DOI 10.35948/2532-9006/2025.41595
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Alcuni lettori ci chiedono quali siano le differenze tra gli aggettivi psichico, psicologico e psichiatrico, in particolare in espressioni come disturbo psichico, disturbo psicologico, disturbo psichiatrico, perizia psichica e perizia psicologica.
Tre aggettivi di relazione
Gli aggettivi psichico, psicologico e psichiatrico si sono formati nel corso del XIX secolo e sono, quindi, tutto sommato, recenti. Il GRADIT data psichico al 1829, psicologico a prima del 1837 e psichiatrico al 1855. Sempre il GRADIT marca questi tre aggettivi come TS, appartenenti cioè lessico tecnico-specialistico, ma per psichico e psicologico aggiunge, rispettivamente le marche CO (appartenente al lessico comune e conosciuto a qualunque parlante con un livello di istruzione medio-superiore) e AU (di alto uso, circa 2500 parole di alta frequenza che da sole costituiscono il 6% di quelle che formano l’insieme di testi scritti o discorsi parlati). Queste marche d’uso ci dicono, insomma, che almeno due delle tre parole hanno varcato i confini dello specialismo, ottenendo un’ampia diffusione e una conseguente, inevitabile banalizzazione. Sono aggettivi denominali, che derivano cioè da sostantivi, nello specifico mediante l’aggiunta del suffisso -ico (come atmosferico da atmosfera o atomico da atomo), rispettivamente a psiche, psicologia e psichiatria. Dal momento che non esprimono una proprietà o una qualità del nome a cui si riferiscono, ma una relazione tra il nome che specificano (nel nostro caso disturbo o perizia) e quello da cui sono derivati vengono definiti anche aggettivi di relazione (cfr. Maria G. Lo Duca, in Grossmann-Rainer 2004, p. 214). Esempi di questa tipologia di aggettivi sono emergenziale (da emergenza con -iale), filmico (da film con -ico) e generazionale (da generazione con -ale). Dunque psichico significa ‘che riguarda la psiche’, psicologico ‘che riguarda la psicologia’ e, infine, psichiatrico ‘che riguarda la psichiatria’.
I dubbi dei lettori riguardano soprattutto l’opportunità di utilizzare psicologico, per es. nel costrutto disturbo psicologico, in quanto questa espressione indicherebbe un ‘disturbo che riguarda lo studio della psiche’. Se ci riferiamo a un disturbo, nell’accezione di una ‘leggera irregolarità o disordine nelle funzioni organiche’ (Vocabolario Treccani online, s.v.), riferito all’‘insieme dei processi e delle funzioni sensoriali, intellettive, affettive, volitive’ di un individuo, cioè alla sua psiche (GRADIT, s.v.), appare senza dubbio più lineare usare l’espressione disturbo psichico. Vedremo a breve che anche i dizionari (sia quelli dell’uso che quelli specialistici) propendono, per lo più, per questa soluzione, ma sembra opportuno compiere prima un breve excursus storico-linguistico sui sostantivi da cui sono derivati i nostri aggettivi.
