DOI 10.35948/2532-9006/2021.6513
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Ci sono arrivate due domande che esprimono dubbi sulla correttezza dell’uso di qualcosa d’altro rispetto a qualcos’altro.
Varrà la pena di segnalare, anzitutto, che qualcosa non è formato da qual(e) e cosa – sequenza che anticamente poteva anche essere univerbata, ma con altro valore (si trova per lo più dopo per la nel senso di ‘e per questo’, ‘e per tanto’: “per la qualcosa e’ sarebbono di leggiero tiranni” (Egidio Romano volgarizzato, 1288, dal corpus OVI) – bensì da qual(che) cosa, con aplologia (cioè sincope di una sillaba foneticamente molto simile a quella successiva).
La principale differenza tra qualche cosa e qualcosa sta nel fatto che qualche cosa richiede l’accordo al femminile (qualche cosa era buona), mentre qualcosa si è grammaticalizzato come maschile (qualcosa era buono). Gli esempi di accordo al femminile sono però tutt’altro che rari.
Sulla “data di nascita” di qualcosa i dizionari divergono: il DELI indica av. 1400, il Sabatini-Coletti sec. XVI, il GRADIT av. 1535, lo Zingarelli 2020 av. 1348. In effetti il corpus OVI offre vari esempi trecenteschi, il più antico dei quali sembra risalire ancora indietro, al 1310-1330 (“forse che volea qualcosa da llui e non gliel’ha voluto dare”; Paulino Pieri, La storia di Merlino).
Ma veniamo ai dubbi dei nostri lettori circa la correttezza di qualcosa d’altro. Poiché non mi risultano censure del costrutto da parte della tradizione puristica e prescrittiva, probabilmente l’incertezza è dovuta al fatto che l’espressione qualcosa d’altro non si trova registrata nei dizionari, diversamente da qualcos’altro, che è percepito anche (e giustamente, come vedremo), come più comune. Se infatti prendiamo, per es., la voce qualcosa del Sabatini-Coletti, leggiamo:
qualcosa [...] pron. indef. m. (solo sing.)
1 [...]
2 Può essere maggiormente determinato se accompagnato da altro o da un compl. partitivo; è spesso usato in espressioni di grado superl.: volete vedere qualcos’altro?; ho qualcos’altro da fare adesso; ha telefonato un certo Franchi o qlco. del genere; devi mangiare qlco. di più sostanzioso; vorrei bere qlco. di fresco; non hai qlco. di più allegro da raccontare?
Dunque, nel Sabatini-Coletti, come pure in altri dizionari sincronici che ho consultato (GRADIT, Zingarelli 2020), l’accompagnamento di qualcosa con altro viene “scorporato” dall’aggiunta di un compl. partitivo introdotto da di. Ma su questa base non si può certo affermare che qualcosa d’altro sia un errore; anzi, l’indicazione lessicografica si potrebbe considerare una prova e silentio della sua correttezza, visto che legittima il costrutto partitivo cui anche qualcosa d’altro può essere equiparato.
Il GDLI, se ho visto bene, s.v. qualcosa non cita né qualcos’altro né qualcosa d’altro, mentre lemmatizza il pron. indef. qualcosaltro univerbato (con esempi novecenteschi di Calvino e di Pasolini), glossandolo con “qualcosa d’altro, di diverso” e precisando in etimologia che è “comp[osto] da qualcosa e altro”. La ricerca sotto altre voci, possibile grazie all’inserimento dell’opera negli scaffali digitali della Crusca, consente di reperire 46 occorrenze (tutte otto-novecentesche) di qualcos’altro (c’è anche un esempio di qualcosa altro, senza elisione, s.v. sportista) e sporadici esempi (coevi) di qualcosa d’altro. Entrambe le locuzioni, inoltre (ma più spesso la prima), figurano nella metalingua del dizionario, da cui vengono, per così dire, “legittimate”.
