Consulenze linguistiche

Contagiare e contagiabile*

  • Matilde Paoli
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2021.10591

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Copyright: © 2020 Accademia della Crusca


Quesito:

In questo periodo soprattutto, ma anche in tempi meno recenti, molti lettori si sono rivolti a noi per sciogliere dubbi sul verbo contagiare: i più domandano se contagiare possa avere come oggetto la malattia, il virus (“mi ha contagiato l’influenza”) o anche altro, nel caso di usi figurati (“la pioggia contagia tristezza”); una lettrice ci chiede se l’oggetto del contagio può essere introdotto dalla preposizione di (“contagiare di felicità”); infine un lettore domanda se l’italiano dispone dell’aggettivo contagiabile per ‘soggetto potenzialmente a rischio di contagio’.

Contagiare e contagiabile*

Il verbo contagiare, almeno fino alla seconda metà del secolo scorso, poteva considerarsi un termine “non popolare”, come scriveva Bruno Migliorini nell’edizione rinnovata del 1965 del Vocabolario della lingua italiana di Cappuccini e Migliorini, ed era molto meno diffuso, non solo di contagio e di contagioso, termini attestati già nell’italiano antico (cfr. TLIO s.vv.), ma anche di contagiato, usato anche in funzione di sostantivo.

La forma, usata soprattutto in ambito medico e attestata dalla lessicografia piuttosto tardi (nel 1941 nel Vocabolario della Reale Accademia d’Italia secondo DELI), a partire dagli ultimi anni del Novecento sembra, secondo le testimonianze offerte da Google libri e dagli archivi dei quotidiani, uscire progressivamente dall’ambito specialistico per essere sempre più spesso impiegata nel suo valore figurato di ‘contaminare’, specialmente in senso positivo, liberandosi, almeno in parte, del valore negativo che aveva all’inizio.

Ciò che si trasmette ai giorni nostri è spesso l’entusiasmo, ma anche la passione, l’amore o la felicità come scrive una lettrice; questa tendenza si riscontra nei racconti di vita, sulla stampa nazionale, nei blog delle società sportive, in particolare nei titoli:

Napoli: la passione contagia anche la Muraglia cinese! (napolitania.myblog.it, 25/1/2011)

Fiorentina, Barone: “Castrovilli e Chiesa sono stati contagiati dall’entusiasmo di Commisso” (tuttomercatoweb.com, 1/4/2020)

Naturalmente, in situazioni particolari, ancora oggi, ciò che contagia può essere qualcosa di negativo, come, ad esempio, la paura:

Terrorismo, la paura contagia il turismo. Boom di cancellazioni a Pasqua (huffingtonpost.it, 24/3/2016)

Sulla stampa chi subisce il contagio è molto spesso il mercato (o meglio i mercati e le borse) e in questo caso il valore può essere negativo come positivo.

L’EUFORIA DEL VOTO CONTAGIA I MERCATI (ilgiornaledellafinanza.it, 25/4/2017)

Il coronavirus contagia le borse (Italia Economia n. 5 del 29 gennaio 2020, adnkronos.com)

Attualmente i numeri dei termini appartenenti alla “famiglia” sono piuttosto elevati: da una ricerca su Google (pagine in italiano al 11/12/2020) per contagio risultano 37.100.000 occorrenze, a cui si aggiungono le 22.400.000 del plurale; in questi mesi la diffusione del sostantivo, tornato purtroppo al suo valore specialistico, è decisamente aumentata, tanto che i numeri riferiti al 2020 ammontano rispettivamente a 15.000.000 e 7.100.000. Per l’aggettivo contagioso, la somma delle occorrenze in tutte le forme flesse arriva a 2.846.000, delle quali 148.900 nel 2020. Contagiato ha 2.120.000 occorrenze totali al maschile singolare e 5.580.000 al plurale, di cui rispettivamente 1.690 e 178.000 nel 2020. Infine contagiare restituisce “solo” 601.000 risultati (48.000 nel 2020) per l’infinito e 484.000 (2020: 30.400) per la terza persona del presente.

Oggi quindi possiamo definire contagiare, se non proprio un termine “popolare”, almeno, usando le parole del GRADIT, “di alta disponibilità” ovvero uno di quei “circa 1900 vocaboli, di uso relativamente raro nel parlare o scrivere, ma tutti ben noti perché di grande rilevanza nella vita quotidiana”. E non si può certo negare la grande rilevanza che ciò che indica ha assunto oggi nella vita di tutti noi.

