Consulenza linguistica

Il dilagare delle narrazioni (e delle narrative)

  • Luigi Matt
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2025.40581

Licenza CC BY-NC-ND

Copyright: © 2025 Accademia della Crusca


Quesito:

Una lettrice scrive di aver notato che oggi il termine narrazione “ricorre frequentemente, forse in contesti ed in significati un tempo non previsti”, in particolare laddove tradizionalmente si sarebbero usati posizione o parere (questo l’esempio portato a riscontro: “Per quanto riguarda la situazione in Medio Oriente la narrazione dell’attuale Presidente Statunitense discosta da quella del suo predecessore”). Si chiede quindi “quale sia il vero significato della parola”, e “se sia corretto estenderlo a nuovi impieghi”. Una seconda lettrice rileva che nei discorsi sulla guerra in Ucraina spesso si parla di narrativa (per esprimere “il modo di raccontare un evento”, “la sua rappresentazione”), ipotizzando che quest’uso sia influenzato dell’inglese narrative. Chiede inoltre se narrativa e narrazione siano “interscambiabili”.

Il dilagare delle narrazioni (e delle narrative)

I fenomeni ravvisati dalle lettrici sono indubbiamente molto rilevanti. Li si affronterà descrivendo gli usi attuali, proponendo qualche cenno sulla storia e un’ipotesi sull’origine, e ragionando infine sulla loro accettabilità.

La voce narrazione del GRADIT (la cui prima edizione è uscita nel 1999; l’ultimo aggiornamento è del 2007) individua nell’italiano comune moderno poche accezioni, tutte collegate tra loro (altre sono arcaiche, o riguardano ambiti specialistici come la retorica e la diplomatica): “il narrare e il suo risultato”; “ampio e dettagliato racconto, orale o scritto, di fatti, circostanze e sim. esposti spec. secondo la loro progressione cronologica”; “estens., opera letteraria di carattere narrativo”.

Di nuovi significati dànno conto i dizionari dell’uso più recenti. Nello Zingarelli 2026 si legge: “modo di presentare, di interpretare una vicenda oppure una storia personale” (si rimanda inoltre a storytelling, la cui voce, oltre a quello di ‘narrazione, racconto’, comprende il significato di “presentazione in forma narrativa e suggestiva di una realtà, di una vicenda, ecc.”). Il Devoto-Oli 2025 propone una definizione molto diversa: “Nel linguaggio giornalistico, forma di comunicazione che mira a conquistare consensi attraverso l’enfatizzazione delle proprie idee e azioni, attuata spec. da esponenti politici”. Una sorta di conciliazione delle due definizioni è attuata nel Sabatini-Coletti 2024: “Esposizione, presentazione orientata in un dato modo, anche artificiosamente suggestiva, di un fatto, di una vicenda, di un’esperienza, spec. politica”.

Analizzando le numerosissime attestazioni scritte che si rintracciano in rete, in particolare nel linguaggio giornalistico, si può dire che gli usi attualmente prevalenti della parola sono effettivamente riconducibili con qualche approssimazione alle nuove accezioni indicate dai dizionari recenti (naturalmente capita ancora di vedere adoperato narrazione nei significati tradizionali, ma le occorrenze sono nettamente minoritarie).

Per quanto riguarda narrativa, nessun dizionario dà conto di usi diversi da quelli tradizionali, che fanno riferimento innanzitutto ai vari generi letterari (romanzo, novella, fiaba, poema, ecc.) basati sul racconto. Ciò si spiega sicuramente col fatto che rispetto a narrazione l’impiego di narrativa in nuove accezioni appare molto meno diffuso. È comunque facile trovarne esempi che dimostrano come i due termini, in tali nuovi significati, siano sostanzialmente intercambiabili: quello che differisce è solo la frequenza d’uso (gli esempi di narrativa, per questo motivo, saranno citati in coda a quelli di narrazione).

Come punto di partenza per attingere gli esempi utili a documentare gli usi in questione si è consultato il motore di ricerca Google, nella sezione “Notizie”, schedando le occorrenze di narrazione e narrativa (e naturalmente anche dei relativi plurali) nei titoli degli articoli pubblicati nell’aprile 2025: i risultati ottenuti sembrano sufficienti a dar conto delle varie sfumature che le parole possono presentare.