In principio non fu la psiche
Anche se psicologia e psichiatria sono formate con il primo elemento psico- ‘che riguarda la psiche’, non c’è una derivazione di queste due parole da psiche. In realtà la prima voce attestata in italiano è psicologia (dal gr. psykhḗ ‘anima’ e -logía ‘studio’), che è datata dai principali repertori al 1739 (DELI, GRADIT, Zingarelli 2026). Questo grecismo di origine dotta – che, se escludiamo psicomanzia ‘negromanzia’ (datato da GRADIT al 1610), inaugura la nutrita serie dei composti di psico-, particolarmente produttiva tra Otto e Novecento – deriva dal latino moderno psychologia ‘scienza dell’anima’, termine che sembrerebbe essere stato coniato nel XVI sec. dall’umanista e teologo tedesco Philipp Schwarzerdt, più noto come Filippo Melantone (1497-1560). Il termine latino “ebbe vita stentata sino al Settecento, quando fu ripreso da un filosofo razionalista allievo di Leibniz, Christian Wolff, che designò con esso una delle quattro parti in cui andava suddivisa la metafisica” (Paolo Legrenzi [a cura di], Storia della psicologia, Bologna, il Mulino, 20125, p. 27) insieme all’ontologia, alla cosmologia e alla teologia. Solo a partire dalla seconda metà del XIX sec. il termine psicologia indica la ‘scienza che studia, descrive, interpreta la fenomenologia dei processi mentali, a livello sia conscio che inconscio, e dei processi che ne derivano’ (GRADIT s.v.). Tuttavia, come ci informa il GDLI, tra i significati di psicologia abbiamo, ben attestato dall’inizio del Novecento e tuttora vitale, anche quello, molto meno specifico, di ‘complesso degli aspetti (razionali, emotivi, volitivi, ecc.) che caratterizzano il modo di pensare e di agire di un individuo o di una collettività, considerati in se stessi o, anche, in rapporto con determinati fenomeni o situazioni; personalità, carattere, indole’. Si può, quindi parlare della psicologia di un esercito, di un popolo o di una nazione, fino a quella di un individuo. Torneremo su questo punto tra non molto.
La seconda parola a comparire è psichiatria (dal gr. psykhḗ ‘anima’ e iatrós ‘medico), un altro grecismo che entra in italiano per mediazione francese (cfr. l’Etimologico s.v. psichiatra) e che è possibile retrodatare rispetto a quanto indicato dai repertori (GRADIT indica av. 1841) al 1828:
La teoria concernente i mezzi di sanare le malattie psichiche, chiamasi Psichiatria cioè medicina dell’anima (Pietro Baroli, Instituzioni di filosofia teoretica e morale, vol. I: Psicologia Empirica, Como, Pietro Ostinelli, 1828, p. 210)
Si noti che l’attestazione è tratta da un volume di filosofia teoretica e morale, in una sezione dedicata alla psicologia empirica. A quest’altezza cronologica, infatti, psichiatria e psicologia fanno ancora parte della filosofia e lottano per la propria emancipazione. Si noti, inoltre, anche la presenza nel passo appena citato dell’agg. psichiche ‘dell’anima’. Dunque psichiatria nasce come ‘medicina’ o ‘cura dell’anima’, mentre oggi con questa parola viene designata esclusivamente la ‘branca della medicina che ha per oggetto la diagnosi, la cura e la prevenzione delle malattie mentali’ e ‘negli ospedali, reparto specialistico per la cura delle malattie mentali’ (GRADIT).
Psiche nel significato di ‘anima’, che tutti i repertori datano al 1829, quindi un anno dopo psichiatria e quasi un secolo dopo psicologia, compare nel Dizionario tecnico-etimologico-filologico (Milano, Pirola, 1829) di Marco Aurelio Marchi in cui troviamo la v. psiche: “l’anima, ossia il principio per cui si ha vita e respiro. Ha la stessa origine del latino anima”. È interessante osservare come lo stesso repertorio registri, oltre a psicologia “trattato dell’Anima, ossia delle sue facoltà intellettuali ed affettive”, anche l’agg. psichico “aggiunto di tutto ciò che si riferisce all’anima; come il Morbus Psychicus, la Cura Psychica, ec.”, la cui presenza abbiamo già verificata nell’attestazione precedente del 1828. Alla luce di quanto abbiamo visto, non sembra peregrino ipotizzare che il s.f. inv. psiche ‘anima’, che, come ci informa il TLIO, fin dal XIV sec., nelle varianti Psice o Psyche, indicava il nome della bellissima fanciulla amata da Eros, la cui storia è descritta da Apuleio nelle Metamorfosi (col cui nome, su modello francese, nell’Ottocento si è indicato anche un ‘grande specchio con sostegni laterali, usato un tempo per camere da letto’ [DELI s.v. psiche2]), sia passato, solo nella prima metà del XIX sec. a designare ‘anima’ proprio per influsso di psicologia e di psichiatria, che, è bene ribadirlo, a quest’altezza cronologica non sono ancora due scienze autonome, ma vengono ricomprese sotto la filosofia.
