo lo stretto necessario, ma noi negli anni abbiamo molto parlato dei problemi che si presentavano: le brevi e-mail terminano spesso con “A lunedì”, che poi era seguito dal martedì, i due appuntamenti, quello del seminario Tanturli e quello della Franceschini, in coda ai quali riprendevamo le nostre questioni in sospeso. Più difficile l’anno del lockdown, quello degli ultimi due numeri, affidata la nostra comunicazione di lavoro solo alle e-mail (è nota, penso, la refrattarietà di Aldo per le telefonate), le quali in calce avevano “un caro saluto dal recluso” o “dal segregato”, con qualche sfogo più esteso: “la reclusione forzata comincia a scocciarmi”, sfogo pur attenuato nel senso della produttività “la reclusione favorisce la lettura”.
Infallibile, dico della lettura, quella di Menichetti sulle ultime bozze, un vero segugio nel trovare i rifusi minuti: due apostrofi rovesciati; numero 0 per 10 in una complicatissima tabella; divisione di una parola gen-erali; la differenza dell’uso tra confronta cfr. e vedi vd. nei riferimenti.
Dopo, la consegna poteva avvenire senza patemi.
Non mancava mai il riconoscimento del lavoro comune, cito uno dei messaggi coi quali amava condividere la fase conclusiva:
Ho percorso le ultime bozze degli SFI, mi pare che il risultato sia eccellente; è un bel volume con articoli interessanti, poche chiacchere e molti dati. Anche le illustrazioni sono venute bene.
Grazie Aldo.
In realtà l’annualità viene dichiarata dal vol. XIV (1958) in coincidenza con l’iscrizione presso il Tribunale come documentato su quel volume.
Così il Regolamento dell’Accademia; Archivio dell’Accademia della Crusca, Busta 1566, cartella 4. Per la definizione dello Statuto la discussione è annosa, se ne discute ampiamente nell’adunanza dell’8 gennaio 1933 (Archivio dell’Accademia della Crusca, Verbale 17 p. 29-31).
Pio Rajna, Premessa, “Studi di Filologia Italiana”, I (1927), pp. 1-8, in part. p. 7.
Nella seduta specifica (maggio del ’36, Archivio dell’Accademia della Crusca, Busta 1566, cartella 4). Quanto al carattere del periodico c’è chi ostinatamente difende la funzione interna: in una lettera del 28 /IX/ ’36, viva ancora la discussione, Vittorio Rossi scrive: “Se fosse possibile che il Bollettino rispecchiasse in certo modo l’Attività dell’Accademia, cioè fosse coordinato alle maggiori imprese alle quali questa si proponga ad attendere, esso corrisponderebbe meglio al suo scopo e riuscirebbe di più facile quasi direi di naturale composizione”. (Archivio dell’Accademia della Crusca, Ibidem).
Mi piace elencare qui alcune edizioni delle quali in queste annate la rivista ha ospitato il lavoro preparatorio precocemente andate a buon fine: Grazia Deledda, Cosima, ed. critica a cura di Dino Manca, Cagliari, Edes, 2016; Virgilio, Æneis. Volgarizzamento senese trecentesco di Ciampolo di Meo Ugurgieri. Introduzione, edizione critica e glossario a cura di Claudio Lagomarsini, Pisa, Edizioni della Normale, 2018; Speranza Cerullo, I volgarizzamenti italiani della “Legenda aurea”. Testi, tradizioni, testimoni, Firenze, Sismel, 2019; Camilla Russo, Arte retorica e impegno civile nelle miscellanee di prose del primo Rinascimento, Firenze, Cesati, 2019. Hanno assunto una veste di pubblica consultazione in Mirabile.it i materiali del progetto relativo alla tradizione delle Disperse del Petrarca, anticipato sugli SFI LXXV, 2017 da un lungo articolo di Roberto Leporatti, del progetto direttore responsabile.