Nella BIZ si hanno 18 esempi di qualcos’altro, in scrittori come Tommaseo, Verga, De Sanctis, Imbriani, Capuana, Pirandello, e un solo esempio di qualcosa d’altro in Giuseppe Cesare Abba.
Ma le due espressioni erano entrambe in uso ben prima del pieno Ottocento. Gli esempi più antichi di qualcos’altro che ho trovato in Google libri risalgono al Settecento, in autori toscani o settentrionali (Fagiuoli, Goldoni veneziano). Il primo è il seguente:
EU. Siamo imbroljati con l’io, parliamo di qualcos’altro. (Eufrasio. Dialogo in cui si discorre di alcuni difetti scoperti ne l’Opere di due Poeti Vicentini, Mantova, Fabris, 1708, p. 47)
Anteriore di quasi un secolo è il primo esempio di qualcosa d’altro, in una traduzione dallo spagnolo:
Io allhora gli dissi: fa dunque e quello, che ti dirò: pigliala, e va a casa di un orefice, et eleggi nella sua bottega quello, che meglio ti parerà; e lasciagli la catena, o anco qualcosa d’altro, accioché egli habbia pegno, che più vaglia di quello hai bisogno, e pagagli un tanto per lo interesse. (Vita del picaro Gusmano d’Alfarace, osservatore della vita humana. Parte seconda, descritta da Matteo Alemano di Siviglia, et tradotta dalla lingua spagnuola nell’italiana da Barezzo Barezzi cremonese, Venezia, Barezzo Barezzi, 1615, p. 343)
Per quanto riguarda la lingua di oggi, ho provato a verificare la presenza delle due sequenze nel corpus di prosa narrativa contemporanea raccolto nel PTLLIN. Ebbene, di qualcos’altro si hanno 45 occorrenze in 26 opere (edite dal 1950 al 2004); di qualcosa d’altro 30 occorrenze in 16 opere (dal 1949 al 1991): la vittoria, pur prevedibile, di qualcos’altro non si può considerare schiacciante. Per completezza, ho cercato anche altre possibili varianti: qualche cosa d’altro, qualche cosa di altro e qualcosa di altro; solo la prima è attestata, con appena 3 occorrenze in 3 opere (del 1951, 1982 e 1986).
Per cercare di individuare una possibile differenza di significato tra le due sequenze, ho preso in considerazione i pochi romanzi che le documentano entrambe (le evidenzio in grassetto). Il primo è L’orologio (1951) di Carlo Levi, che ha due esempi di qualcos’altro, uno di qualcosa d’altro e uno anche di qualche cosa d’altro:
Ma che cos’è quel desiderio, quella brama vivace che le richiama, e quel rimpianto per il loro svanire? Che cos’è quel potere che le fa commoventi? E quel cercare qualcos’altro, di là di loro, mobile come un fuoco?
O forse c’è qualcos’altro, poiché non c’è uomo che, in qualche modo, non agisca: l’azione di Martino è la sola che gli sia consentita dall’arida perfezione della sua natura: [...].
I miracoli della religione fanno guarire le malattie, camminare gli zoppi, aprir gli occhi ai ciechi e resuscitare i morti. Ma il nostro miracolo, a cui voi assisterete, fa qualcosa d’altro, di diverso, e forse di più importante: vi farà fantasticare.
Di ognuna di queste cose egli sapeva tutto: ma ogni cosa non era per lui quello che era, ma un segno di qualche cosa d’altro, di una verità nascosta, che non si poteva conoscere, ma soltanto interpretare.
Due esempi (uno a testa) sono in Donnarumma all’assalto (1959) di Ottiero Ottieri:
“Chi ha cinquantamila lire fa gli esami e qualcos’altro” ha ripetuto in generale.
Porta lisci capelli neri e bianchi sul viso malinconico e affilato. Si muove sempre lentamente quasi che aspetti qualcosa d’altro che la nostra assunzione: [...].
