Consulenze linguistiche

Texture

  • Miriam Di Carlo
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2023.27898

Licenza CC BY-NC-ND

Copyright: © 2022 Accademia della Crusca


Quesito:

Alcuni lettori ci chiedono informazioni a proposito del forestierismo texture.

Texture

Il sostantivo femminile texture, entrato ormai da tempo nel lessico italiano tanto da essere registrato già nel Supplemento 2004 al GDLI e nell’ediz. 2007 del GRADIT, è un forestierismo non adattato dalla lingua inglese, la quale a sua volta ha mutuato la parola dalla lingua francese, in cui le prime occorrenze di texture sembrano risalire al XIV secolo (cfr. Trésor de la Langue Française informatisé TLFi). Come accade per altri forestierismi entrati integralmente nella lingua italiana, la base della parola è tutta latina (cfr. box): il francese texture deriva dal latino textura propriamente ‘tessitura, tessuto’. I significati che la parola texture ha assunto in italiano e che continua ad assumere, arricchendosi di nuove sfumature, rendono la sua semantica molto complessa: per questo vale la pena ripercorrerne la storia per capirne l’evoluzione, cominciando proprio dal latino.

Nella lingua latina, dal verbo texĕre (‘tessere, intrecciare’ e per estensione ‘scrivere’), attraverso il participio passato textus (da cui l’italiano testo e il francese texte), deriva il sostantivo textura ‘tessitura, tessuto’. In francese textura si è evoluto in texture (che si legge /tɛksˈty:R/ con accento sull’ultima sillaba articolata) con cui si indica principalmente:

A. - Disposition et mode d’entrecroisement des fils dans un tissage; état de ce qui est tissé. Synon. tissage, tissure (vieilli). Texture lâche, régulière, serrée. La perméabilité à l’eau, c’est-à-dire la capacité pour un tissu d’absorber et de conserver l’eau, est en rapport avec sa texture (Macaigne, Précis hyg., 1911, p. 174). Les étoffes, en leur somptueuse matière, dans la diversité de leur drapé conforme à la texture de chacune, font jaillir de la toile un saisissant trompe-l’œil (Huyghe, Dialog. avec visible, 1955, p. 98). [traduz. mia: “A.- Disposizione e modalità d’intreccio dei fili in una trama; stato di ciò che è tessuto. Sinonimi. Tissage, tissure (obsoleto). Consistenza morbida, regolare, aderente. La permeabilità all’acqua, ovvero la capacità di un tessuto di assorbire e trattenere l’acqua è correlata alla sua t. (Macaigne, Précis Hyg., 1911, p. 174). I tessuti, nel loro materiale sontuoso, nella diversità del loro drappeggio conforme alla trama di ciascuno, fanno della tela un sorprendente trompe-l’œil (Huyghe, Dialog. avec visible, 1955, p. 98)”]. (TLFi, s.v. texture)

Il Trésor de la Langue Française specifica tutte le accezioni che la parola ha maturato nei vari ambiti specialistici: nell’industria alimentare ‘qualità fisica degli alimenti legata alla loro densità, alla loro viscosità, alla loro omogeneità e alla loro durezza’; in metallurgia ‘caratteristica relativa alla dimensione, alla forma, alla disposizione della grana del metallo’; in pedologia (la scienza che studia il suolo) ‘composizione elementare di un suolo dal punto di vista granulometrico’; in petrografia (la scienza che descrive nel dettaglio le rocce e i minerali) ‘disposizione dei minerali costituenti la roccia’; nella psicologia sperimentale con texture ottica si indica la caratteristica dell’immagine retinica alla base della percezione delle distanze. Inoltre il Trésor aggiunge che texture si riferisce all’‘aspetto e alla consistenza di un prodotto semi-liquido o un impasto’ come ad esempio una crema di bellezza. Infine come accezione metaforica ‘stato di ciò che è ordito, tessuto, tramato’ soprattutto in riferimento alla critica di un testo letterario (ad esempio la crudeltà è ovunque in Racine; essa fa parte del tessuto stesso delle sue opere, della sua texture) oppure ‘disposizione e collegamento di parti di un’opera o un’operazione intellettuale’.