Una precisazione preliminare: il motore di ricerca assembla risultati provenienti dall’intera categoria dei siti di informazione; di essa fanno parte tanto le versioni online di quotidiani e settimanali cartacei, compresi quelli di lunga tradizione, quanto pagine internet che costituiscono il corrispettivo tecnologico dei giornali popolari distribuiti gratuitamente in alcune grandi città, dei settimanali tematici (su sport, moda, viaggi, tecnologie, ecc.) o dei rotocalchi cosiddetti scandalistici. Va peraltro notato che le differenze tra le varie tipologie sono sempre meno apprezzabili, sia per i contenuti sia per lo stile: la “rotocalchizzazione” dei quotidiani ‒ un fenomeno denunciato già cinquant’anni fa ‒ è oggi pressoché completa.

La definizione dello Zingarelli sembra descrivere bene soprattutto una tendenza in àmbito aziendale e commerciale: la narrazione o narrativa (con connotazione pienamente positiva) è vista come una maniera accattivante di presentare un’attività o un prodotto, al fine di promuoverne la conoscenza e il gradimento presso i potenziali clienti. Si vedano i seguenti titoli:

NIQ & GFK Insight Summit: mercato stabile e stanco. Servono una narrazione più completa del prodotto e negozi migliori (dday.it);
Ristorazione: cresce l’occupazione, ma calano le imprese. Riolino: “Serve una nuova narrazione del settore” (liguria24.it);
Al via la terza edizione del premio film impresa: innovazione e narrazione aziendale al centro (gaeta.it);
Design, Persone, Sostenibilità: Hilti al Fuorisalone rinnova la narrativa del settore delle costruzioni (edilportale.com).

Alla base di quest’uso c’è la consapevolezza che per rendere desiderabile un prodotto o un servizio non è sufficiente una descrizione asettica delle caratteristiche: è necessaria una presentazione che risulti evocativa, stimolando la fantasia dei potenziali clienti. A tal fine, come gli autori delle pubblicità sanno da molto tempo, è particolarmente efficace raccontare una storia.

Un secondo impiego compatibile con la definizione dello Zingarelli riguarda la rappresentazione di eventi, dinamiche sociali, tendenze culturali, condotta in modo da far emergere una chiara linea interpretativa:

Africa connessa, i volti di YouTube che stanno cambiando la narrazione del continente (focusonafrica.info);
Femminicidi e violenza di genere, la narrazione dei media: oggi la stampa li racconta meglio (ansa.it);
MOBS: a Genova la mostra che si interroga sul rapporto tra migrazione e narrazione mediatica (exibart.com);
La crisi climatica è fuori dall’agenda politica, ma gli attivisti tornano in piazza (cercando nuove narrazioni) (editorialedomani.it);
Bitcoin e sostenibilità: perché la narrativa ambientale cambierà radicalmente nel 2025 (news.bit2me.com);
Filantropia, e se cambiassimo le narrative? (vita.it).

Un po’ diverso è il seguente esempio, in cui narrazione vale come sinonimo di mentalità (o forse, nell’idea di chi ha scritto quel titolo, di mindset, termine che sempre più spesso si vede usare a chi propone ricette per la crescita personale o lavorativa):

Cambiare narrazione ed essere più positivi (corrieredelticino.ch)

Va detto che riguardo a questa accezione si nota come nella maggior parte dei casi venga espresso un giudizio negativo sulla narrazione o narrativa in questione, di norma esplicitato dall’uso di un aggettivo squalificante:

In Consiglio Grande e Generale c’è chi associa le molestie sessuali a “ragazzate”, Uds: Narrazione inaccettabile” (libertas.sm);
Le false narrazioni su Gaza (ilfoglio.it);
Narrazioni distorte danneggiano l’immagine del sindaco e dell’intera comunità (algheroeco.com);
Dati Istat, Balleari (FdI): “A Genova più giovani negli ultimi 5 anni, no a narrazioni distorte” (genova3000.it);
La rabbia di Elena Cecchettin: “Le narrazioni dei femminicidi continuano a essere sbagliate” (dire.it);
Rrahmani, si sta diffondendo una narrazione distorta sul kosovaro (areanapoli.it);
Omicidio di Ilaria Sula, Ermal Meta: “In ogni uomo dorme un mostro”, torna la demenziale narrazione dominante sui femminicidi (ilgiornaleditalia.it);
Smontiamo punto per punto la narrazione tossica sul femminicidio che non fa bene a nessuno (radioradio.it);
Calcio Eccellenza, Giulianova: Combine? Narrazione tossica, artefatta, costruita ad arte (ekuonews.it);
Ungheria e Italia: crisi democratica o narrativa comoda? (udinetoday.it)

Negli ultimi due esempi di narrazione è interessante anche l’attributo: usato nel senso estensivo di ‘fortemente nocivo, che causa situazioni molto negative’, tossico è oggi un elemento onnipresente nel linguaggio dei giornali e forse ancor di più dei social network, in particolare in alcune locuzioni: mascolinità tossica, relazioni tossiche, ambiente lavorativo tossico. In effetti, effettuando una ricerca senza limiti temporali si rileva che narrazione tossica è un’espressione frequentissima.

La definizione del Devoto-Oli, col suo accenno alla ricerca del consenso, rimanda di fatto al concetto di propaganda. Sono numerose le fattispecie di discorso propagandistico per le quali viene utilizzato nel linguaggio giornalistico il termine narrazione, sempre con una connotazione negativa (nella maggior parte dei casi esso dovrebbe valere a smascherare le menzogne degli avversari politici). Spesso si tratta dell’azione di governo (a qualsiasi livello), presentata dai protagonisti in modo distorto, ipocrita o tendenzioso:

Tinagli: “Trump come Wanna Marchi, ha costruito la narrazione sui dazi falsando i numeri” (repubblica.it);
Pastorino: “Sanità, dietro narrazione Bucci ci sono precise indicazioni per ridurre prestazioni” (cittadellaspezia.com);
Bilancio, “la narrazione di Festa smentita dai numeri. Così si rischia il dissesto” (orticalab.it);
Nuove telecamere a Poggibonsi, le opposizioni: “Stupiti dal cambio di narrazione dell’amministrazione” (valdelsa.net);
Porto Recanati: un sindaco testimonial, una narrazione parziale ed una verità opaca (radioerre.it).

Corrente anche il richiamo alla propaganda come strumento nelle situazioni di conflitto in corso nel mondo:

Zelensky accusa Witkoff, ‘diffonde la narrazione russa’ (ansa.it);
Zelensky critica Trump e Vance: ‘Prevalgono narrazioni russe negli USA’ (quotidiano.net);
“Ipocriti su Gaza”: i capi della protesta contro Hamas denunciano la falsa narrazione occidentale (ilfoglio.it);
A proposito dei ‘palestinesi contro Hamas’ e dell’uso che fa l’Occidente della loro narrazione (ilfattoquotidiano.it);
All’ONU si infiamma lo scontro di narrative sull’Ucraina e la pace si allontana (lavocedinewyork.com).

In altri casi ad essere sminuite come narrazioni sono le posizioni considerate ideologiche (nel senso deteriore del termine):

Iginio Massari elogia Meloni: “L’unica che ha saputo ascoltare”. E la sinistra “rosicona” va in tilt: narrazione dem smentita coi fatti (secoloditalia.it);
Israele e la guerra: realtà e narrazioni (cittanuova.it);
“Era non binaria”. La narrazione Lgbt colpisce anche Giovanna d’Arco (ilgiornale.it);
Presa Diretta (Rai 3) dedica una puntata ad alberi e foreste: molti stimoli, ma anche tante pesanti assenze in una narrazione che spinge alla polarizzazione (ildolomiti.it);
La narrativa del merito che giustifica le disuguaglianze (leurispes.it).

È interessante notare come la comparsa dei significati di cui s’è detto abbia comportato anche una nuova possibilità riguardo alle reggenze preposizionali: il complemento di argomento, che nelle accezioni tradizionali è tipicamente introdotto da di, è ora di preferenza introdotto da su (come si può vedere da alcuni degli esempi citati precedentemente). Proprio la selezione della preposizione può avere la funzione di chiarire il significato: ad esempio, lanciando su Google la ricerca di “narrazione/narrativa sui migranti” si ottengono risultati relativi alle diverse idee riguardo alle politiche sull’immigrazione; mentre “narrazione/narrativa dei migranti” compare di norma in riferimento a un racconto delle esperienze di vita di chi ha lasciato il proprio paese.

Per quanto riguarda l’origine, si può dire con ragionevole certezza che alla base c’è l’inglese americano narrative, che può indicare “a way of presenting or understanding a situation or series of events that reflects and promotes a particular point of view or set of values” (‘un modo di presentare o comprendere una situazione o una serie di eventi che riflette e promuove un particolare punto di vista o un insieme di valori’: è la definizione del Merriam-Webster; stando all’OED Oxford English Dictionary invece tale significato non esisterebbe nell’inglese britannico). In un primo momento, la voce narrative è stata resa con narrazione, termine semanticamente più duttile di narrativa; col tempo quest’ultimo è entrato a sua volta nell’uso nei nuovi significati, pur rimanendo sempre minoritario.