È stato osservato che a partire dalla seconda metà dell’Ottocento per i positivisti psiche andrà a sostituire anima (cfr. Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana, con introduzione di Ghino Ghinassi, Milano, Bompiani, 1994, p. 641). Questo dato è riscontrabile anche sfogliando le pagine del maggior dizionario dell’uso del tempo, il Novo vocabolario della lingua italiana (Giorgini-Broglio, vol. III, 1890), che s.v. psiche registra come primo significato “la giovane amante di Cupido” e “la statua che la rappresenta” e come secondo, con la marca “T. filos.”, quindi come un termine della filosofia, “il principio spirituale della vita; l’anima”. Sempre dal Novo vocabolario è interessante osservare che mentre la parola psichiatria, definita come “dottrina e cura delle malattie mentali” sia marcata come “T. med.”, psicologia, “scienza e dottrina dell’anima”, viene marcata come “T. filos.”, segno evidente che tra le due nuove discipline è la psichiatria la prima a emanciparsi. Istruttivo, infine, anche l’esempio riportato nello stesso repertorio s.v. psichiatria, che ne testimonia indirettamente il successo: “la psichiatria oggi entra dappertutto”.
Tuttavia proprio il fatto che psiche sia percepito come un sinonimo di anima lo rende troppo compromesso con la metafisica per poter pacificamente entrare nella terminologia medico-scientifica, in particolare in quella psichiatrica, che, seguendo ormai un’impostazione organicistica, vede sempre più la malattia mentale come sintomo di una patologia del cervello. Ce lo dimostra la “concorrenza” ottocentesca tra i primi elementi psico- e fren- (dal gr. phrḕn, genit. phrenós, ‘diaframma, mente’), testimoniata plasticamente dal fatto che la prima società psichiatrica italiana, fondata nel 1873, si chiamò Società freniatrica! Abbiamo la fortuna di poter tornare, grazie ai verbali d’epoca, alla seduta del 25 ottobre 1873, quando si dibatté sulla scelta del nome da dare alla nuova istituzione che si andava costituendo. Alla posizione, potremmo dire, più “manzoniana” del futuro primo presidente Andrea Verga (1811-1895), secondo cui “l’uso generale” avrebbe richiesto l’adozione del “radicale psiche”, venne preferita quella di Carlo Livi (1823-1877), secondo cui “la parola psiche rappresenta l’anima secondo il concetto platonico, mentre fren rappresenta il complesso delle forze dinamiche dell’organismo” (Atti della undecima riunione degli scienziati italiani tenuta in Roma dal XX al XXIX ottobre MDCCCLXXIII, Roma, Tipografia G. M. Paravia, 1875 p. 163). Questa scelta, che col tempo venne comunque superata, ebbe tuttavia delle conseguenze durature: oltre a termini ancora in uso, registrati pressoché da tutti i repertori sincronici, come frenastenia e a frenastenico, notiamo che l’organo della psichiatria italiana dalla sua fondazione nel 1875 continua a chiamarsi “Rivista sperimentale di freniatria”.
Ricapitolando, abbiamo tre sostantivi di cui due (psichiatria e psicologia) sembrano essere composti del terzo (psiche), ma, a ben guardare, quest’ultimo è una formazione successiva, creatasi proprio grazie al prestigio dei primi due, che sono, invece grecismi mediati, rispettivamente dal latino (psicologia) e dal francese (psichiatria).
Perizia psichiatrica, psichica o psicologica?
