DOI 10.35948/2532-9006/2025.40583
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Alcuni lettori ci chiedono se le locuzioni in fretta e di fretta siano equivalenti; un altro lettore chiede se per indicare l’‘incutere pressione’ sia preferibile usare dare fretta o piuttosto fare fretta; altri ancora domandano se essere di fretta, che sentono usare spesso, sia corretto; infine due lettrici chiedono se la locuzione a corsa usata in Toscana sia anche di lingua.
Di fretta e in fretta (e anche il più raro con fretta) sono locuzioni avverbiali in linea di massima sinonimiche quando siano associate, come alternativa dell’avverbio frettolosamente, a verbi di movimento, ai quali aggiungono la connotazione modale della velocità nello svolgimento dell’azione che può portare anche a minore accuratezza e precisione. In questa accezione le due forme sono largamente intercambiabili per cui coppie di frasi come andare in fretta / di fretta, camminare in fretta / di fretta; uscire in fretta / di fretta sono sostanzialmente analoghe. Ma ci sono almeno due considerazioni da fare, entrambe di natura semantica, una relativa soltanto allo spettro dei tratti di significato del sostantivo fretta, e l’altra che coinvolge anche la relazione sintattica e semantica tra le locuzioni in esame e i verbi con cui queste possono combinarsi. I principali dizionari sincronici (GRADIT, Devoto-Oli, Sabatini-Coletti) riportano come principali accezioni del sostantivo fretta quella di “necessità o desiderio di far presto, urgenza, premura” e quella di “rapidità nei movimenti, inconsueta velocità nelle azioni”: si mettono così in evidenza due aspetti della parola, uno legato a un urgenza interiore, a uno stato di agitazione e di urgenza soggettivo, solitamente causato dal poco tempo a disposizione per conciliare più attività che si susseguono una di seguito all’altra in tempi ristretti e contingentati (“avere fretta di arrivare”; “mettere fretta con le scadenze”); l’altro più oggettivo, relativo all’effettiva velocità nello svolgere un’azione che solitamente non prevede alcuna particolare rapidità (mangiare / lavorare / leggere ecc. in fretta o con fretta). In questo secondo caso la fretta si riferisce in modo più diretto al verbo e ne modifica il significato, con una funzione puramente avverbiale. La non perfetta sovrapponibilità dei tratti semantici tra le due accezioni risulta anche dall’analisi dei possibili sinonimi dell’una e dell’altra selezionati dai dizionari. Il Sabatini-Coletti 2024, ad esempio, offre un repertorio che mette bene in luce questo aspetto: oltre ad alcuni sinonimi che possono funzionare in entrambe le accezioni (come premura, urgenza, furia), si nota la scelta delle parole impazienza, agitazione, frenesia come sostituti di fretta nel senso di ‘necessità o desiderio di fare presto’, che sembra avere un riferimento più diretto alla disposizione “emotiva” del soggetto agente, mentre velocità, celerità, rapidità sono associati all’altro significato, più mirato a rappresentare la ‘rapidità dei movimenti’. Una conferma a questa sottile distinzione di significato arriva anche dalla proposta etimologica di Alberto Nocentini, che postula un’analogia tra fretta derivato dal verbo frettare (intensivo di frĭcare, ‘strusciare’ e poi traslato ‘fottere’) e fregola ‘impazienza di soddisfare il proprio istinto sessuale’ da fregare: fretta avrebbe subìto una banalizzazione simile passando così da indicare ‘furia, eccitazione’ (tipico degli animali) a ‘impazienza’ (cfr. Alberto Nocentini, Derivati nominali da participi passati forti: ‘lesto’, ‘fretta’, ‘brutto’, “Lingua nostra”, 65/2004, pp. 83-87).
