DOI 10.35948/2532-9006/2021.10596
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Una caratteristica ben nota della lingua italiana è il fatto che essa più di altre presenta, soprattutto nella coniugazione dei verbi, la possibilità di doppie forme con lo stesso significato: devo / debbo, perso / perduto (di cui abbiamo già trattato qui), diedi / detti e altre coppie di forme di passato remoto (di cui abbiamo già trattato qui e qui), e altre (si veda in proposito Thornton 2020). Tra le situazioni che danno luogo a una duplicità di forme, c’è il fatto che alcuni verbi in –ire possono essere coniugati sia con l’inserimento dell’elemento –isc– tra radice e desinenza, che senza: per esempio aborro / aborrisco (di questo caso si è trattato qui). I verbi in –ire presentano per la gran maggioranza l’elemento –isc–, e solo la coniugazione con –isc– è produttiva all’interno di questa classe di flessione (Dressler et al. 2003, p. 409): si coniugano con –isc– i germanismi antichi accolti in questa classe (guarire, guarnire, smarrire e altri) e i rari neologismi novecenteschi, soprattutto parasintetici, come innervosirsi, impuzzolentire, involgarire.
Un verbo in –ire, dunque, presenta normalmente l’elemento –isc– nelle forme di singolare e terza plurale di presente indicativo e congiuntivo e nell’imperativo singolare. Tuttavia si hanno anche verbi in –ire che non presentano questo elemento, anche se in quantità molto minore di quelli che lo presentano; tra i più comuni elenchiamo almeno aprire, coprire, divertire, dormire, fuggire, morire, offrire, partire, salire, seguire, sentire, servire, soffrire, udire, uscire, venire, vestire.
Da molti di questi verbi si hanno anche derivati prefissati: ad esempio, almeno formalmente appaiono come prefissati di venire i verbi avvenire, convenire, divenire, intervenire, provenire, rinvenire, sopravvenire, svenire. Questi verbi prefissati si coniugano come il verbo base: diciamo avviene, avvenga, conviene, convenga, ecc., come viene e venga (e non *avvenisce, *convenisce, ecc.).
Tuttavia la solidarietà tra un verbo base e i suoi prefissati o composti a volte si indebolisce: è ben noto per esempio che i prefissati e composti di fare alternano tra il seguire la coniugazione del verbo base e il seguire una coniugazione regolarizzata: da disfare, soddisfare abbiamo disfaccio e disfo, soddisfaccio e soddisfo, ecc. (ne abbiamo già trattato qui).
Anche sentire è la base di diversi verbi prefissati: tra i più comuni acconsentire, assentire, consentire, presentire, risentire e il nostro dissentire. Questi verbi per lo più seguono la coniugazione di sentire, e quindi non presentano l’elemento –isc–: si pensi alla formula “Chi tace acconsente” (non “acconsentisce”!). Tuttavia, alcune forme con –isc– sono attestate: ad esempio, presentisce e assentisce sono assai più frequenti di consentisce e acconsentisce.
In conclusione, l’esistenza della forma dissentisco, le perplessità che essa ha suscitato in molti lettori e lettrici, e la sensazione di accettabilità che invece suscita in altri, si spiegano come frutto della tensione tra le due opposte tendenze che abbiamo illustrato: da una parte, coniugare un verbo prefissato come la sua base − e dunque dire dissento, dissente, dissenta come diciamo sento, sente, senta; dall’altra, coniugare un verbo in –ire con l’elemento –isc–, presente nella maggior parte dei verbi di questa coniugazione − e dunque dire dissentisco, ecc. La scelta in favore della seconda opzione è probabilmente favorita dalla scarsa o nulla trasparenza semantica della relazione tra sentire ‘udire, percepire’ e dissentire ‘essere in disaccordo, essere di opinione diversa’. Tuttavia, nell’uso contemporaneo le forme di dissentire senza –isc– sono ancora senz’altro le più diffuse, e sono sostenute dal parallelismo non solo con la base sentire ma anche con la coniugazione di altri prefissati da questa base, e quindi almeno per ora sono più consigliabili.
Nota bibliografica: