DOI 10.35948/2532-9006/2024.31168
Licenza CC BY-NC-ND
Copyright: © 2024 Accademia della Crusca
Una lettrice di Mantova ci chiede chiarimenti sull’espressione buttare il ferro a fondo, che sente spesso utilizzare per indicare “la volontà di arrendersi, lasciar perdere questioni che non meritano ulteriori perdite di tempo”; a suo parere il significato sarebbe invece il contrario, ovvero “portare a termine con decisione un’azione o un procedimento”.
Buttare il ferro a fondo è un modo di dire italiano di origine settentrionale – particolarmente diffuso nelle aree di Venezia e di Mantova – che può assumere vari significati, anche contrari tra loro. Deriva dall’antico lessico della marineria e del commercio marittimo, dove troviamo attestazioni del termine ferro inteso come ‘ancora, ancorotto’ (Zingarelli, s.v. ferro). In particolare, in dialetto veneziano, si trova la locuzione fero de do mare ‘ferro di due marre’, che indica “l’àncora propria de’ vascelli” (Boerio 1856, s.v. fero). In un trattato cinquecentesco, Della milizia marittima, l’ammiraglio veneziano Cristoforo Canal (1510-1562), scrive (I 95): “ogni galera porta tre ferri da dar fondo per difendersi dalle fortune, l’un de’ quali è chiamato anchorezza… l’altro è detto il marzocco… il terzo si addimanda il ferro della posta” (Cortelazzo 2007, s.v. fèro). È interessante quel “difendersi dalle fortune”, probabilmente alla base del significato di espressioni proverbiali quali trar i so feri a fondo “trarre o gettare il dado o la sorte; far un dato sperimento per tentar la propria ventura” (Boerio 1856, s.v. fero); o aver ferri in acqua, che significa ‘cautelarsi, prendere provvedimenti’ (“e però non restatte di aver qualche fero in aqua”; Andrea Berengo, Lettere, 230, cfr. Cortelazzo 2007, s.v. fèro); o ancora avé boni ferri in acqua, registrato nelle Dieci tavole dei proverbi (Cortelazzo 1995, H IV, n. 871, p. 75; Cortelazzo 2007, s.v. fèro).
Non sappiamo con precisione l’epoca a cui risalga il modo di dire buttare il ferro a fondo, con il verbo buttare, ma non vi è dubbio che la locuzione ferro a fondo, in cui ferro vale ‘ancora’, sia da far risalire al secolo XVI. Il fatto che buttare non sia l’unico possibile verbo reggente, e che vi siano anche attestazioni con dare, mettere e tirare (o trarre), giustifica la polisemia e anche l’enantiosemia dell’espressione. Tirare, in particolare, è tra i verbi enantiosemici, aventi cioè significati contrari, ma ugualmente corretti, per eccellenza, giacché può indicare un ‘portare verso di sé’ così come uno ‘spingere lontano da sé’; e ciò è ancor più evidente nel succitato trar i so feri a fondo, in cui subentra l’elemento ancipite della sorte (positiva o negativa; si vedano “le fortune” nel citato passo del Canal).
Per quanto riguarda mettere, il Boerio registra Meter i feri a fondo nel senso di ‘preordinare, preparare, predisporre, ordire’, detto figurato che ritorna, con identico significato, nel mantovano Metr i fèr a fond (Arrivabene 1969, s.v. fèr). Per la stessa espressione, registrata con il sostantivo al singolare e con qualche variante grafica (Mettar al ferr a fond), il Cherubini fornisce il significato di ‘venire ai ferri’, ossia ‘venire alle armi, combattere’ (s.v. ferr): in senso figurato ‘venire al fatto, alla conclusione, a ciò che veramente importa’, da cui anche venire a mezzo ferro, o ai ferri corti (‘venire a pugna stretta’). Si spiega così il significato dell’espressione, ancora oggi diffuso, di ‘insistere’, ‘andare fino in fondo’, ‘non cedere’, ‘non mollare’, ‘prendere posizione’; e anche ‘vuotare il sacco’ e ‘rompere gli indugi’, come si può notare in due esempi dello scrittore mantovano Antonio Moresco (nato nel 1947), in particolare nell’opera L’invasione (“così quest’anno ho deciso di buttare il ferro a fondo e di leggerlo finalmente tutto di fila, in modo esclusivo”) e in un’intervista, dal titolo Sono in un momento di grande esplosione creativa, in cui dichiara, a proposito del pamphlet intitolato Il grido: “un libro dove butto il ferro a fondo, vuoto il sacco e mi prendo tutti i rischi possibili e immaginabili, perché questo non è il momento della prudenza, ma dell’inconciliabilità, dell’intransigenza, dell’ardimento” (dal sito del mensile di informazione culturale “L’Indice dei libri del mese”, 16/7/2018).
