DOI 10.35948/2532-9006/2021.8553
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Alcuni lettori ci sottopongono i termini scanno, scranno e scranna: ci sono differenze di significato? Hanno origine comune? Quale delle tre forme è più opportuno usare?
Le domande dei lettori che chiedono chiarimenti sulla terna di parole scanno/scranno/scranna, sui loro rapporti semantici e sul loro uso, sono quanto mai giustificate, andando a battere l’accento su quello che, analizzato nel dettaglio, si rivela un vero e proprio “caso lessicale”. Fra le tre voci, infatti, si è creata una, pur parziale, sovrapposizione di significato che provoca incertezza nell’uso: uso che, come vedremo, si modifica e si dispiega nel tempo secondo linee abbastanza chiare.
L’incertezza si trova peraltro esplicitata in una delle molte occorrenze che delle tre parole ci restituisce la consultazione degli archivi dei quotidiani, su cui torneremo tra poco. Il 25 febbraio 2010 “la Repubblica” riporta questo intervento della scrittrice Donatella Paradisi, con il titolo La lingua stramazzata anche dagli alti scranni, che si riallaccia a una lettera di forte protesta sulle improprietà e sugli errori linguistici di molti giornalisti radio-televisivi inviata da un lettore a Corrado Augias (24-2-2020):
Riallacciandomi alla lettera “la nostra lingua corrotta e stramazzata” vorrei segnalare una parola italiana che non ho mai sentito usare in modo corretto. Si tratta di “scranno”, termine che non esiste su nessun vocabolario (Devoto Oli, Zingarelli, De Felice). In compenso esistono scranna e scanno, che hanno entrambi più o meno lo stesso significato. Lo so che si tratta di cercare il pelo nell’uovo, ma temo che a forza di non far caso ai peli la nostra lingua si ritroverà ben presto desolatamente nuda.
A parte l’inesattezza del riferimento ai vocabolari, e il pessimismo esagerato sul futuro della nostra lingua, questo intervento tocca la problematicità di quello che abbiamo definito “caso lessicale”. Esaminiamo dunque le tre voci, partendo da quello che ci dicono i dizionari sul loro significato.
Il lemma scanno, dal latino scamnum, gode di una trattazione ampia sui principali dizionari, a cominciare dal Grande dizionario della lingua italiana Utet (GDLI, il cosiddetto “Battaglia”, dall’autore, Salvatore Battaglia, che lo ha iniziato negli anni Sessanta del Novecento), che, dedicandogli ben quattro colonne e mezza, ne elenca e documenta nel tempo i diversi significati, il primo dei quali è “Sedile, seggio, con riferimento a quello fornito di schienale e di braccioli, per lo più imponente, riccamente ornato, isolato o accostato in serie, che è segno di onore e distinzione e simbolo della dignità o del grado di chi lo occupa (e, in particolare, indica il trono di un sovrano, il seggio di tribunale, quello del signore alla mensa o lo stallo di un coro)”, e il terzo “Posto di potere, di comando, di onore; grado elevato nella gerarchia sociale o in quella statale; carica, ufficio; signoria; dignità regale o imperiale”; tra le altre accezioni, è opportuno rilevare anche, ai fini del nostro discorso, quella di ‘sgabello, seggiolino, panca’. Analoghe le definizioni offerte dai dizionari dell’uso, come il Grande dizionario italiano dell’uso (GRADIT) di Tullio De Mauro (“Sedile fornito di schienale e braccioli, per lo più di aspetto imponente, riccamente decorato, riservato a persone autorevoli investite di speciali funzioni. Fig., condizione, grado elevato nella gerarchia sociale; posto di potere o di onore”; “estens. Panca, sgabello”), e il Vocabolario Treccani online (“Sedile di forma varia, isolato o facente parte di una serie, generalmente dotato di particolari caratteri di severità, solennità e imponenza di forme, destinato a persone investite di speciali funzioni”; “ant. o region. Sedia, poltrona, con sign. generico”).
Passando a scranna, troviamo sul GDLI: “Sedia di foggia pregevole e per lo più con i braccioli e con lo schienale alquanto alto, spesso attribuita, in quanto tale, a personalità prestigiose in determinate attività…; In senso generico: ‘sedia’, panca’ (e per lo più di uso regionale)”; poi, al n. 2 “figur. Posizione di prestigio, di potere”. Ben rilevata la locuzione sedere a scranna “giudicare o esprimersi in modo cattedratico e, talvolta, saccente, sussiegoso, per lo più non avendo le capacità, il prestigio e l’autorevolezza per farlo”. Sul GRADIT: “Sedia, spec. con braccioli e schienale alto, riservato [sic] in passato a personalità importanti, e perciò simbolo di eminenza o del luogo in cui è posta o della funzione che vi si esercita. 2. centrosett. Sedia, panca.”; sul Vocabolario Treccani: “In origine, sedia dottorale, o seggio del giudice, di legno, con braccioli [...] Con sign. più modesto, di panca oppure di sedia, è invece voce viva in alcuni usi region. (rara la forma masch. scranno)”.
Come si vede, le due voci scanno e scranna appaiono del tutto sovrapponibili dal punto di vista semantico.