Nell’impossibilità di ricostruire in questa sede la storia delle due discipline, psichiatria e psicologia, è tuttavia necessario tenere presente che la prima è riuscita a crearsi una propria autonomia anche statutario-istituzionale nel novero delle scienze mediche fin dalla seconda metà del XIX secolo, mentre la seconda ha faticato non poco. Basti pensare che nel secondo dopoguerra in Italia c’era una sola cattedra di psicologia, che per decenni non è stato neanche chiaro a quale facoltà la disciplina dovesse afferire, se a Lettere e Filosofia o a Medicina, e che solo nel 1991 si è avuta la prima Facoltà di Psicologia, istituita presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Più in generale, semplificando al massimo (e ci rendiamo conto impropriamente) e facendo un parallelismo con l’informatica, volendo paragonare la psiche, nel più vasto significato attribuibile a questa parola, a un computer, la psichiatria, seguendo una tradizione organicistica, si occupa dell’hardware, mentre la psicologia del software. Anche da un punto di vista normativo lo psichiatra e lo psicologo sono due diverse figure professionali, che hanno percorsi formativi ben distinti (lo psichiatra è laureato in medicina e successivamente specializzato in psichiatria) e interagiscono col paziente in modo diverso (il fatto più evidente è che il solo psichiatra può prescrivere farmaci). Non è infrequente che uno psichiatra sia anche psicologo o viceversa, ma non è un obbligo.
Possiamo già rispondere con relativa certezza a un primo dubbio posto dai lettori, se sia, cioè, più corretto parlare di perizia psicologica, perizia psichiatrica e perizia psichica. Intendendo con perizia una ‘valutazione formulata da un esperto su una determinata cosa o persona, spesso richiesta dal giudice in un processo” (Sabatini-Coletti 2024, s.v.), sembrerebbe abbastanza pacifico che se questa è svolta da uno psichiatra, e deve quindi basarsi sui principi della psichiatria, si debba parlare di perizia psichiatrica; se, invece, è richiesto il parere di uno psicologo si avrà una perizia psicologica. Perizia psichica è una denominazione generica, in quanto non indica né l’esperto né il punto di vista da cui un individuo e la sua psiche dovrebbero essere valutati. Se prendiamo un repertorio specialistico, come il Dizionario delle scienze psicologiche di Luciano Mecacci (Bologna, Zanichelli, 2012) s.v. perizia, leggiamo che una perizia è un
giudizio espresso da un perito su un determinato problema (per esempio, perizia psicologica o psichiatrica sulle condizioni psichiche di una persona imputata di un reato.
È possibile trovare una conferma ulteriore nel Nuovo dizionario di Psicologia, Psichiatria, Psicoanalisi, Neuroscienze (Milano, Feltrinelli, 2019 [19921]) di Umberto Galimberti in cui perizia viene definita come un’“indagine conoscitiva che si traduce in una dichiarazione scritta su richiesta di un committente che ha bisogno di consulenza e informazioni”. All’interno della stessa voce, nella sezione diagnostica sulle condizioni di vita, troviamo sia perizia psicologica che p. psichiatrica, ma non perizia psichica:
In questo ambito l’oggetto non è più l’individuo, ma la rilevanza psicologica degli aspetti naturali dell’ambiente, di quelli provocati dalle relazioni interpersonali e delle circostanze esterne favorevoli o sfavorevoli al raggiungimento dello scopo che il committente della perizia ha stabilito. Trattandosi di problemi generali, la perizia deve comunicare lo stato attuale della scienza e l’opinione generale riconosciuta e consolidata. Là dove queste informazioni mancano, la perizia, sia psicologica sia psichiatrica, non è la sede indicata per chiarire rapporti di causalità al momento sconosciuti e neppure per fornire spiegazioni apparenti in cui il perito si pronuncia a favore di una delle opinioni contrastanti.Disturbo psichico
Secondo la definizione del DSM-IV-TR, è «una sindrome o un modello comportamentale o psicologico clinicamente significativo, che si presenta in un individuo, ed è associato a disagio (es. un sintomo algico), a disabilità (es. compromissione in una o più aree importanti del funzionamento), ad un aumento significativo del rischio di morte, di dolore o di disabilità, o a un’importante limitazione della libertà. In più questa sindrome o quadro non deve rappresentare semplicemente una risposta attesa o culturalmente sancita ad un particolare evento, ad esempio la morte di una persona amata. Qualunque sia la causa, esso deve essere al momento considerato la manifestazione di una disfunzione comportamentale, psicologica o biologica dell’individuo».