Nonostante questo, alcuni (o forse molti) di noi hanno, come i nostri lettori, dubbi su come “gestire” il verbo in rapporto agli altri elementi della frase.

Nella vita reale una malattia che si trasmette da individuo a individuo, cioè contagiosa, come il raffreddore, l’influenza e anche il morbillo (se non siamo stati vaccinati) si prende da qualcuno e spesso la si attacca a qualcun altro o, nel caso ci si esprima a livello più formale, la si contrae e la si trasmette. Qualunque delle due coppie di verbi si usi non cambia il “ruolo” della malattia che resta sempre l’oggetto, mentre l’individuo che prende o attacca, che contrae o trasmette resta il soggetto: la malattia è la cosa che passa, transita in un movimento da una persona all’altra.

Nel caso di contagiare (come anche di infettare) il rapporto è diverso: un individuo contagia un individuo (con o di una malattia, come vedremo meglio in seguito); anche una malattia (un virus, ma anche un vizio o un sentimento) contagia un individuo; ma non è possibile che un individuo contagi una malattia o altro. Soggetto dell’azione quindi possono essere sia l’individuo sia la malattia; ma soltanto l’individuo a cui viene trasmessa la malattia può rivestire il ruolo dell’oggetto e non la malattia stessa. Si crea quindi una sorta di asimmetria nelle relazioni.

Anche il ricorso al dizionario per avere un chiarimento rischia, in questo caso, di essere fuorviante: contagiare è definito “comunicare, diffondere una malattia per contagio” in GDLI e in modo quasi identico, “comunicare una malattia per contagio”, nel Vocabolario Treccani online, “trasmettere una malattia per contagio” in GRADIT e Devoto-Oli (che aggiungono infettare come equivalente), “trasmettere una malattia a un individuo sano” in Garzanti, “infettare per contagio” in Zingarelli 2020; solo in Sabatini-Coletti si distingue il caso in cui il soggetto è la malattia: “Detto di malattia, trasmettersi a qlcu.[...]; detto di persona, trasmettere una malattia a qlcu.”

Per lessicografi e linguisti la differenza tra le definizioni di contagiare, in cui “una malattia” si trova all’interno della definizione, e quella di trasmettere “diffondere, propagare per mezzo di contagio” (GRADIT), in cui invece “una malattia” non compare, è chiara, ma non si può essere certi, credo, che lo sia altrettanto per tutti i fruitori di dizionari. Peraltro, lo stesso verbo trasmettere è definito, ancora in GRADIT (cfr. accezione 3), “comunicare una notizia, un messaggio scritto od orale” con l’elemento che svolge il ruolo di oggetto (come da esempio riportato mi trasmise la notizia della sua partenza) inglobato all’interno della definizione esattamente come per contagiare.

Gli usi segnalati dai nostri lettori non solo ricostruiscono “il pezzo mancante” per tornare a una situazione simmetrica (se una malattia contagia un individuo anche un individuo contagia una malattia, nel senso che la trasmette), ma soprattutto riportano la malattia al ruolo di oggetto che le è proprio quando usiamo attaccare o trasmettere.

Dell’uso di contagiare con la cosa che si trasmette nel ruolo sintattico di oggetto (ruolo che riveste sul piano della realtà), in rete si trovano esempi sia nel valore figurato del verbo, sia in quello proprio, anche in testi accurati.

Da quella prima presentazione in radio, Joe Bonamassa è stato sempre presente nelle mie scalette e molti ascoltatori hanno cominciato a seguirlo nei concerti, tanto che oggi c’è una bella community italiana di suoi fans, con alcuni, come il mio amico Alfredo al quale dalla radio ho contagiato la passione e che se lo è visto già 5 volte in un paio d’anni. (Sergio Mancinelli, Una chitarra che lascia il segno, 27/7/2010, ilFattoquotidiano.it)

L’autrice ci risparmia la storia già vista e rivista dell’incontro con un giovane che ti risveglia alla vita, che ti contagia l’entusiasmo che con gli anni ti sei perso per strada, che cancella la stanchezza e le frustrazioni, e ti regala una seconda giovinezza (La vita com’è: quando sporcare i fogli vale la pena, Manuela Corigliano, “Grado Zero”, 26/10/2020)

È iniziata l’istruttoria nel processo contro l’uomo accusato di aver contagiato l’hiv a moltissime sue partners. (Il processo all’untore: inizia l’esame dei testi dell’accusa, StudioLegaleGalasso.it, 10/4/2017)

Indicativo ci pare (benché si contagia possa essere interpretato anche come “viene contagiato”) l’esito che si ottiene digitando “come si contagia” sul motore di ricerca di Google:


In alcuni dei casi reperibili in rete, come nell’esempio che segue, contagiare è passibile di una doppia interpretazione.