Nell’uso contemporaneo, in entrambe le accezioni viste, fretta può trovarsi come nome che completa il significato di mettere, dare, fare, verbi cosiddetti “supporto” che da soli hanno un significato “leggero” che si precisa a seconda dell’elemento che li accompagna; questo tipo di costruzione può spesso essere sostituita da un verbo unico con la stessa radice del nome (dare un bacio = baciare; fare un inchino = inchinarsi, ecc.), situazione che non si verifica con fretta, che resta alla base dei verbi affrettare e affrettarsi, di cui il primo non ammette che l’argomento diretto sia un essere animato (posso affrettare il passo, affrettare gli eventi, ma non *affrettare qualcuno) e il secondo è riflessivo e quindi riferibile soltanto al soggetto. Per esprimere invece l’azione di ‘spingere, sollecitare qualcuno a fare presto’, come incitamento che contemporaneamente può indurre sia a una maggiore rapidità di esecuzione sia all’innalzamento del livello di agitazione in chi viene invitato a “muoversi”, funzionano sostanzialmente allo stesso modo mettere, dare, fare fretta. Un dato che possiamo tener presente nella scelta dell’uno o dell’altro verbo viene dalla frequenza d’uso, che mostra una decisa prevalenza di mettere fretta rispetto alle altre due opzioni (Google Ngram Viewer che restituisce le frequenze d’uso in testi scritti dal 1500 al 2022 di stringhe date, ricerca del 23/6/2025):
Per rispondere alle domande di chi poi ci chiede se, e in che limiti, queste locuzioni siano interscambiabili, dobbiamo richiamare le due accezioni di fretta appena illustrate e vedere come esse interferiscano nella possibilità di associare le diverse locuzioni (di fretta, in fretta) a verbi che presentano tratti semantici differenti. La considerazione più immediata riguarda i verbi di azione, e non solo quelli di moto, per i quali non ci sono restrizioni d’uso, né sintattiche né semantiche, rispetto a nessuna delle due locuzioni: andare / camminare / entrare / uscire, ma anche fare / scrivere / mangiare / leggere / lavorare / guidare ecc., per quanto con frequenze diverse nell’uso, possono ricorrere con tutte e tre le locuzioni in fretta / di fretta / con fretta senza compromettere la coerenza della frase. Restano però differenze di sfumature di significato e, come appena accennato, di frequenza nella selezione che i verbi attivano rispetto a ciascuna di queste locuzioni. Limitandoci ancora ai verbi di azione, vediamo come, sul versante del significato, coppie del tipo andare in fretta/ andare di fretta; mangiare in fretta/ mangiare di fretta; fare (tutto) in fretta/ fare (tutto) di fretta, pur perfettamente coerenti, mettano a confronto rappresentazioni della realtà sensibilmente differenti: se in fretta aggiunge un’informazione che resta limitata alla velocità di esecuzione dell’azione e quindi a un dato più oggettivo valutato sul tempo che mediamente consideriamo congruo al compimento di quella determinata azione (ad es. mangio in fretta, cioè velocemente rispetto al tempo che mediamente consideriamo adeguato per consumare un pasto), di fretta apre un contesto più ampio, che colloca l’azione espressa in una sequenza serrata di altri eventi e mette in evidenza lo stato di agitazione e di timore del soggetto agente di non farcela a fare tutto (mangio di fretta perché, ad esempio, ho subito dopo un altro impegno e il tempo che posso dedicare al pasto è ridotto). Questa differenza risulta forse ancora più marcata con verbi di moto come andare: andare in fretta è analogo a ‘recarsi velocemente in qualche posto’, mentre andare di fretta appare come uno stato di ‘frenesia’ interiore che condiziona il nostro modo di procedere, talvolta rendendo accelerato l’intero agire quotidiano.