Tenuto conto di questo fatto, la consultazione dei principali repertori sincronici appare una prova a sostegno della non accettabilità di disturbo psicologico. Il GRADIT s.v. disturbo, nella seconda accezione ‘anomalia non grave nelle funzioni organiche; fastidio, molestia’ riporta tra gli esempi disturbo psichico, ma si noti che tra le locuzioni polirematiche marcate TS (‘termine tecnico-specialistico’) ed etichetta psic. (‘psicologia, psicanalisi, psichiatria’), trovano posto solo disturbo del linguaggio, d. del pensiero e disturbo ossessivo-compulsivo (dunque né disturbo mentale, né disturbo psichico). Anche il Vocabolario Treccani e lo Zingarelli 2026 s.v. disturbo registrano, rispettivamente, disturbi psichici e disturbo psichico. Per quanto riguarda d. psichiatrico, se il Sabatini-Coletti, che non registra nessuna locuzione s.v. disturbo, s.v. psichiatrico ‘che costituisce l’oggetto della psichiatria’ registra malattia psichiatrica, il Devoto-Oli, sempre s.v. psichiatrico ‘relativo alla psichiatria, attinente allo studio o alla terapia delle malattie mentali’, registra, accanto a malattie psichiatriche, disturbi psichiatrici. Sebbene questi due ultimi repertori dimostrino che la situazione non è del tutto omogenea, la lessicografia non dà spazio a disturbo psicologico.
La poca tollerabilità dimostrata dagli esperti in materia riguardo alla possibilità di utilizzare psicologico come aggettivo di relazione quando non sia riferito direttamente alla psicologia come disciplina è testimoniata dal fatto che spesso nei repertori specialistici affrontino la questione con una certa decisione dal sapore, per così dire, “puristico”. Si prenda, per esempio il Dizionario di psicologia di Amedeo Della Volta (Firenze, Giunti-Barbera, 19692), che definisce psichico “temine equivalente a mentale”, mentre si occupa estesamente di psicologico, per delimitarne l’àmbito d’uso:
psicologico
Riguardante la psicologia. È da evitarsi anche in psicologica clinica l’uso di «psicologico» in luogo di «psichico» o «mentale», cioè pertinente alle attività della mente. Così si dice «conflitto psichico» o «mentale» e non «conflitto psicologico», mentre si parla propriamente di ricerca o di principi psicologici.
A volte il termine psicologico si usa nel senso di una qualità che deriva dall’esperienza diretta, che è soggettiva, in contrapposto ad una qualità obiettiva, come è dello spazio o del tempo psicologico.