Nel suo primo significato (quello da cui derivano tutti gli altri), il termine texture viene assunto dalla lingua inglese attorno al XV secolo, secondo la fonetica propria di questa lingua in /ˈtɛkstjʊə/ con accento spostato sulla prima sillaba. Si nota che i vari dizionari inglesi come l’OED, il Cambridge Dictionary, il Merriam-Webster e altri come dictionary.com, non registrano, come invece il TLFi, tutte le diverse sfumature di significato che la parola assume nei diversi ambiti specialistici, soprattutto quello alimentare e cosmetico. Soltanto il Collins Dictionary fa riferimento alla consistenza del cibo, del suolo e alle caratteristiche di un testo letterario. Se da un lato molte accezioni non vengono registrate in dizionari quali l’OED, dall’altro notiamo che ne sono state inserite altre, come quella pertinente all’ambito specialistico della musica (‘qualità del suono formata dalla combinazione di differenti parti (orchestrali, vocali ecc.)’, cfr. OED, traduz. mia) e dell’arte (‘la rappresentazione della struttura e del modellamento di una superficie, diversa dal suo colore’, cfr. OED, traduz. mia).

Sembrerebbe che la parola texture sia entrata nel lessico italiano attraverso l’inglese e non il francese a causa della pronuncia in italiano (ossia con accento sulla prima sillaba: /ˈtɛksʧur/) ma non ne abbiamo la certezza vista la ritrazione dell’accento in molti francesismi che, in italiano, hanno finito per essere pronunciati all’inglese (come dèpliant anziché depliànt e còllant anziché collànt).  Per quanto riguarda la semantica del termine, conducendo alcune ricerche su Internet, abbiamo rilevato che tutti i significati registrati dal TLFi e dall’OED sono presenti anche in italiano, sebbene i dizionari si limitino a indicarne soltanto alcuni. Anzi, bisogna fare un vero e proprio “collage” delle definizioni per avere un’idea della semantica di texture in italiano. I dizionari a cui facciamo riferimento (Supplemento 2004 al GDLI, GRADIT, Zingarelli 2022 e Devoto-Oli 2022) condividono tutti il primo significato: ‘lavorazione della superficie di un materiale consistente nel renderla ruvida praticandovi scalfitture minutissime’. Il Devoto-Oli aggiunge un’accezione che si riferisce all’ambito della tessitura (‘disegno di un tessuto costituito da un insieme di piccoli segni alternati a zone vuote’) da cui, molto probabilmente, deriverebbe il significato, segnalato da tutti i dizionari e proprio della grafica (anche digitalizzata) di ‘insieme degli elementi decorativi disposti a costituire uno sfondo’ (GRADIT) che nel Devoto-Oli diventa proprio dell’ambito informatico: ‘piccola immagine ripetuta moltissime volte, fino a riempire la superficie di un oggetto virtuale’. Il GRADIT e lo Zingarelli aggiungono l’accezione di ‘struttura microscopica di fluidi e di solidi, osservabile solo in particolari condizioni’ ma soltanto lo Zingarelli fa derivare da questo significato, per estensione, quello di ‘consistenza di una sostanza rilevabile al tatto’. In questo ultimo caso, più circostanziato è il Supplemento al GDLI: ‘composizione di un prodotto, particolarmente cosmetico’. Come vedremo, a livello lessicografico, ci sono delle lacune di significato, soprattutto per quanto riguarda l’ambito dell’eno-gastronomia, della fotografia digitale, della musica e della critica letteraria.

Cominciamo subito col dire che il significato fondamentale della parola texture fa riferimento all’ambito della tessitura. Il referente di questo termine pertiene a due sfere sensoriali differenti: una tessitura può essere percepita sia attraverso la vista (ossia, banalmente, l’intreccio di trama e ordito), sia attraverso il tatto (passandoci la mano possiamo rilevarne la rugosità, la morbidezza ecc.). Questa doppia percezione ha coinvolto una serie di referenti a cui il significato di base del termine può essere applicato. Ne deriva la definizione dell’OED relativa all’arte: nel corso del XX secolo, la pittura si fa più materica e non è più, come in passato, una riproduzione mimetica bidimensionale della realtà. Ora la pittura, e l’arte in generale, invade lo spazio circostante, diventa tridimensionale e ovviamente più concettuale. Basti pensare alle opere di Alberto Burri caratterizzate da sacchi di juta attaccati sulle sue tele, in cui la texture non si riferisce soltanto a quella del colore spatolato ma anche a quello della trama del tessuto di juta:

Il visitatore innocente scorge innanzitutto gli estremi gesti dell’astrattismo che toglie tutta la luce alle differenze atonali di texture, nel delicatissimo nero-su-nero di Burri. (Alberto Arbasino, Il visitatore innocente, “la Repubblica”, 25/6/1988)

Effettivamente attraverso uno spoglio delle occorrenze di texture su Google libri (che comincerebbe a comparire nei primi del Novecento: nel 1910 nel n. 52 della rivista “il Morgagni” e nel 1913 nel n. 12 della rivista “Modo”), notiamo che fino ai primi anni Novanta il termine si riferisce, oltre alla pedologia, anche all’arte, all’architettura (indicando sia la consistenza dei materiali sia l’intreccio urbanistico), all’arredamento di interni:

Dicevo della texture, cioè di quel modo d’essere delle superfici affioranti, di quella «grana» dei muri che hanno un loro tono, una loro vibrazione, una loro costituzione materica. (Pier Carlo Santini, Gualtiero di Puccio, Lucca e la sua terra, Lucca, Cassa di risparmio di Lucca, 1967, p. 43)

La texture con la quale si risolve il fronte dell’edificio acquista essa stessa un significato a cui non si può ovviare in nessun caso: la rugosità che il particolare profilo delle terrazze provoca al volume costruito attua come contrappunto plastico della texture materiale della roccia [...]. (Ludovico Quaroni, Julio Lafuente, Helio Piñón, Architetture di Julio Lafuente, Roma, Officina, 1982, p. 50)

La texture rappresenta un altro interessantissimo sistema decorativo, che consente la creazione di ambienti particolarmente ricercati e preziosi come quello illustrato in queste pagine. La ripetizione del medesimo disegno secondo uno schema prestabilito, crea delle superfici molto mosse che come in questo caso, sembrano quasi dei ricami. (Giuseppe M. Jonghi Lavarini, Fulvia De Martis, L’arredamento in cucina, vol. VII, Milano, Di Baio Editore, 1990, p. 44)

Molti di questi lavori – basati su materiali insoliti (lana di vetro, cotone idrofilo, tela ricoperta di caolino, tele increspate, superfici grezze e granulose, dove il senso della texture, si allea al senso (negativo), del colore) – rivisti oggi nei musei internazionali, appaiono di una perentorietà e di una calibratura incredibili. (Gillo Dorfles, Preferenze critiche, uno sguardo sull’arte visiva contemporanea, Bari, Edizioni Dedalo, 1993, p. 169)

Tutte queste occorrenze fanno riferimento, come dicevamo, a una doppia sensazione, visiva e tattile. Il senso del tatto comincia quasi a prevalere nella percezione della texture: il termine viene usato all’interno delle esperienze sensoriali dei bambini. Infatti nel 1980 esce il libro, appartenente alla collana destinata alla crescita evolutiva dei bambini Giocare con l’arte, intitolato Le texture di Tonino Milite (Tonino Milite, Le texture, Bologna, Zanichelli Editore, 1980). Questo testo, oltre a farci intendere che il termine già negli anni ’80 aveva un significato abbastanza trasparente, ci conferma che esso veniva usato per indicare, sempre più spesso, le esperienze sensoriali tattili:

Al banco delle «texture» si fanno, su superfici ruvide, fondi che possono essere lisci, ruvidi, compatti o diluiti, che poi vengono composti uno sopra l’altro, segni, puntini, righe o altro come nei disegni divisionisti. (Leonardo Vergani, I Bambini conquistano Brera (Nella Pinacoteca milanese un laboratorio d’arte per imparare il linguaggio della pittura), “Corriere della Sera”, 16/3/1977, p. 3)

Nei primi anni Novanta notiamo che nell’ambito dell’alta moda, il termine non si riferisce soltanto al tessuto inteso in senso classico, ma, come avviene nell’arte, alla sovrapposizione di materiali dalle consistenze differenti. In questo primo esempio, l’autore è sempre Arbasino:

Effetti di texture come di conciature di pelli: un’arte tra Ferragamo e Gucci (ma nel caso di Sol LeWitt, la grana è piuttosto da Bottega Veneta). (Alberto Arbasino, Fra Matta e King-Kong, “la Repubblica”, 6/2/1990)

Come abbiamo visto, texture si connette anche a textus ‘testo’ e può fare riferimento alla produzione scritta e alla letteratura. Infatti, nel corso del XX secolo, il termine comincia ad essere impiegato in testi di critica letteraria, anche in questo caso non sappiamo se mutuato dalla lingua francese o da quella inglese. Secondo alcuni critici sarebbe stato Merleau-Ponty (cfr. Katia Rossi, L’estetica di Gilles Deleuze, Bologna, Pendragon, p. 65, nota 59) a usarlo per instaurare una relazione tra la tessitura/stratificazione del suolo e l’intreccio complesso dei testi letterari. Secondo altri, invece, la parola comincia a comparire nei testi di critica anglo-sassone indicando sia l’intreccio delle varie parti di un racconto, sia il tessuto linguistico con cui esso è composto:

Allo Stanzel pare altresì che tale tipologia non contraddica affatto a [sic] quella elaborata da Lämmert e che anzi esse si integrino a vicenda, perché, se si guarda bene, l’una porta alla luce l’ordito, la texture, di un racconto e l’altra invece la struttura, in particolare quella del tempo. (Ezio Raimondi, Tecniche e strutture narrative, “Lingua e Stile”, vol. 1(2), 1966, pp. 193-206, p. 203)