    è corretto spiegare ai nostri figli come si contagiano i pidocchi, questo li aiuta a scaricare emozionalmente il loro disagio (Pidocchi senza traumi, headcleaners.it)

      Si intende “come si trasmettono i pidocchi” oppure “come si contraggono i pidocchi”?

      Ci sono anche esempi, rari a dire il vero e, almeno così sembra, molto recenti, in cui contagiare è usato inequivocabilmente nel senso di ‘contrarre’.

      Conferma che i 6 posti restano a disposizione di chi ha contagiato il virus e necessita appunto del ricovero in rianimazione. ([s. f.] Positivi: i contagi sono sotto controllo, “La Nuova Periferia di Chivasso”, 23/9/2020, p. 13)

      A Canelli non ci sono più positivi al Covid-19. «Tutti guariti!» esordisce, non senza un moto di compiacimento, il sindaco Paolo Lanzavecchia nella sua comunicazione settimanale sull’andamento della pandemia. [«]Sono stati 34 i soggetti che, dal 13 marzo, hanno contagiato il virus. Di queste, ventotto sono guariti, tra chi ricoverato in ospedale e chi in isolamento casalingo. Sei i deceduti a causa del virus o con il virus» precisa il sindaco. (Giovanni Vassallo, Canelli sconfigge la pandemia: zero contagiati, “La Nuova Provincia”, 30/6/2020, p. 43)

      Se questo processo, per adesso riscontrabile solo a livello di tendenza, dovesse progredire contagiare diventerebbe il verbo più “economico” da usare tra quelli disponibili perché riuscirebbe ad assolvere le funzioni sia di prendere/contrarre sia di attaccare/trasmettere.

      In altri testi in cui l’oggetto del verbo, usato in senso figurato, è la cosa (per lo più positiva) che viene trasmessa e nei quali non è espresso il “destinatario” del contagio, si può anche intravedere un’evoluzione semantica per cui, dal valore di ‘trasmettere, comunicare’ contagiare sembra scivolare verso quello di ‘suscitare, destare, stimolare’.

      Un’edizione, quella alle porte, che ripercorre ed espande il coinvolgimento degli scorsi anni: due orchestre, diversi solisti, in tutto cento ragazzi, questi i numeri di un programma che promette di contagiare l’entusiasmo per la musica. (Al via a San Vito il «Kinder Leo Festival», protagonista la musica antica per ragazzi, 26/5/2017, Brindisireport.it)

      Non si avverte nell’aria alcun sussulto, alcun movimento, alcuna iniziativa controcorrente. Nessuno, nessun adulto che riesca più a contagiare l’entusiasmo, il coraggio, la passione. Nessun eroe appare all’orizzonte. (Educazione emotiva, Il fascino discreto della mediocrità, educazioneemotiva.it [sito gestito da psicoterapeuti])

      Nel passo riportato qui sotto, in cui ciò che non si esplicita è invece l’oggetto della trasmissione, è difficile dire quale sia il reale valore del verbo, ma è probabilmente vicino a ‘permeare di sé’, ‘pervadere’, o anche ‘influenzare positivamente’:

      Una vera e propria esplosione di colori nel centro di Milano, nella parte che storicamente è di competenza del popolino milanese. Come tutti i fenomeni di massa i graffiti hanno contagiato tutto. (Tommaso Valisi, Football Graffiti, 2017)

      Troviamo un caso analogo nell’esempio che segue, sempre privo della specificazione dell’oggetto trasmesso, di cui si sa solo che è fortemente positivo:

      Francesca Masi è una donna meravigliosa, l’ho conosciuta qualche giorno fa e mi ha contagiato. Di lei sapevo solo due cose: a) ha il cancro. b) si fa delle grandi risate. [...](Fanpage.it, 6/11/2018)

      Sembrerebbe quindi che contagiare, sull’onda dell’uso figurato molto frequente in cui l’oggetto che si trasmette è prevalentemente qualcosa di positivo (entusiasmo, passione, energia, felicità) abbia finito quasi per un processo di sintesi per assorbire in sé l’oggetto o quanto meno la sua carica positiva. Probabilmente questo processo verrà bloccato, o almeno frenato, dalla drammatica riproposizione attuale del significato proprio del verbo.