Il fatto che a distanza di mezzo secolo Luciano Mecacci dedichi un’entrata del suo Dizionario proprio a disambiguare psichico e psicologico dimostra che la questione è ancora sul tavolo:
psichico, psicologico [...] sebbene questi due aggettivi siano spesso utilizzati in modo intercambiabile, è preferibile impiegare psichico per ciò che riguarda i processi, i fenomeni e le proprietà della psiche (per esempio, apparato psichico, processi psichici) e psicologico per ciò che riguarda la psicologia come disciplina (per esempio, ricerca psicologica, metodi psicologici). (Mecacci 2012, s.v. psichico, psicologico)
Lo stesso repertorio informa il lettore che “la trad. ingl. attuale è psychological per entrambi gli usi”. Quest’ultima osservazione ci potrebbe portare a inferire che l’uso di psicologico in luogo del più proprio psichico possa essere causata dell’inglese, lingua franca e sempre più ufficiale della ricerca scientifica e di quella medica in particolare (basterà ricordare come ormai la quasi totalità delle riviste e degli articoli medici siano in lingua inglese [cfr. Luca Serianni, Un treno di sintomi. I medici e le parole: percorsi linguistici nel passato e nel presente, Milano, Garzanti, 2005, pp. 183-184]). Tuttavia, ricordiamo quanto abbiamo già visto, e cioè che psicologia, almeno fin dai primi anni del XX. secolo – in un periodo in cui ancora l’inglese non godeva del prestigio e predominio attuale – ha indicato anche il ‘complesso degli aspetti’, la ‘personalità, l’indole, il carattere’ di un individuo o di una collettività. Questa doppia accezione è presente anche nella semantica del relativo aggettivo di relazione. Per psicologico è in effetti registrato da tutti i repertori, accanto al significato di ‘relativo alla psicologia’, quello di ‘relativo ai processi, ai meccanismi, alle manifestazioni di natura psichica; che si riferisce alla struttura mentale, all'esperienza interiore, allo stato d’animo di un individuo’ (GRADIT). Comprendiamo così perché, certo in ambienti non specialistici, sia facile sentir parlare di problemi o disturbi psicologici. Meno comprensibile, semmai, disturbi psichiatrici, che del resto abbiamo trovato registrato solo dal Devoto-Oli, a meno che non si voglia indicare un disturbo psichico (che diventa così un iperonimo) che necessiti una cura psichiatrica (ma allora perché non accettare d. psicologico qualora debba intervenire uno psicologo?). Essendo questi usi “impropri” di psicologico comunque molteplici, facili da documentare e alla base dei quesiti posti dai lettori, basterà, a titolo di mero esempio, riportare un recente articolo apparso sul “Corriere della Sera” in cui l’ex cappellano della Casa Santa Marta ricorda come papa Francesco “una volta incontrò i lefebvriani della San Pio X e disse: il problema di questi non è ecclesiologico ma psicologico” (Fabio Paravisi, Don Tino Scotti, il “coinquilino” del Papa, 23/4/2025). Il gioco di parole di Francesco potrebbe offendere un lettore lefebvriano proprio in quanto qui psicologico non ha certo il significato di ‘relativo allo studio della psicologia’!
Anche mediante l’analisi dei corpora, benché in questa sede necessariamente poco approfondita e raffinata, ci permette di fotografare una certa eterogeneità. Utilizzando la piattaforma Sketch Engine è possibile interrogare il corpus itTenTen20 – composto da oltre 12 miliardi di parole contenute in testi scaricati dal web tra il 2019 e il 2020 – per verificare la presenza delle nostre espressioni. La ricerca rivela che tutte e tre le locuzioni sono attestate: disturbo psichico ha 8.947 occorrenze, disturbo psichiatrico 7.999, mentre disturbo psicologico 5.001. L’andamento è confermato anche ripetendo la ricerca nel corpus Italian Trends (2014-today), un corpus meno ampio (8 miliardi di parole) ma distribuito su un arco cronologico più esteso e costantemente aggiornato: disturbo psichico ha 5.250 occorrenza, disturbo psichiatrico 4.551 e disturbo psicologico 2.796 (entrambe le ricerche sono state svolte in data 9/4/2025).
Volendo tirare le somme, possiamo dire che tra le tre locuzioni su cui i nostri lettori hanno espresso dubbi, disturbo psichico è quella, non solo più chiara, ma che trova spazio almeno in un repertorio specialistico. D’altro canto è perfettamente comprensibile vista la particolare storia dei termini psicologia e psicologico, che per il non specialista possa esserci una sovrapposizione con psiche e psichico.
Concludiamo questo intricato percorso con l’auspicio che qualora si soffra di un disturbo, al di là del fatto che lo si definisca psichico, psicologico o psichiatrico, sia sempre possibile richiedere e ricevere l’aiuto di uno specialista competente.