Ma essendo in primo luogo di texture, di tessuto linguistico e stilistico, il suo rinnovamento è forse tale da richiedere l’orecchio e la sensibilità linguistica di un natio – non solo d’uno che parli l’inglese dalla nascita, ma che dalla nascita sia familiare con il vernacolo americano [...]. (Sergio Perosa, Vie della narrativa americana: la tradizione del nuovo, Milano, Einaudi, 1980, p. 23)

La parola texture viene usata all’interno del lessico specialistico della linguistica del testo per indicare la coerenza, la coesione, la progressione tematica, l’intreccio delle modalità con cui informazioni implicite o esplicite si intrecciano per dare senso al testo (ricordiamo soltanto alcuni dei teorici di questa categoria di analisi: Halliday, Hasan, Givón, Chafe, Crystal e Lyons. Per l’italiano si veda Massimo Palermo, La prospettiva testuale, in Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese, Lorenzo Tomasin, (a cura di), La testualità, vol. V della serie Storia dell’italiano scritto, Roma, Carocci, 2021, pp. 17-55, p. 21). Un esempio di come la parola texture viene usata all’interno della linguistica testuale ci può chiarire senz’altro il suo significato. Riportiamo un’analisi della testualità gaddiana:

Da buon retore – come amò definirsi ironicamente – Gadda pesca a piene mani nella tradizione, attingendo particolarmente alla famiglia delle figure di parola «per aggiunzione». In tale famiglia la figura a lui più congeniale è sicuramente l’anadiplosi, che nelle sue diverse realizzazioni costituisce uno degli architravi della texture gaddiana. La figura può assumere più valori. Ad un primo livello è strumento di progressione tematica, anche iterata [...], e lega tra loro i periodi [...]. Come avvertono i manuali di retorica, l’anadiplosi assolve prevalentemente ad una funzione chiarificatrice [...]. (Massimo Palermo, Come «un caos che si arricchisca di determinazioni». Osservazioni sull’architettura testuale di Gadda, in “Lingua e Stile”, XLIX, pp. 95-111, p. 108-109)

Sempre prima del XXI secolo, emerge un’altra accezione che arriva a coinvolgere, quasi per “sinestesia”, altre sfere sensoriali: in inglese, a partire dalla seconda metà del ’900, la texture pertiene alla sfera uditiva e indica (come segnalato nell’OED), l’intreccio di parti orchestrali e vocali all’interno di un brano musicale. Questo significato è attestato anche in alcuni testi in lingua italiana:

Il termine inglese texture è sostanzialmente intraducibile in italiano; esso indica la trama delle diverse voci di un brano musicale, il movimento interno delle parti, il tipo di scrittura e sua densità. È stato a volte tradotto con “tessitura”, con uno stravolgimento a nostro parere inaccettabile del termine italiano. Abbiamo scelto di tradurre il titolo di questo capitolo – Musical Texture – con “scrittura musicale”. [N.d.C] (Walter Piston, Armonia, traduz. di Giovanni Gioanola, Torino, E.D.T., 1989, p. 276 [ediz. riveduta e ampliata da Mark Devoto])

La realizzazione di una texture – nella musica del nostro secolo – si poggia effettivamente proprio sulla forza del raggruppamento di elementi parziali in una struttura di larga scala. (Musica e scienza, il margine sottile, a cura di Carlo Boschi, Ivanka Stoïanova, Roma, ISMEZ, 1991, p. 106)

Tra il XX e il XXI secolo, oltre a moltiplicarsi le occorrenze di texture nell’ambito dell’arredamento di interni e della moda, cominciano a comparire le prime attestazioni in cui la parola assume il significato afferente alla grafica (per lo più digitale e ai programmi con cui svilupparla), alla fotografia (spesso anch’essa digitale) e alla riproduzione televisiva. In questi casi, texture fa riferimento a una trama percepibile con la vista, la quale può ricordare una sensazione tattile simulando un materiale:

Lavorare sullo sfondo con le texture. Il filtro Applica texture consente di creare dei graffiti quasi come i veri writer. Il filtro Effetto incrinatura simula la pittura su un intonaco pieno di crepe. Con il filtro Granulosità si possono creare texture interessanti in pochi passaggi. Questo filtro permette di applicare alle immagini delle texture, ovvero delle trame di sfondo che possono essere personalizzate a piacere. (Nora Hantish, Effetti speciali (Elaborazione di immagini digitali con Photoshop), Milano, Apogeo, 2003, pp. 60-63)