Lo stesso avviene in Le parole tra noi leggere (1969) di Lalla Romano:
Il dottorino assistente: - Ha sentito cosa ha detto il neurologo? Quando le avremo detto che non ha niente nemmeno al tubo digerente, inventerà qualcos’altro. La paura gli faceva inventare sempre nuovi mali.
Quello che la gente di solito fa “per vivere” non mi attira; mi domando se non si possa fare qualcosa d’altro e comunque sopravvivere. Lavorare “per vivere” dev'essere una cosa ben tragica; io vorrei fare qualcosa senza aver bisogno di farla.
La medesima situazione di equilibrio si ha in Un altare per la madre (1978) di Ferdinando Camon:
[...] è proprio quello che voleva mio padre: che il ricordo diventasse di tutti, e servisse a qualcosa, e (qui non sarò preciso) fosse sacro. Volevo dire qualcos’altro.
Ogni volta che s’era messo a fare un lavoro importante, era venuto a mancare qualcosa. La cosa mancante andava sempre sostituita con qualcosa d’altro, per forza. Ma questa volta non si poteva mettere ottone o alluminio o ferro.
Infine, abbiamo due esempi di qualcos’altro e uno di qualcosa d’altro in La strada per Roma (1991) di Paolo Volponi:
Guardavano sempre avanti, passeggiando, o guardavano qualcos’altro o qualche volta si guardavano solo negli occhi; [...].
come se tutto potesse essere ridotto a questo e la sua impazienza non avesse altre ragioni al di là, non delineasse qualcos’altro, che già brulicava senza fisionomia più avanti, molto più avanti nelle sue giornate.
Arrivò alla fiaschetteria di piazza delle Erbe correndo, ma si ricompose prima di entrare. Pensò a qualcosa d’altro, si dispose sul vuoto per poter annunciare alla gente che suo padre moriva.
Da tutti i contesti (compresi quelli dei due esempi antichi citati prima), si direbbe che qualcos’altro significhi genericamente ‘qualche altra cosa’ (sequenza che nello stesso corpus PTLLIN ha 32 occorrenze in 17 opere), mentre qualcosa d’altro (e così qualche cosa d’altro) significhi piuttosto ‘qualcosa di diverso’ (espressione non a caso presente, subito dopo, in Carlo Levi) o sia preferita quando c’è poi un termine di confronto introdotto da che (come in Ottieri).
Ora, in generale, quando qualcosa è seguito da un aggettivo con valore partitivo, questo è introdotto da di: si dice qualcosa di mio e non ?qualcosa mio, qualcosa di strano e non ?qualcosa strano; piuttosto, si ricorre a qualche cosa (con l’aggettivo al femminile, come detto sopra): qualche cosa mia, qualche cosa strana. C’è però da segnalare che Giuseppe L. Messina, nelle sue fortunate Parole al vaglio, s.v. qualcòsa afferma: “Talvolta acquista un valore avverbiale con significato restrittivo: qualcosa meno (= un po’ meno), qualcosa più (= un po’ più), qualcosa nuovo (= in parte nuovo)” (cito dalla 5a ed., Roma, Angelo Signorelli, 1965, p. 325). In ogni caso, sarebbe qualcos’altro (meno antico di qualcosa d’altro) a costituire l’eccezione.
Eppure, e a prescindere dalla possibile differenza semantica, e dunque qualitativa, sopra rilevata, qualcos’altro risulta oggi maggioritario sul piano quantitativo, come documentano sia i dati del GDLI, della BIZ e del PTLLIN proposti sopra, sia soprattutto il confronto offerto, sulla base della documentazione presente in Google, da Ngram Viewer, che mostra comunque una progressiva, seppur limitata, crescita anche di qualcosa d’altro (non, invece, di qualche cosa d’altro) dalla metà dell’Ottocento al 2012.