Consulenza linguistica

Certificare o attestare? Non è solo una formalità

  • Sergio Lubello
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2025.40585

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Quesito:

Alcuni lettori ci chiedono qual è la differenza tra i verbi certificare e attestare, così come tra i corrispondenti sostantivi certificato e attestato.

Certificare o attestare? Non è solo una formalità

Nell’uso comune i termini oggetto delle domande dei lettori vengono spesso adoperati come sinonimi; tuttavia, presentano differenze rilevanti dal punto di vista tecnico-giuridico. La distinzione è particolarmente significativa in àmbito amministrativo e processuale, nonché nel contesto delle responsabilità civili, penali e disciplinari connesse alla formazione degli atti.

Il verbo certificare deriva dal latino tardo certĭfĭcāre, ovvero ‘rendere certo’ (nell’italiano è documentato dalla fine del XIII sec.; cfr. TLIO). In àmbito giuridico e amministrativo, la certificazione è l’attività con cui un soggetto qualificato – normalmente un pubblico ufficiale o comunque un soggetto abilitato per legge – attesta la veridicità di un fatto, uno stato o un dato risultante da atti o registri ufficiali. Certificare implica dunque l’emissione formale di un documento da parte di un’autorità competente, emissione basata su elementi oggettivi già acquisiti, registrati o verificati. Chi certifica non si limita a dichiarare un’informazione, ma assume una responsabilità giuridica rispetto al contenuto del documento (tipico esempio è il certificato di nascita o di residenza rilasciato dall’anagrafe comunale).

Il verbo attestare, dal latino attestari ‘testimoniare’ (in italiano a partire dagli Statuti fiorentini del 1334; cfr. TLIO), ha invece un significato più ampio e meno formalizzato: designa una dichiarazione resa anche da soggetti privati o non pubblici ufficiali, volta ad affermare l’esistenza di un determinato stato o fatto, sulla base di conoscenze dirette o indirette, senza il medesimo valore probatorio della certificazione. È il caso, per esempio, dell’attestazione di conformità di un impianto rilasciata da un tecnico abilitato, o dell’attestato di prestazione energetica (APE).

Anche i corrispondenti sostantivi certificato e attestato riflettono questa distinzione. Il certificato è un atto pubblico, redatto da un pubblico ufficiale o da altro soggetto autorizzato dalla legge, con piena efficacia probatoria ai sensi dell’art. 2699 del Codice Civile: fa fede fino a querela di falso e documenta fatti oggettivi risultanti da registri ufficiali (certificato di nascita, certificato medico).
L’attestato, invece, è un atto privato, anche se può essere redatto da un soggetto qualificato. È un documento che dichiara uno stato, una condizione o una competenza, ma non ha necessariamente valore legale. Può essere rilasciato da enti pubblici o privati e serve spesso a dare evidenza formale a un’esperienza o a una valutazione (attestato di partecipazione, di qualificazione professionale, di servizio, di idoneità fisica ecc.).

In sintesi: la certificazione ha valore probatorio formale e vincolante, con effetti legali pieni, mentre l’attestazione ha valore dichiarativo, con efficacia probatoria limitata alla responsabilità del dichiarante, che risponde della veridicità della dichiarazione.

Anche sotto il profilo giuridico, le conseguenze variano: in caso di certificazione falsa, si configura il reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico (art. 479 c.p.); una attestazione falsa redatta da un privato può configurare i reati di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) o di dichiarazione mendace (art. 76 del D.P.R. 445/2000).

La distinzione tra certificato e attestato si è affinata nel corso del XX secolo, anche grazie all’evoluzione della normativa sulla semplificazione amministrativa. La Legge n. 15/1968 e il D.P.R. 445/2000 hanno introdotto strumenti come l’autocertificazione e le dichiarazioni sostitutive, alleggerendo il carico burocratico e attribuendo al cittadino maggiore responsabilità rispetto alle informazioni fornite.

Tuttavia, anche oggi, in molti contesti la differenza è sostanziale. Ad esempio, per l’iscrizione a un concorso pubblico può essere richiesto un certificato di laurea, non un semplice attestato di partecipazione a un corso universitario.

Infine, per rispondere a una lettrice che ci chiede se la conoscenza dell’italiano L2, secondo i livelli QCER, debba essere certificata o se basti attestarla: nel caso delle competenze linguistiche valutate secondo il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (QCER/CEFR), si parla propriamente di certificazione. I livelli A1, A2, B1, B2, C1, C2 sono standard internazionali, e la loro attribuzione richiede il superamento di prove ufficiali presso enti riconosciuti (es. Cambridge, DELF, Goethe-Institut, PLIDA, ecc.).

Un insegnante o una scuola può attestare che uno studente ha frequentato un corso di livello B2, ma solo un ente accreditato può certificare il raggiungimento effettivo di quel livello secondo i parametri QCER. Un attestato di frequenza a un corso, quindi, non ha lo stesso peso di un certificato ufficiale di competenza linguistica.


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