Esistono due tipi di texture: le texture procedurali e le texture bitmap. Le texture bitmap derivano dalla trasformazione in immagini digitali di materiali come vernici, intonaci, pavimenti, tegoli e coppi, ecc., o di oggetti naturali come legni, pietre, ciottoli, nuvole, ecc. la texture procedurali sono invece interamente generate da procedure matematiche (algoritmi). (Claudio Piccini, Opus incerta. Istantanee di un viaggio alla computer grafica, Milano, Lampi di stampa, 2007, p. 103)

Infine, a partire dal 2010 compaiono su quotidiani, riviste e libri le prime occorrenze in cui texture viene usato in ambito cosmetico e gastronomico. Per quanto riguarda il significato di ‘consistenza di una sostanza rilevabile al tatto’, ‘composizione di un prodotto, particolarmente cosmetico’ (riportati da vari dizionari italiani, come abbiamo visto), possiamo senz’altro dire che la percezione tattile ha finito per prevalere su quella visiva. Prodotti cosmetici come creme e trucchi hanno come proprietà merceologica quella della texture, ossia della consistenza, la quale deve essere il più piacevole possibile al tatto. Potremmo pensare che la tessitura molecolare delle particelle che compongono il prodotto (invisibile a occhio nudo ma percepibile attraverso un microscopio) determini la consistenza tattile dello stesso:

In perfetta sintonia con l’attuale tendenza della cosmesi, che punta su texture evanescenti ma ad alta concentrazione di principi attivi, soprattutto antietà e idratanti. (Stefania Maroni, Le tendenze cosmetiche assecondano i primi caldi, “Corriere della Sera”, 18/4/2009, p. 14)

Tra l’altro, i maquillage per pelli intolleranti o allergiche oggi disponibili sul mercato hanno texture sempre più gradevoli, formule che garantiscono alte performance e un’ampia gamma di colori. (Claudia Bertolato, Pelli sensibili l’irritazione è in agguato, repubblica.it, 14/12/2010)

A quel punto io mi giro verso mia sorella chiedendole: «Non ce l’hai qui?» | «Che cosa?» | «Beh, quella crema...» | «No, non credo...Ah, sì! Forse...Aspettate, vado a vedere nella borsa.» | Torna con la boccetta e la porge all’esperta. Questa allora inforca gli occhiali a mezzaluna e ispeziona il corpo del reato da cima a fondo. Noi pendiamo dalle sue labbra e la guardiamo in silenzio con una lieve angoscia. | «Allora, dottore?» arrischia Lola. | «Sì, sì, è proprio Lauder...riconosco l’odore...E poi la texture...La Lauder ha una texture molto speciale. È incredibile... Quanto dici di averlo pagato? Venti Euro? È incredibile...» sospira Carine riponendo gli occhiali nell’astuccio Persol nella pochette Biotherm e la pochette Biotherm nella borsa Tod’s. (Anna Gavalda [traduz. di Luciana Cisbani], Il regalo di un giorno, Milano, Sperling & Kupfer [per edizioni Frassinelli], 2010, p. 10)

Sempre in ambito cosmetico, recentemente, si parla di texture in relazione ai profumi, aggiungendo un’estensione di significato dal carattere sinestetico che coinvolge anche il senso dell’olfatto:

È la lavanda, che in Blue Land si mescola a un accordo di zenzero e brezza marina. “L’ouverture delle note croccanti di arancia amara e mela verde, unite alla texture di muschio di roccia apporta virilità e atemporalità alla fragranza. In contrasto, l’accordo di cuoio e di vetiver rivela l’aspetto caldo e sensuale del profumo”. (Blue Land il trionfo della lavanda, repubblica.it, 18/4/2015)

La texture prevede essenze di bergamotto italiano e coriandolo ucraino, l’assoluta di rosa turca arricchita da un tocco di patchouli dell’Indonesia e infine il legno di sandalo australiano. (Sofia Catalano, Il legame della seduzione, “Corriere della Sera”, sez. Beauty, 15/5/2014, p. 26)

In questi casi il termine texture sembrerebbe individuare l’intreccio delle varie parti che compongono la fragranza. Inoltre ultimamente, in campo estetico, il termine ha finito per essere usato anche per indicare le diverse consistenze tattili e visive dei capelli. Si tratta di un uso settoriale che non sembrerebbe essersi ancora diffuso oltre quest’ambito ristretto:

Si registra il ritorno a un’eleganza sobria e misurata, dal sapore urban chic per i lunghi di stagione. Che giocano con scalature e sfilature poco accentuate, con volumi pieni e texture. (Maria Maccari, Capelli lunghi: composti e glam, repubblica.it, sez. D, 3/11/2016)

Stefano Lorenzi (Aldo Coppola) annuncia tagli scalati con texture ancora piene. «Si ha voglia di giocare con le chiome». (Ornella Sgroi, A tutto corto. Ma il vero must sarà la frangia, “Corriere della Sera”, 23/9/2020, p. 36)

Infine, come segnalano i nostri lettori, la parola texture viene usata in ambito gastronomico. Riportiamo di seguito un brano che, nella sua completezza, ci fa capire perché il termine sia entrato nel lessico della gastronomia:

Descrivere ciò che si prova degustando questi cibi non è facile. A questo proposito è stato coniato un termine, Texture, cioè la sensazione che ci dà il cibo quando entra in contatto fisico nella bocca e ci consente di percepire la sua struttura e consistenza coinvolgendo sia il tatto sia l’udito. Scrive Daniele Fajner, citato nel testo Educazione sensoriale utilizzato nei “Master of Food” dell’associazione Slow Food e curato da Mirco Marconi: È importante sottolineare che la texture è una proprietà sensoriale, che deriva dalle nostre percezioni in una dimensione multiparametrale. La texture è una “somma”, non algebrica, delle nostre sensazioni, che origina parametri fisici, che noi interpretiamo con una percezione complessiva derivata dalla struttura fisica del cibo (grana, tessitura, fibrosità) e dalle forze coesive che lo tengono aggregato. Nello stesso testo viene riportata la definizione di “texture” di Szczesniak: La texture è la manifestazione sensoriale del cibo, delle proprietà superficiali e delle modalità con cui questa struttura reagisce alle forze applicate, coinvolgendo tutti i sensi, vista, udito e tatto. (Luigi Bruni, Il manuale dell’abbinamento cibo-vino, Milano, Hoepli, 2015)

Come emerge da questi esempi texture è un termine che comincia a essere usato anche nell’ambito specialistico della gastronomia per indicare l’insieme di sensazioni tattili, gustative e uditive (ad es. croccante) che il cibo genera entrando in contatto con il palato. Si tratta di un uso altamente specialistico rilevato a partire dai primi anni del 2000, che probabilmente parte dalla chimica, per poi sganciarsene, descrivendo l’insieme delle percezioni sensoriali che il cibo provoca nell’essere umano. Le prime occorrenze di texture sui giornali con questo significato specialistico appartengono al “Corriere della Sera”; in questo caso il termine viene usato, in entrambi gli esempi di seguito, dallo chef Ettore Bocchia, cioè uno specialista del settore:

“Onore, però, al collega Gianfranco Vissani – continua – che è stato il primo in Italia a proporre, forse senza saperlo, la fusion ad altissimo livello di gusto. Indimenticabile la sua trippa con l’aragosta. La texture gommosa della carne si sposa meravigliosamente con il crostaceo”. (Marisa Fumagalli, Il futuro visto dai creatori di sapori. Colori e scienza reinventano i piatti, “Corriere della Sera”, 26/9/2004, p. 22)

“Utilizzando tecniche e materiali inediti si possono ottenere risultati straordinari, soprattutto per quanto riguarda quella che gli anglosassoni chiamo la “texture”, che possiamo tradurre in consistenza, un ambito della cucina assai poco esplorato”. (Francesco Arrigoni, A cena dal profeta della cucina molecolare, “Corriere della Sera”, 23/7/2005, p. 10)

Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a un crescente successo di rubriche e programmi che si occupano di alta cucina, aiutando la divulgazione di termini specialistici che sono fuoriusciti dall’ambito prettamente tecnico per entrare nell’uso comune o divenire familiari (cfr. abbattere):

Non più solo le ricette della nonna, i piatti consolidati e di facile esecuzione: in tanti provano a osare, a inventare e a scoprire gusti e concetti tipici, e a volte abusati, dell’alta ristorazione come i giochi di consistenze, le texture, i contrasti di sapore. E ancora: tecniche innovative, dal sottovuoto alla cottura a bassa temperatura, e ingredienti rari e selezionati, magari esotici e introvabili nei mercati dei nostri quartieri. (Antonio Scuteri, Cucina smart: il fai-da-te diventa gourmet, repubblica.it, 4/5/2014)

Inoltre, sempre in ambito eno-gastronomico, il termine texture ha finito per indicare anche la percezione che una bevanda (quindi una sostanza liquida) può dare a livello gustativo e tattile:

Un grande novità [sic] riguarda l’inserimento di una componente grassa all’interno del drink, capace di regalare una texture diversa all’assaggio che attiva altri recettori oltre a quello del gusto. Infatti l’aggiunta di un elemento come l’olio, la panna, il formaggio, ma anche una granella, rende il momento dell’assaggio più complesso e interessante perché il cocktail, normalmente liquido, assume una texture diversa capace di regalare personalità alla ricetta: questo sarà il futuro del settore. (Simone Pazzano, Mixology, Mattia Pastori racconta l’evoluzione del ruolo del bartender, repubblica.it, 19/4/2019)

La chiave di lettura di questa birra è da ricercare nell’acidità, un elemento che risulta “sottopelle” sentito. Vibrante. Una riuscita di un’integrazione tra bolle, texture e materia possibile dopo due anni di studi. (Erika Mantovan, Opera, l’ultimo progetto rivoluzionario di Baladin, repubblica.it, 20/3/2021)

Tirando le somme, notiamo che il termine texture, applicandosi a nuovi referenti, presenta una semantica molto complessa che coinvolge tutte le sfere sensoriali: vista, tatto, olfatto fino al gusto e all’udito. Eppure non possiamo ignorare che in italiano esisterebbe una parola indigena, derivante anch’essa dal latino textura e che di base ha gli stessi significati di texture: si tratta di testura (oltre che di tessitura), registrata dal GDLI con i significati di ‘il tessere, tessitura’ e ‘struttura costitutiva di un corpo, di una materia; insieme ben disposto di parti che compongono un edificio, un manufatto’; ‘struttura formale di un testo’ e ‘svolgimento dei concetti e delle idee in un discorso’; infine ‘stile pittorico’. Non sorprendono quindi le osservazioni dei nostri lettori quando ci chiedono perché la lingua italiana abbia accolto integralmente un termine che poteva trovare un suo perfetto traducente in testura. Uno dei motivi della preferenza di texture sta nel fatto che, ormai lo abbiamo ampiamente documentato, la lingua italiana stia vivendo un periodo di “pigrizia” e, per arricchire il proprio lessico, preferisce nutrirsi di forestierismi, per lo più di origine anglo-americana, piuttosto che utilizzare materiale autoctono. Nel nostro caso specifico, poi, c’è da considerare che il sostantivo testura, seppur attestato dagli inizi del XVI secolo, non è molto diffuso, tant’è che viene marcato dal GRADIT come termine specialistico e di basso uso. Sull’aderenza completa semantica dei due termini testura-texture poi, si sono interrogati alcuni traduttori:

Purtroppo il traduttore non ha reso un buon servizio né agli autori né al lettore italiano. Accanto a soluzioni per lo meno dubbie («testura» non risolve affatto l’originale texture, ossia disegno, tessuto, struttura interna) ci si imbatte in autentici svarioni. (Claudio Gorlier, I formalisti, “Corriere della Sera”, 10/8/1969, p. 13)

Già nella seconda metà del XX secolo, dunque, l’inglese texture aveva assunto una serie di significati estensivi che induceva i traduttori a pensare che il traducente testura non fosse in grado di rendere la complessità semantica espressa dall’anglismo. Ci sono stati, comunque, dei timidi tentativi di usare testura nei vari ambiti in cui poi si è imposto texture. Prima di tutto nell’arte: Getulio Alviani, artista italiano contemporaneo, ha usato per alcune sue opere degli anni ’60 le diciture “superficie a testura vibratile” e “a testura grafica”. Ma non solo: la critica dell’arte ha cercato, con alcuni vani tentativi, di usare testura (le occorrenze sulla “Repubblica” e sul “Corriere della Sera” con quest’uso sono meno di cinque):

Nella chiesa sconsacrata di Sant’Apollonia c’è una bella mostra-ricognizione degli operatori culturali della provincia, molto «La critica non è critica di qualcosa ma procedura, testura, trama»; c’è la Cooperativa editrice Magazzino che stampa e tende cultura di sinistra: lavoro per le donne non ce n’è. (Lietta Tornabuoni, Bovary 78, immaginazione senza potere, “Corriere della Sera”, 14/4/1978)

Anche nel campo letterario si assiste allo stesso, non riuscito, tentativo (le attestazioni di testura nei testi di critica sui quotidiani citati sono due):

Di Ugolino dobbiamo dire che è una testura verbale che consta di una trentina di terzine. Dobbiamo includere in questa testura la nozione di cannibalismo? Ripeto che dobbiamo sospettarla con incertezza e timore. (Jorge Luis Borges, Borges nell’inferno del conte Ugolino, “Corriere della Sera”, 5/6/1983, p. 3)

Anche nell’ambito della linguistica testuale, alcuni studiosi preferiscono usare testura piuttosto che texture: basti pensare, per citare soltanto uno degli esempi più emblematici, che il titolo del saggio di Manzotti e Zampese riporta testure al plurale (cfr. Emilio Manzotti, Luciano Zampese, Testure. Legami e “disegni” nel testo poetico, in Silvia Calligaro, Alessia Di Dio, (a cura di), Marco Praloran, 1955-2011. Studi offerti dai colleghi delle università svizzere, raccolti da S. Albonico, Pisa, 2013, pp. 333-369).