      Contagiare con
      o contagiare di?

      Se, almeno secondo la norma attuale, la malattia o altra cosa che viene trasmessa, non può essere l’oggetto diretto di contagiare, qual è la preposizione che la introduce? Si dice contagiare di felicità o con la felicità?

      Fra i dizionari sincronici consultati solo lo Zingarelli riporta un esempio con la preposizione di (un solo alunno ha contagiato di morbillo tutta la classe), mentre in quelli proposti dagli altri appare sempre con (il GRADIT: con il tuo raffreddore hai contagiato tutta la famiglia; Sabatini-Coletti: col suo cattivo esempio ha contagiato tutti; ecc.). Lo stesso GRADIT però definisce la voce appestare come “contagiare di peste o altra malattia infettiva” e il Vocabolario Treccani online definisce tubercoliżżare “contagiare di tubercolosi...”. Anche il dizionario storico GDLI, che non dà la reggenza nella trattazione di contagiare, s.v. sifilizzare, scrive “Anche, per estens.: contagiare di sifilide” [corsivi miei].

      Della costruzione con l’infinito seguito dalla preposizione di abbiamo trovato in Google libri 1.760 risultati per il XIX secolo; di questi il primo esempio appare in un testo del 1837:

      Sia pur di 15 giorni, di un mese o più la durata della proprietà che hanno le merci di contagiare di cholera, certo è però che questa malattia in paragone della peste e del vajuolo è assai meno attiva, e che il contagio colerico è diffusibilissimo. ([s.f.], Caratteri del contagio colerico, e sua differenza dagli altri contagi, “Giornale di scienze, letteratura ed arti per la Sicilia”, anno XV,Volumi 59-60, Palermo, Tipografia del Giornale letterario, 1837, pp. 104-111: 111)

      Precedentemente troviamo un’attestazione della forma passiva all’inizio del secolo:

      In effetti, quante volte accade che di due i quali hanno avuto commercio con una stessa donna, l’uno resti contagiato di sifilide nel momento che l’altro ne sorte illeso? (Continuazione della Memoria del Dott. Garone, sul mercurio solubile del Dott. Moscati, “Giornale enciclopedico di Napoli”, anno III, 1808, pp. 176-192:182).

      La costruzione è tuttora in uso, per quanto non frequentissima, sia in senso proprio, sia in senso figurato:

      Roberto Cauda: “Ci si può contagiare due volte di Covid, ma non vuol dire riammalarsi”, [intervista all’infettivologo R. Cauda a cura di Federica Mancinelli], huffingtonpost.it 26/8/2020)

      Ora, nell’arco di vent’anni, il berlusconismo ha contagiato di sé l’intero spettro politico. (Rino Genovese, Da dove l’impasse politica italiana?, “Il Ponte”, 4/6/2017)

      Il Papa si sofferma sul significato della Pentecoste, un evento col quale, osserva, “Dio ha contagiato di vita il mondo” (Papa Francesco: “Prendiamoci cura di chi non ha nessuno o è solo”, Sudlibertà.com, 31/5/2020)

      A parte il caso in cui, come nell’esempio sopra, la cosa che si trasmette sia espressa da pronome, la preposizione di potrebbe essere sostituita da con + articolo: “ci si può contagiare due volte con il / la Covid”, “Dio ha contagiato con la vita il mondo” sono pienamente accettabili. Diverso sarebbe il caso delle costruzioni in cui di sostituisse il con che compare nelle frasi riportate dai dizionari citate sopra: “del tuo raffreddore hai contagiato tutta la famiglia” o “del suo cattivo esempio ha contagiato tutti” risultano proposizioni quantomeno insolite. Probabilmente ciò è dovuto all’uso preponderante della preposizione con per indicare il mezzo, lo strumento mediante il quale si ottiene un effetto, in questo caso il contagio.

      Sebbene entrambe le soluzioni siano possibili, quindi, sarà opportuno scegliere con se l’elemento che provoca il contagio precede il verbo, mentre le due opzioni risultano equivalenti se lo segue.


