Consulenza linguistica

Adultità

  • Franz Rainer
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2024.30166

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Quesito:

Alcuni lettori e lettrici hanno espresso dubbi sulla legittimità della parola adultità.

Adultità

L’esitazione dei lettori e delle lettrici è comprensibile dato che la parola adultità manca anche in repertori grandi come il GRADIT o il Vocabolario Treccani. Vari dizionari monovolume invece la hanno già lemmatizzata. Il dizionario Garzanti online, per esempio, la considera “non comune” e la definisce nella maniera seguente: ‘la condizione di chi è adulto, l’età adulta; il mondo degli adulti’. Nel GDLI entra solo con il Supplemento del 2009, con un esempio tratto dal giornale “la Repubblica” (18/3/2007): “Il monello... qualcuno ancora lo tiene ben vivo, con tutta la sua voglia di fare dispetti e non darla vinta al buon senso e alla grigia adultità”.

Adultità è apparentemente una parola d’autore nel senso miglioriniano del termine. Si documenta infatti per la prima volta nell’opera Tragedia dell’infanzia di Alberto Savinio (1891-1952), scritta nei primi anni ’20 ma apparsa a stampa solo nel 1937 (cito dall’edizione del 1946 [Firenze, Sansoni]):

Dialogo eterno fra popolo e capitale – dialogo senza risposta: immagine riflessa dell’altro dialogo, ben più grandioso tra infanzia e adultità: dimostrazioni tragiche entrambe che ogni rivoluzione è un desiderio senza possibilità di appagamento. (p. 150)

La parola è stata registrata presto in un libro di Albert Junker dedicato alla crescita e ai cambiamenti nel vocabolario italiano più recente di allora (Wachstum und Wandlungen im neuesten italienischen Wortschatz, Erlangen, Universitätsbund Erlangen 1955, p. 96). Il professore di Erlangen indica come sua fonte appunto l’opera citata di Savinio, in un’edizione del 1945. Dallo studio di Junker, la parola è poi passata nelle Parole nuove (Milano, Hoepli 1963, p. 4) di Bruno Migliorini, così come nel LEI 1, 863.

Siamo di fronte al caso raro di una parola che è entrata prima nella lessicologia e lessicografia che nell’uso generale della lingua. La parola infatti è rimasta rarissima durante gli anni ’50 e ’60. Google libri registra solo due esempi per gli anni ’50, ambedue contenuti nello studio citato di Junker, e così è anche per gli anni ’60, mentre nel periodo 1971-80 gli esempi raggiungono la quota notevole di 4.000. Le fonti di quel periodo appartengono ai linguaggi specialistici, soprattutto quello della psicologia, e sembra che l’uso della parola sia rimasto confinato essenzialmente a quelle sfere fino al giorno di oggi.

L’incertezza dei parlanti può derivare non solo dall’uso ristretto della parola ma anche dalla sua dubbia grammaticalità. Come ho spiegato nel mio studio I nomi di qualità nell’italiano contemporaneo (Vienna, Braumüller 1989, pp. 161-163), gli aggettivi italiani che finiscono in /t/ + vocale scelgono di norma il suffisso astratto ‑ezza: esattezza, ristrettezza, scioltezza, sveltezza, ecc. Fanno eccezione solo tre latinismi: castità, santità, vastità. Su questo sfondo, la scelta di -ità da parte di Savinio sorprende. Nello studio citato, ho attribuito la sua scelta al fatto che la connotazione scientifica di -ità ha prevalso sulla menzionata preferenza fonologica generalmente accordata a -ezza dopo basi che finiscono in /t/. Le espressioni che denotano fasce di età mostrano in italiano un comportamento assai eterogeneo per quanto riguarda la scelta del suffisso: infanzia, adolescenza, giovinezza, maturità, anzianità (secondo il GRADIT, di basso uso nel senso ‘l’essere anziano’), vecchiaia. Data questa eterogeneità, Savinio non disponeva di un modello chiaro per quanto riguarda la scelta del suffisso nel caso di adulto, e si è deciso per il suffisso -ità più consono al suo discorso scientifico, trascurando il lato formale che favoriva -ezza. Può aver pesato sulla sua scelta anche il fatto che -ezza è da tempo un suffisso scarsamente produttivo in italiano.

Summa summarum, si può dire che la parola, malgrado le sue credenziali morfologiche alquanto tenui, non è certamente illegittima nella misura in cui essa si usa da alcuni decenni in ambiti specialistici, dove sembra ormai saldamente impiantata. Nel linguaggio comune, comunque, pare preferibile usare l’espressione tradizionale di età adulta, un sinonimo che copre per lo meno gran parte dei significati di adultità, se non tutti.


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