Si è cercato di usare testura al posto di texture anche nella musica (due sole attestazioni):

Fiore mette così in risalto l’importanza del gesto, della testura sonora, del suono e del silenzio. (Roberto Fiore suona il suo «Simple», “Corriere della Sera”, 20/9/2010, p. 12)

Una magia sonora che verrà risvegliata da sei percussionisti, che, muniti di guanti per non rovinare il prezioso acciaio rosso cor-ten, la “suoneranno” dall’esterno, mentre il coro, invisibile al pubblico, sarà nascosto nello stanzino in fondo al tunnel a produrre una ‘testura sonora’ senza parole, fatta di sussurri, soffi, mantra che verrà elaborata in live electronics in una partitura che Avital, affascinato dalle antiche sonorità rituali, ha scritto pensando al Tibet. (Simona Spaventa, Concerto per Kapoor. Fiato alle tube intorno al tubo dello scultore, repubblica.it, 26/1/2012)

Nell’ambito della moda, della cosmesi e dell’eno-gastronomia abbiamo una sola attestazione per ogni categoria nei quotidiani consultati:

Ecco invece la pelle, lavorata con qualità artigianale e realizzata con una stampa a sottili increspature dalla testura quasi granulare. (Matteo Persivale, Il ceo di Church e l’alternativa a un mercato solo sportswear, “Corriere della Sera”, 24/11/2018, p. 34)

Si parte dalla base: «Lo skin care – afferma – deve essere modulato secondo le nuove e calde esigenze. Alleggeriamolo di testura ma non di principi attivi. Il fondotinta abituale non performa come in inverno». (Rossella Burattin, Effetto trucco che cola, i consigli giusti per evitarlo, “Corriere della Sera”, 18/8/2015, p. 36)

Un filetto di spigola, la polpa finissima di un king crab o quella che si sfoglia di un merluzzetto, suggeriscono un bianco fresco e soave; la testura di una coda di rospo, il grasso di un salmone (non affumicato), la polpa compatta e saporita di una triglia, richiamano piuttosto un rosso, anche leggermente tannico [...]. (Enzo Vizzari, Il matrimonio perfetto per fortuna non esiste, repubblica.it, 3/8/2014)

Quindi non possiamo di certo dire che non ci siano stati tentativi di rendere texture con testura ma, come dicevamo, il basso uso del termine italiano lo ha svantaggiato a priori.

Infine, per concludere, bisogna fare una considerazione sul verbo derivato texturizzare. Il GDLI registra il verbo testurizzare come derivato di testura ossia ‘sottoporre una fibra tessile a un processo di testurizzazione’. Anche l’edizione del GRADIT del 2007 e il Devoto-Oli 2022 mettono a lemma lo stesso verbo aggiungendo, però, come variante dello stesso, texturizzare. La definizione del GDLI risulta, oltre che confusa, alquanto imprecisa perché da una parte testurizzare deriva da testura e indica un processo specifico dell’ambito tessile, dall’altra texturizzare deriva da texture ‘insieme di minutissimi segni, rilievi e incisioni che rendono ruvida una superficie’. Lo Zingarelli 2022, coerentemente con quanto stiamo dicendo, lemmatizza da una parte testurizzare (da testura) ossia ‘rendere le fibre tessili più elastiche e voluminose attraverso un trattamento specifico’, e dall’altra la voce diversa e distinta texturizzare (da texture) con il significato di ‘trattare la superficie liscia di materiali naturali o artificiali allo scopo di renderla ruvida’. La situazione che viene descritta nel GRADIT e ripresa dal Devoto-Oli ci fa pensare che i due termini testura e texture si possano essere sovrapposti e confusi, generando poi delle imprecisioni di definizione nei verbi derivati.

Concludendo, non possiamo far altro che constatare che gli italiani abbiano cercato di trovare in testura un traducente all’anglismo texture, non riuscendo però a imporlo in tutti gli ambiti in cui quest’ultimo andava assumendo nuove sfumature di significato. Per questo, alla fine, ha prevalso non solo la tipica “pigrizia” dei parlanti che faticano a sostituire texture, a seconda del contesto e delle sfumature semantiche, con i vari sostantivi già disponibili (consistenza, struttura, tessitura, trama) ma anche il forte senso di ammirazione e soggezione che si prova davanti ai forestierismi, soprattutto se pronunciati all’inglese.

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