Decisamente meno presente sui dizionari è scranno, che solo da alcuni è registrato a lemma, con i medesimi significati di scranna ‘sedile di foggia pregevole’, ‘posizione di prestigio’, ‘sedia, panca’, mentre in altri è indicato sotto il lemma scranna, come sua variante o derivato.
Mette conto poi rilevare che nei Sinonimi e contrari del Vocabolario Treccani le voci scanno, scranna, scranno, sono indicate in rapporto di sinonimia tra loro, e anche con seggio e stallo: anche il GRADIT dà scranna e seggio come sinonimi di scanno.
Può essere utile, forse, un accenno all’etimologia: scanno, voce dotta del XIV secolo, proviene dal latino scamnum ‘sedile, banco’, dalla radice indoeuropea *skabh-, mentre alla base di scranna, anch’essa documentata nella nostra lingua dal XIV secolo, c’è una parola longobarda, *skranna (l’asterisco indica che non è documentata, ma è stata ricostruita a posteriori) ‘seggio, sedile’. Colpisce la vicinanza formale delle due parole, così avvicinate nel lemma scranna nel Dizionario ottocentesco di Nicolò Tommaseo e Bernardo Bellini (talvolta un po’ fantasioso): “T. Aureo Scamnum, giunta la R come in Frombola e Tromba, da Tuba e Funda. Ted. Schranne”. Forse, pur non essendovi documentazione di un loro apparentamento, la comune origine indoeuropea e la vicinanza dei significati non saranno casuali.
Non complica, per fortuna, le cose l’esistenza di un quarto lemma della serie, da citare solo a margine, anche per la sua estrema rarità nell’italiano moderno: scanna, registrato da pochissimi dizionari: derivato da scanno, e avente anch’esso il significato di ‘sedia e posto di prestigio’, o di ‘sgabello’.
Ma passiamo ora a documentare l’uso delle tre voci scanno, scranna, scranno attraverso strumenti diversi: molto utile, in questo caso, è stata la Stazione lessicografica dell’Accademia della Crusca, che alla voce autorevole dei dizionari associa banche dati diverse, facenti capo principalmente al VODIM, Vocabolario dinamico dell’italiano moderno, recente strumento lessicografico messo a disposizione degli studiosi e dei frequentatori del sito dell’Accademia. Preziose anche due banche dati relative all’italiano recente, Coliweb, corpus dell’italiano in rete dal 2000 al 2014 e Parola di leader Discorsi parlamentari dal 1948 al 2011. E fondamentale, come sempre, è stato l’aiuto offerto dagli archivi dei quotidiani, in particolare il “Corriere della Sera”, che attraversa centocinquant’anni di storia anche linguistica del nostro paese.
Sintetizzando molto i dati raccolti, relativi al periodo dall’Unità d’Italia a oggi (1860-2020), possiamo rilevare alcuni elementi più evidenti.
La voce scanno appare discretamente usata nel corso del periodo in vari generi di testi (prosa letteraria, paraletteratura, saggistica, discorsi parlamentari, giornali), con una frequenza maggiore negli ultimi decenni dell’Ottocento e con un significativo declino nei decenni più recenti. Il significato è, a seconda del genere di testo in cui la voce compare, quello di 1. ‘sedia di prestigio’ o, in senso esteso 2. ‘posto di potere, di comando’ oppure semplicemente 3. ‘sedile, sedia’. La documentazione offerta dai giornali (in modo specifico il “Corriere della sera”), confermando la diminuzione della frequenza nei decenni più vicini a noi (come vedremo tra poco, a favore di scranno, che invece prende piede), ci mostra la voce ben attestata dagli ultimi decenni dell’Ottocento e nel corso del Novecento, con una maggiore presenza del primo e del secondo significato, a cui si aggiunge il frequente riferimento ai sedili nei teatri per il pubblico e per i musicisti (anche scanno dell’organo); molto raro invece il significato n. 3.
Scranna ha una minore vitalità di scanno tra secondo Ottocento e primo Novecento come ‘sedia di prestigio’ (in particolare, rara per il Parlamento), più invece come ‘sedia comune’ (anche povera, p. es. “una scranna sudicia e zoppa”), diminuendo sensibilmente la sua presenza nella seconda parte del Novecento e nei decenni vicini a noi.
Ma delle tre parole, quella che offre una documentazione evolutiva senz’altro più interessante è scranno, che mostra una presenza crescente a partire dalla metà del Novecento, in netto aumento soprattutto negli anni Duemila, nei significati di ‘sedile di prestigio’ e ‘posizione di prestigio’ in ambito politico e giudiziario. Ricorre per la vita parlamentare, come sinonimo di ‘seggio’, anche con una progressiva valenza negativa (qualche esempio: «Tra la Democrazia cristiana e la Lega Nord di Umberto Bossi potrebbe scoppiare da un momento all’altro la “guerra degli scranni”», “Corriere della Sera”, 18/4/1992; [qui nel titolo] Scambio di scranni. Il maldipancia cova (sottotraccia) anche nel Pd, “Corriere della Sera”, 14/11/2014). Davvero vistosa è la sua aumentata frequenza soprattutto in ambito politico, e non crediamo di sbagliare pensando che sia da ricondurre allo sviluppo dell’antipolitica e dell’atteggiamento sempre più critico dell’opinione pubblica nei confronti dei politici di professione, a cui possiamo ricondurre anche la notevole crescita nei giornali dal 1960 a oggi della parola poltrona.