      Contagiabile

      Veniamo all’ultima domanda a proposito della possibilità di usare contagiabile: l’aggettivo, ricavato dal verbo (anche se non è impossibile ipotizzare una derivazione da contagio) attraverso il suffisso -(a)bile, non ci risulta attestato dalla lessicografia contemporanea, se non in Neologismi Treccani 2018 che dà anno di prima attestazione il 1979 (“l’Unità”, 16/2/1979, Fatti del Mondo), ma è ben presente nella documentazione offerta dalla rete. Del resto, come scrive Davide Ricca, “È indubbio che -bile rappresenti il processo più produttivo nell’ambito della formazione di aggettivi deverbali e uno tra i più produttivi in generale della morfologia derivazionale italiana. [...] ma naturalmente nel caso di processi così produttivi molte neoformazioni pienamente accettabili e naturali per i parlanti sfuggono alla registrazione lessicografica (cfr. Davide Ricca, Aggettivi deverbali, in Grossmann-Rainer 2004, pp. 419-444: 422).

      Per quanto riguarda il significato, negli usi rilevati in rete l’aggettivo, coerentemente col verbo, appare riferibile sia a chi/cosa viene contagiato (a volte il sangue, più spesso la persona), sia a ciò che si contagia (la malattia, il morbo ecc.); può valere cioè sia ‘che può contrarre l’infezione ecc., che può essere infettato’, sia ‘che può essere trasmesso, che può infettare’, anche se la prima opzione risulta assai più frequente. Anche in Neologismi Treccani 2018 il valore di contagiabile è "Chi o che può essere contagiato; anche in senso figurato” e nell’attestazione del 2009 riportata (“La Stampa”, 6/2/2009, Prima pagina) si parla di “virus contagiabile”.

      In Google libri le prime, rarissime attestazioni (si è cercato anche il plurale) risalgono alla prima metà del XIX secolo e sempre all’Ottocento risalgono i primi esempi del sostantivo contagiabilità. Riportiamo quella che appare come la prima in assoluto, in cui il valore dell’aggettivo, che ricorre due volte, è sempre ‘che può essere trasmesso, che può infettare’ riferito all’agente patogeno:

      [...] espose la nostra bella Palermo, [...] tra per la morte di altri non pochi, e tra perché quel numero limitissimo [sic] che cercavan eroicamente di far fronte all’infrenabile torrente della pestilenza, stando già per cedere sotto il peso della incredibile fatica e delle contagiabili emanazioni, la espose dico a perire senza la speranza di godere la consolazione di un individuo qualunque che il semplice titolo di medico avesse avuto. (Metodo di curare il colera-asiatico senza il soccorso del medico del dottor Cricchio, Palermo, tip. Virzi, 1837, p. 6)

      Il principio contagiabile intanto immesso nella economia dell’uomo non sempre sviluppa istantaneamente l’azione sua, ma per lo più ammette un periodo d’incubazione. (Ivi, p. 11)

      Nella stessa opera si trova anche il sostantivo contagiabilità:

      Ad onta di quanto possano asserire taluni dotti medici-politici di oltremare contro la contagiabilità del colera, io però sono di ferma opinione questa nuova forma di pestilenza essere contagiosissima. (Ivi, p. 11)

      Nel secolo successivo e anche in quello attuale nello stesso corpus l’aggettivo non risulta molto frequente (le occorrenze sono di poco sopra 100 per il singolare e anche per il plurale) e ancor meno ne registra il sostantivo, che, in questo secolo, appare solo due volte, entrambe in senso figurato:

      La contagiabilità dei giovani al fanatismo, basata soprattutto sul bisogno elementare della prima individuazione della propria identità, è (...) in linea generale (...) alta e intensa. (Annalisa Pinter, Immigrati: comunicazione ed educazione, Pisa, ETS, 2003)

      […] il demone – questa forma pura, disincarnata, assolutamente anonima di soggettività – esiste nello stato di pura trasmissibilità, di contagiabilità virtuale pressoché infinita e universale. (Fabián Ludueña Romandini, L’ascensione di Atlante: Glosse su Aby Warburg, Milano-Udine, Mimesis, 2018)

      Anche la rete non offre numeri altissimi: la somma delle occorrenze in italiano (dicembre 2020) dell’aggettivo al singolare e al plurale è di poco inferiore a 6.200, mentre il sostantivo ne ha soltanto 122. Nonostante la non rilevante frequenza del loro uso, sono comunque voci ben formate e coerenti con la morfologia della nostra lingua.


      *Per approfondire la storia del gruppo di parole legate a contagio è possibile leggere il testo della stessa autrice pubblicato nella sezione “L’articolo”.

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