Per restare alla lingua contemporanea, la stampa locale mantovana, in particolare in articoli di cronaca sportiva, attesta abbastanza spesso l’uso di buttare il ferro a fondo preceduto dalla negazione non nel senso di ‘non cedere, non mollare, non arrendersi’. Ad esempio, nella “Gazzetta di Mantova” del 3 dicembre 2007, in un articolo dedicato alla pallavolo (È ufficiale: Biella bestia nera del Burro Virgilio) si legge: “Deciso a non buttare il ferro a fondo, il Burro si rianima nel quarto set […]”. Più recentemente (13/11/2022), a proposito della pallacanestro femminile, la rivista “Basket Inside” commenta così l’andamento di una partita della MantovAgricoltura: “[…] ma Bottazzi non ci sta a continuare a soccombere e infila quattro punto (recte punti) per le sue per dimostrare di non voler buttare il ferro a fondo nonostante il punteggio si assesti sul 25 a 51”. L’uso è confermato da un altro quotidiano locale, “La Voce di Mantova”, in cui, in data 9 febbraio 2021, riguardo a una partita di calcio a cinque del Salviatesta Mantova, si dice: “Il Saviatesta ci proverà. Nella gara di sabato contro la prima della classe ha dimostrato di non voler buttare il ferro a fondo” (corsivi miei).
È interessante a questo punto notare come buttare il ferro a fondo ricorra con il significato di ‘arrendersi, lasciar perdere’ anche senza la negazione; e lo si può constatare citando anche testi che esulano dall’ambito sportivo. Se si prende la “Gazzetta di Mantova” del 1° luglio 2011, e in particolare l’articolo È guerra dei saldi tra il centro e l’Outlet, si può osservare questo impiego da parte del giornalista che, per descrivere la delusione mista a rabbia di Carmen Zapparoli (presidente di Federmoda Mantova) nei confronti della concorrenza sleale dell’outlet, scrive: “la Zapparoli, […] confessa la voglia di buttare il ferro a fondo” (corsivo mio). Infine, tornando alla cronaca sportiva – questa volta non locale, ma internazionale – si consideri “Il Blog del Ring”, pagina dedicata alla Formula Uno, dove il 21 luglio 2022, in vista del Gran Premio di Francia corsosi a Le Castellet il 24 luglio 2022, l’autore del testo ha scritto: “Non resta che aspettare il responso della pista per capire se quel poco di fiducia che gli appassionati, quelli veri, ancora hanno in questo sport sia fondato o ormai è ora di buttare il ferro a fondo e occuparsi di altro” (F1 2022 – Gran Premio di Francia nordschleife1976.com, 6/9/2023; corsivo mio).
Dunque abbiamo buttare il ferro a fondo anche nel senso di ‘cedere, mollare’; e si potrebbe pensare a un fraintendimento dovuto all’incontro di due negazioni: non buttare il ferro a fondo per dire ‘non cedere, non mollare’ avrebbe poi generato un’espressione erronea. In realtà l’espressione buttare il ferro a fondo sembra legittimamente duplice ed enantiosemica, i cui significati contrari sono ugualmente corretti e dotati entrambi di una propria tradizione. Il più antico sembra effettivamente essere quello di ‘andare fino in fondo, insistere, non mollare’; ma esistono attestazioni – in dialetto mantovano e non solo – di buttare il ferro a fondo da intendersi come ‘lasciar perdere, lasciar andare qualcosa’. Alfredo Facchini, detto Fredòn – conosciuto come “il principe del dialetto mantovano”, secondo la definizione che si legge in uno degli articoli commemorativi, pubblicati il giorno della sua recente scomparsa (Mantovauno.it, 18/4/2022) – attesta bütàr al fèr a fond con il significato di ‘lasciarsi andare sfiduciati’.
In conclusione, buttare il ferro a fondo è un’espressione antica e polisemica, caratterizzata da enantiosemia, che offre una volta di più l’occasione per riflettere sulla ricchezza del patrimonio idiomatico della lingua italiana. La sua storia si snoda tra Mantova e Venezia; e a riprova di ciò possiamo citare un’ultima attestazione, con il verbo dare al posto di buttare, in cui traspare un’ambivalenza semantica risalente almeno al XVIII secolo. In una commedia in versi del gesuita bresciano Pietro Chiari (1712-1785), noto per la rivalità con Carlo Goldoni, si legge: “Intanto o cessa il vento o si dà il ferro a fondo / Della speranza è l’ancora, che tutto regge il Mondo” (La buona madrigna, a. II, sc. VI). L’espressione vuole appunto dire che, se il vento non si placa, bisogna agire; e l’agire consiste in un metaforico (ed etimologico) gettare l’ancora, che ha certo a che fare con una resa, la quale tuttavia non comporta il completo abbandono della speranza, come dimostra la successiva metafora dell’àncora della speranza, certo non casuale una volta appurato il significato di ferro. Ancora viva nell’italiano di oggi (GRADIT, s.v. ancora), la locuzione ancora di speranza indica un’“ancora di riserva, tenuta in cubia o sul ponte”, con cui dare fondo in caso di necessità (cfr. ancora di salvezza). La commedia in questione fu rappresentata per la prima volta a Venezia nel 1756; ma dalla prefazione si apprende che il Chiari soggiornò a Mantova nel 1755. Dunque la storia della redazione della commedia è coerente con il contesto in cui è sorta e si è sviluppata la nostra espressione; ed è del tutto verosimile che il Chiari, per arricchire i suoi dialoghi, abbia attinto a voci di lingua parlata proprie del mantovano, note e comprensibili anche a Venezia.
Nota bibliografica: