DOI 10.35948/2532-9006/2024.32243
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Alcuni nostri lettori ci chiedono un parere sui termini che indicano l’azione del formulare un modello scientifico: quale tra le due forme è da preferire, modellare o modellizzare?
Il ricorso ai modelli è diffuso in molti ambiti della ricerca scientifica: in fisica, medicina, ingegneria, informatica, scienze naturali, scienze sociali, filosofia – per fare degli esempi – i modelli costituiscono normali prassi conoscitive. Data la varietà degli impieghi, intendiamo qui modello nel senso più generale possibile, come rappresentazione matematica, fisica o linguistica che si offre della struttura di un fenomeno complesso al fine di comprenderlo, descriverlo e prevederne meglio gli effetti. Tale rappresentazione, spesso astratta, si ottiene usando ‘enti di natura diversa ma con proprietà affini ai fenomeni stessi’ (GRADIT 2000) e ha tendenzialmente carattere ipotetico ed euristico. Un esempio noto, tratto dalla fisica, illustra il concetto che qui ci interessa: un insieme di palle da biliardo in movimento casuale può fungere da modello del comportamento di un gas. In questo caso si ipotizza che una costruzione fisica tridimensionale (l’insieme delle palle) abbia la capacità di descrivere alcune delle caratteristiche strutturali del dominio modellato (l’insieme delle particelle del gas), e che ne agevoli così la comprensione e lo studio all’interno della teoria dinamica dei gas.
Sebbene l’applicazione dei modelli sia confinata quasi esclusivamente nell’ambito della ricerca scientifica, molti vocabolari generici registrano, sotto la voce modello, anche l’accezione specialistica che abbiamo introdotto, in certi casi anche all’interno di espressioni cristallizzate (modello teorico, modello analogico, modello intuitivo, ecc.) delle quali forniscono il significato tecnico. La stessa sorte non è toccata ai termini che indicano l’atto del formulare un modello scientifico, che sono registrati con minor frequenza. Parliamo dei termini, e non di un termine solo, perché in italiano questa attività è verbalizzata da una coppia di derivati (parzialmente) sinonimici: modellizzare e modellare, alternativamente usati nella letteratura specialistica.
Modellare, nel parlare quotidiano non specialistico, nomina già diverse attività: i significati che i dizionari normalmente gli attribuiscono sono 1) ‘lavorare una sostanza plasmabile’, come in “modellare la cera”; 2) ‘sagomare secondo un modello, elaborare ispirandosi a un modello’, per esempio in “modellare il proprio stile su quello del Manzoni”; 3) ‘mettere in risalto le forme del corpo’: si dice di un vestito, per esempio, che “modella il corpo”. Tuttavia, come testimonia chi ci scrive, modellare ha acquisito, in relazione al crescente interesse specialistico della prassi che qui ci interessa, anche il significato tecnico del ‘formulare un modello scientifico’. Modellizzare invece è un verbo di formazione recente, che sembra rispondere all’esigenza di differenziare il modellare specialistico da quello quotidiano.
Come testimonia la scheda di Riccardo Cimaglia pubblicata sul nostro sito, il suffisso -izzare è responsabile, in italiano, della formazione di molti nuovi derivati in registri sia informali che formali, e dunque anche tecnico-specialistici: dagli anni Cinquanta del Novecento oltre il 70% dei nuovi verbi denominali è suffissato da -izzare (M. Grossmann, F. Rainer, La formazione delle parole in italiano, Max Niemeyer Verlag, Tübingen 2004, p. 451). Sebbene, dunque, da un punto di vista morfologico-derivativo non presentino anomalie, modellizzare e il corrispondente sostantivo modellizzazione non sembrano essersi perfettamente acclimatati in italiano: datati intorno agli anni Settanta, compaiono nei lessici con scarsa frequenza. Lo ZINGARELLI 2016 segnala modellizzare (1978) e modellizzazione (1968), il GRADIT Supplemento 2003 (“Nuove parole italiane dell’uso”) mette a lemma soltanto modellizzazione (1997), così come fa il Vocabolario Treccani online, nel quale tuttavia ricorre anche il verbo modellizzare, all’interno della voce dedicata al sostantivo. Nessuno dei due termini invece compare in Sabatini-Coletti 2008, GARZANTI 2007, Devoto-Oli 2014, Hoepli 2011. In queste rare apparizioni, il significato che i lessici attribuiscono a modellizzare è quello specialistico che stiamo analizzando: ‘trarre da una realtà fisica o concettuale complessa un modello che la rappresenti descrivendone gli aspetti sostanziali e le relazioni funzionali’ (ZINGARELLI 2016).
La ragione della sporadicità della presenza di modellizzare nei dizionari è da ricercare, prima di tutto, nel carattere specialistico del suo significato. In generale, non è sorprendente non trovare nei vocabolari di uso corrente molti dei termini tecnici dei linguaggi scientifici. È ragionevole ipotizzare che sia in parte per la stessa ragione che anche modellare, che è normalmente registrato nei significati più ordinari sopra menzionati, compare raramente nei dizionari anche nel senso di ‘rappresentare una macchina, un sistema, un fenomeno e sim. servendosi di un modello’ (GRADIT). Peraltro, a differenza di quanto abbiamo visto per modellizzare, queste rare definizioni non inquadrano con precisione l’attività specifica di cui qui si parla, sebbene in qualche modo, certamente molto generico, si avvicinino a caratterizzarla. Intesa così, quella del modellare appare principalmente come un’attività di rappresentazione e riproduzione, e si avvicina semmai all’idea del rifare a partire da uno schema o da un modello (tipica piuttosto degli ambiti artistico-architettonici), difettando invece del carattere specificamente ipotetico e euristico del modellare delle scienze.
Eppure modellare, che a differenza di modellizzare è acclimatato in italiano dalla fine del XVI secolo (nel 1598 è messo a lemma nel lessico bilingue italiano-inglese di John Florio come corrispondente dell’inglese to modell, J. Florio, A Worlde of Wordes, London 1598), già dal XVIII aveva acquistato, accanto a quelli più immediati di ‘lavorare un materiale molle’ e di ‘eseguire con materiale plastico il modello pieno di una statua da gettare in metallo o da ricavare in marmo’, significati estesi come quello di ‘delineare, tratteggiare, ideare, immaginare’. Non è da poco tempo, dunque, che il termine è usato per indicare operazioni di astrazione: l’accademico della Crusca Anton Maria Salvini poteva già parlare di Platone come di colui che aveva modellato un’idea di Repubblica (“Platone dalla Repubblica, ch’egli modellò, cacciò via i poeti, stimati da lui a quella pregiudiciali’, Anton Maria Salvini [1653-1729], Discorsi accademici, III, Napoli 1786).
Uno sguardo alla storia dei corrispondenti stranieri di modellare fornisce parallelismi interessanti. Modellare, probabilmente emerso in relazione al fiorire della riflessione sui saperi artistici e scientifici (specialmente relativi alla scultura e all’architettura), sembra lessicalizzarsi negli stessi anni in tutta Europa: il Trésor de la Langue Française, per esempio, attesta modèler dal 1585 nel significato di ‘rendere somigliante a qualcuno (o a qualche cosa)’ e dal 1600 in quello di ‘plasmare un oggetto a partire da una sostanza molle’; l’Oxford English Dictionary registra to modelize ‘costruire accordando a un modello’ dal 1600 e to model (nella forma arcaica to modell) ‘formare qualcosa a partire da un modello particolare’ a partire dal 1613.
Quest’ultimo caso ci interessa particolarmente. Anche l’inglese infatti sembra disporre, sin dai primi anni di “vita” di questi termini e ben prima dell’italiano, di accezioni estese e da lontano somiglianti a quelle contemporanee che qui trattiamo: to modell è usato nel senso di ‘disegnare, fare piani’ dal 1581, di ‘descrivere nel dettaglio’ dal 1604; di ‘costruire un modello o una teoria della struttura di qualcosa’ dal 1667; l’antico to modelize, oggi desueto, in quello di ‘analizzare o descrivere nei termini di un modello’ dal 1600, di ‘simbolizzare, esemplificare’ dal 1628 (cfr. Oxford English Dictionary).
Torniamo a considerare più da vicino il dubbio dei nostri utenti. L’esistenza di una coppia di derivati a partire da una stessa base è un fenomeno frequente in italiano (pensiamo a temporeggiare/temporizzare, simboleggiare/simbolizzare, filosofare/filosofeggiare, ecc.), che spesso viene gestito dai parlanti con minor incertezza perché le due forme veicolano significati differenti, anche solo per qualche sfumatura. Nel nostro caso, invece, i due derivati sono perfettamente sinonimici per quanto riguarda l’accezione interessata. Non ci sono, da un punto di vista semantico, ragioni il cui peso determini in modo definitivo la scelta dell’una o dell’altra forma: ciò è evidente nella varietà degli impieghi specialistici, che, com’è naturale nel caso di termini che lessicalizzano realtà (in questo caso attività) “nuove”, o che perlomeno hanno stimolato una riflessione solo in tempi relativamente recenti, proliferano senza aver subito una sistematizzazione programmatica.
Nella decisione dei parlanti intervengono quindi considerazioni di altro genere. Si nota, per esempio, che l’uso del verbo modellare rischia di non preservare la trasparenza e l’univocità rigorosa di cui un termine scientifico sembra necessitare. La scelta di modellizzare, in questo caso, risponde a un’esigenza di disambiguazione che si è fatta sentire anche in altre lingue romanze e ha prodotto per lo spagnolo modelizar e modelización (cfr. Diccionario de la lengua española), per il portoghese modelizar e modelização, per il francese modéliser e modélisation), per l’inglese to modelize e modelization (risemantizzazioni, queste, della forma seicentesca cui abbiamo sopra accennato, ormai desueta nel suo senso originario). È doveroso notare, tuttavia, che queste ultime varianti risultano molto rare nell’inglese scientifico, in cui invece le forme più attestate sono to model / modelling – modeling nell’inglese statunitense.
La stessa perplessità riguardante l’ambiguità di modellare, tuttavia, può essere sollevata anche per modellizzare: entrambi i verbi, così come i corrispondenti sostantivi modellazione e modellizzazione, si usano anche in un differente senso tecnico-specialistico, per cui indicano l’attività di creazione di un oggetto tridimensionale con specifici programmi di progettazione informatica. Sebbene la superiorità delle occorrenze della coppia modellare/modellazione in questo senso sia incontrastata, è doveroso notare come l’ambiguità si mantenga, in piccolo, anche per modellizzare/modellizzazione: Google restituisce circa 460.000 risultati per la ricerca di pagine che contengano i termini modellazione e 3D, 236.000 per modellare e 3D; per le parole chiave modellizzazione e 3D i risultati sono 28.200, 21.200 per modellizzare e 3D. Google Scholar, il motore di ricerca che permette di restringere l’osservazione alla sola letteratura accademica, mostra 6.010 risultati contenenti la chiave 3D in coppia con modellazione, 7.030 con modellare; 1.390 con modellizzazione, 4.150 con modellizzare.
In generale, l’alternanza delle due coppie di forme non si distribuisce in modo equilibrato. Da un punto di vista puramente statistico, modellare e modellazione sembrano preferiti dai parlanti rispetto a modellizzare e modellizzazione. Attualmente la ricerca su Google Scholar restituisce 2.790 risultati per modellizzare e 18.300 per modellare. Parallelamente, le occorrenze di modellizzazione (8.150) appaiono contenute rispetto a quelle di modellazione (19.300). È possibile ridurre il “rumore” compreso nei risultati escludendo dalla ricerca quelli che includono anche i termini 3D, cera, argilla e simili. Tuttavia la risposta all’interrogazione, pur variando in modo considerevole, non smentisce la prima impressione: i risultati delle forme della seconda coppia scendono di poco (modellare raggiunge i 15.200, modellazione i 13.700, contro i 2.350 di modellizzare e gli 8.070 di modellizzazione).
Neppure questi risultati “ristretti”, tuttavia, possono essere considerati qualcosa di più che la spia di una tendenza generica, in fondo poco informativa. È facile ridimensionare l’ampiezza della forbice, per esempio considerando come la coppia modellare / modellazione mantenga ancora, malgrado le restrizioni operate nella ricerca, una polisemia “endemica”, legata al suo appartenere, in determinate accezioni, anche a un registro non specialistico. Inoltre è necessario tenere presente che i risultati delle ricerche svolte si riferiscono a un campo eccezionalmente variegato, quello della ricerca scientifica, che, data l’eterogeneità dei suoi oggetti e dei suoi metodi, sarebbe improprio trattare come oggetto di studio unitario, adottando un punto di vista generico. Il dibattito interno a ogni disciplina ha un proprio linguaggio e si accorda su determinate scelte lessicali. All’interno delle stesse discipline, addirittura, possono coesistere strategie linguistiche divergenti: l’esigenza di adottare terminologie univoche e trasparenti, per esempio, non esclude il ricorso alla risemantizzazione (basti pensare alla lingua della fisica e alla sua storia, segnata dal ricorso massiccio alla ridefinizione in senso specialistico di termini già esistenti e di uso quotidiano, come massa, forza, fuoco, gravità, ecc.).
Quello che risulta importante, ai fini della comunicazione scientifica, è il mantenimento dell’univocità espressiva. Notiamo soltanto che tale risultato non si ottiene esclusivamente attraverso scelte lessicali. L’esigenza di marcare la differenza tra le varie attività significate da modellare e quella specifica a cui ci riferiamo, per esempio, si stempera, pragmaticamente, nei fatti: i contesti in cui i termini che consideriamo ricorrono, caratterizzati da alto specialismo, sono di per sé disambiguanti.