La situazione cambia associando in fretta o di fretta al verbo essere, con il quale si possono presentare due casi diversi, a seconda che il verbo sia usato con funzione predicativa (sinonimo di ‘stare, trovarsi’) o con quella copulativa. Quando essere è predicativo non ammette nessuna delle due locuzioni, per cui sono completamente agrammaticali sequenze del tipo *sono in fretta/ di fretta a casa a studiare; quando essere invece è copulativo l’unica locuzione consentita è di fretta (scusa, sono di fretta, mentre non funziona *scusa, sono in fretta), che infatti potrebbe essere sostituita da un aggettivo (sono oberato, sono pressato, sono agitato) e che, abbiamo visto, contempla nel suo spettro semantico la descrizione di una modalità rapida generalizzata all’intero contesto e che, quindi, non limita la sua influenza solo alla rapidità di una singola azione. Una rappresentazione molto netta di questo sbilanciamento nella distribuzione delle due locuzioni emerge sempre da Google Ngram Viewer (23/6/2025) se si mettono a confronto le stringhe “sono di fretta” e “sono in fretta”:
Per esprimere rapidità di movimento (e minore attenzione e precisione nell’esecuzione) la nostra lingua mette a disposizione anche altre locuzioni e di/a corsa sono tra quelle più frequenti e analoghe a in fretta/di fretta. In questo caso alla base delle forme avverbiali c’è il sostantivo corsa che, preceduto sia dalla preposizione di sia da a, produce locuzioni che indicano primariamente quella “andatura veloce dell’uomo, in cui le fasi di appoggio alternativo dei piedi sono intervallate da una fase di sospensione in aria” (GRADIT); dunque un modo di locomozione veloce tipico dell’essere umano (che poi si estende anche ad animali e veicoli), tecnicamente definito in àmbito militare e sportivo, che si caratterizza per una maggiore rapidità rispetto all’andatura a passo “normale”. Dobbiamo però subito notare che le due locuzioni presentano qualche differenza dal punto di vista diacronico, evidenti dalla consultazione dei dizionari storici (Vocabolario degli Accademici della Crusca, Tommaseo-Bellini, GDLI): a corsa (e a tutta corsa, a passo di corsa) risulta attestato fin dall’italiano antico (dal Duecento, cfr. TLIO), ma progressivamente riduce la sua frequenza fin quasi a sparire in alcune accezioni (nel significato militare Tommaseo lo indica con la crux delle parole in via di sparizione; di corsa, pur comparendo ugualmente molto precocemente (tra Duecento e Trecento, cfr. TLIO), non sembra affermarsi, almeno nei testi letterari da cui sono tratti gli esempi dei dizionari, fino al rilancio che ne farà Manzoni, che, nella rielaborazione del suo romanzo tra le due edizioni del 1827 e del 1840, sostituisce anche i pochi casi di a corsa in di corsa: all’inizio del capitolo VII “sopra pensiero ma non istordito, a corsa e non in fuga” (1827) > “sopra pensiero ma non sbalordito, di corsa e non in fuga” (1840); così come nel capitolo VIII “arriva Menico a tutta corsa, li riconosce (1827) > “Era Menico che veniva di corsa” (1840). Complessivamente si contano 19 occorrenze per di corsa nell’edizione definitiva (nessuna per a corsa), mentre nella precedente si hanno soltanto 3 occorrenze di a corsa (nessun di corsa). Dei due esempi di Manzoni citati da una nostra utente soltanto uno è effettivamente presente, ma nel primo tomo dell’edizione del 1825 (poi 1927, Ferrario) ed è poi stato modificato anch’esso dall’autore nell’edizione definitiva: “dimenticando la sua gravità consueta, andò quasi a corsa da Gertrude” > “andò quasi di corsa da Gertrude”. Anche un confronto tra le due locuzioni nei libri in italiano disponibili online (ancora da Google Ngram Viewer, 23/6/2025) mostra una costante ascesa dell’uso di di corsa negli ultimi due secoli a fronte di una quasi totale assenza di a corsa:
Se guardiamo poi agli usi attuali delle due locuzioni il divario risulta del tutto confermato: l’interrogazione di Google (ricerca del 24/6/2025), per quanto possa restituire un quadro approssimativo, produce risultati assolutamente in linea con la tendenza appena riscontrata: “andare a corsa”: 22 r. / “andare di corsa”: 51.800 r. / “entrare a corsa”: 10 r. / “entrare di corsa”: 11.200 r.; “venire a corsa”: 7 r. / “venire di corsa”: 12.500 r.; “uscire a corsa”: 20 r. / “uscire di corsa”: 101.000 r. A queste stringhe possiamo aggiungere anche “essere di corsa” (181.000 r.) con il significato prevalente di ‘essere di fretta’ che non è possibile confrontare con essere a corsa, usato in àmbito automobilistico, o più in generale sportivo, con un aggettivo (lunga, breve, iniziata, finita, ecc.) riferito al tipo di corsa.
Dunque, per arrivare alla fine della corsa, nessuna delle due locuzioni citate dai nostri lettori è sbagliata dal punto di vista grammaticale, ma la storia dei loro usi ci dice che nell’italiano contemporaneo è prevalente, comune (e quindi condivisa nella comunicazione) di corsa. La percezione che a corsa sia una forma che si è conservata più in Toscana rispetto ad altri luoghi non è del tutto immotivata e nella storia della nostra lingua sono molti i casi di parole o espressioni del fiorentino e italiano antico che hanno assunto forme diverse (o sono del tutto sparite) nel resto della penisola e che sono invece rimaste nel parlato dei toscani senza essere avvertite come arcaiche o desuete.