Ad aprire la strada agli usi estensivi di narrative sono state probabilmente le scienze umane, nel cui ambito il racconto di una storia può assumere una valenza specifica. Si pensi, in psicologia, al concetto di self-narrative, di norma tradotto in italiano come narrazione di sé (di cui si trovano tracce già negli anni Novanta: per es. in Psicologia e personalità, a cura di Loredano Matteo Lorenzetti, Milano, FrancoAngeli, 1995, p. 357); è evidente che all’interno di un percorso terapeutico il paziente che racconta eventi salienti della propria vita sta al contempo fornendo una rappresentazione del proprio io.

Al successo ha poi di certo contribuito in maniera determinante la crescente importanza assunta dalle storie, che dai territori tradizionali di letteratura e cinema si sono estese alle serie tv, ai videogiochi, fino ai social network (basti citare le stories di Instagram); significativa anche la fortuna del teatro di narrazione. Nel corso del primo decennio del Duemila gli usi estensivi si diffondono, divenendo normali. Si può citare un episodio interessante: nella sezione dei commenti di un articolo pubblicato l’8 novembre 2010 nel sito del collettivo di scrittori bolognesi Wu Ming (Note sul “Potere Pappone” in Italia, 1a parte: Berlusconi non è il padre, wumingfoundation.com), ben sette intervenuti adoperano narrazione nelle nuove accezioni, con sfumature diverse di volta in volta, positive (“narrazioni da trovare per accomunare lotte diverse che sono la stessa lotta ma non sanno di esserlo”) o negative (“Giustissimo denunciare le narrazioni a mosaico che ci hanno corporativizzati e sfiniti tutti quanti”).

Preso atto che l’ascesa delle narrazioni appare al momento inarrestabile, per cui non sorprenderebbe la nascita di accezioni ulteriori del termine, si proporrà una considerazione sull’accettabilità dei nuovi usi. Il giudizio può essere diverso a seconda di quale punto di vista si adotti. Naturalmente, non è in sé negativo il fatto che nascano nuove accezioni di termini: è una dinamica naturale, che si è verificata in un’infinità di casi, senza che ciò abbia comportato alcun problema. Spesso il nuovo significato ha cancellato quello precedente, o almeno ne ha limitato molto le possibilità di impiego (per far solo un esempio, se oggi si dice che due persone sono amanti si può intendere unicamente che hanno una relazione clandestina, alludendo anche a rapporti fisici, mentre nell’italiano della tradizione letteraria con quella parola si indicavano genericamente due innamorati). Ciò sicuramente non potrà succedere per narrazione e narrativa, il cui impiego nelle accezioni originarie rimarrà inevitabilmente ben vivo in riferimento ai generi letterari (e non solo) basati sul racconto.

Ma va anche detto che, pur non adottando posizioni puristiche pregiudizialmente ostili alle novità lessicali, si può giudicare negativamente la proliferazione incontrollata di parole di moda, prive di una reale funzionalità (dato che non si sono generate per colmare lacune lessicali dell’italiano) che vengono scelte perlopiù in base al principio, applicatissimo non solo ai fatti di lingua, che le cose nuove sono di per sé migliori di quelle che esistono da tempo. L’uso di questo genere di parole, di cui narrazione e narrativa fanno parte, è leggibile in definitiva come sintomo di pigrizia mentale, e scarso controllo sulla propria lingua. Che tali difetti emergano continuamente nelle scritture dei social network è tutt’altro che sorprendente; ma sarebbe lecito attendersi qualcosa di meglio dai professionisti dell’informazione.

Non sono mancate prese di posizione nettamente contrarie al dilagare delle nuove narrazioni e narrative. La più rilevante si legge nel volumetto Nuove forme di critica. Sul buon uso della letteratura su facebook (Novate Milanese, Prospero, 2021), in cui Stefano Brugnolo, studioso di letterature comparate e teoria della letteratura recentemente scomparso, ha raccolto una serie di suoi post. Uno di essi è dedicato proprio a narrazione, di cui si fa notare tra l’altro il potenziale antirazionale e in definitiva infantilizzante: in particolare i politici “che contestano le narrazioni degli altri e propongono le loro narrazioni come migliori” puntano sull’illusione che “queste ultime sarebbero più avvincenti delle prime e garantirebbero finali migliori”, contando sul fatto che non si tratta più di convincere i cittadini, ma di “soddisfare le esigenze di lettori in cerca di happy ending”.

Parole chiave