Consulenze linguistiche

Sul femminile di chef

  • Anna M Thornton
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2023.27930

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Copyright: © 2023 Accademia della Crusca


Quesito:

Sono pervenuti diversi quesiti sull’uso del nome chef se riferito a una donna.

Sul femminile di chef

Chef in italiano è un prestito non adattato dal francese, che significa ‘capocuoco’, e in particolare ‘cuoco di grande abilità che lavora spec. in ristoranti eleganti’ (GRADIT). Alfredo Panzini inserì questa voce nel suo Dizionario moderno (Milano, Hoepli) fin dalla prima edizione del 1905, con il seguente commento:

Il capocuoco di una cucina d’albergo (chef de cuisine) è senz’altro onorato di questo breve imperioso nome francese; che, come tutti i monosillabi stranieri di aspro suono, sembra esercitare una specie di incanto su le nostre orecchie in confronto delle piane, equilibrate, armoniche, compiute parole di nostra lingua.

Il giudizio negativo di Panzini sull’uso di questo prestito “di lusso” si fa nel corso del tempo meno colorito nella forma ma non si attenua nella sostanza: ancora nell’ottava edizione, del 1942, il lemma chef recita:

Vocabolo mas. fr., capo. Nel senso di capocuoco, capo di cucina, o, senz’altro, cuoco, è abusivamente usato da noi. Si intende di capo di grandi cucine, di alberghi aristocratici. V. monsù.

La voce è attestata in italiano almeno dal 1824, quando compare in una delle Lettere del Conte Gio. Battista Sommariva a suo figlio Luigi (Parigi, Firmin Didot, 1842) datata “Milano, 2 settembre 1824”, nella quale il Conte scrive:

Spero che avrai ricevuta l’ultima mia 24 passato agosto. Ti preveniva in essa che licenziava lo chef nostro di cucina; postochè a poco a poco si era arrogato il posto di padrone di casa, ricusando di ubbidire, ben anche al nostro Giacomo-Antonio; e spendendo, e spandendo, a sua piena voglia, con arroganza insopportabile a tutti, e con incalcolabile danno di chi doveva tutto pagare, e tacere.

In questo passo la voce compare con il modificatore di cucina, a testimonianza del fatto che il Conte Sommariva ancora coglieva il legame tra il francese chef e l’italiano capo. Entrambe le voci continuano infatti il latino caput, che aveva già, oltre al senso proprio di ‘testa’, altri sensi metaforici e metonimici, conservatisi anche nelle lingue romanze, tra i quali quelli di ‘estremità di un oggetto’ (come in capo del letto), ‘singolo individuo’ (come in un capo di bestiame), e ‘persona al comando di un gruppo o di un organismo’ (che troviamo spesso anche in composti come caposquadra, capoclasse, capobanda, e appunto capocuoco). Anche in francese chef ha tutti questi significati (e altri ancora): secondo il TLFi la locuzione chef de cuisine, lett. ‘capo di cucina’, è attestata dal 1740, e in questo significato si usa anche il semplice chef almeno dal 1836. Come spesso accade ai prestiti, in italiano il francese chef è stato adottato solo in uno dei suoi sensi, quello appunti di ‘capocuoco, capo di grandi cucine’.

Il quesito che ci è stato posto è come comportarsi nel caso in cui la persona a capo di una cucina sia una donna.

La questione solleva contemporaneamente il problema dell’uso dei nomi di professione riferiti a donne (di cui abbiamo più volte trattato, per esempio qui, qui , qui e qui) e il problema del trattamento dei prestiti da lingue geneticamente e culturalmente vicine, come il francese.

Quanto al genere, non c’è dubbio che sia opportuno adottare una forma femminile: se non chiameremmo cuoco una cuoca, perché dovremmo chiamare lo chef una donna che svolga questa professione?

Più difficile è decidere quale forma femminile adottare: lasciare il prestito invariato, o adottare la forma femminile usata in francese?

Per rispondere a questo dubbio, è necessario innanzitutto sapere quale sia la forma femminile adottata in francese. La risposta non è banale. Il femminile corrispondente a chef, con i suoi molteplici significati in riferimento a persone (non si dimentichi che chef è usato in francese non solo nel senso di chef de cuisine, ma anche in moltissimi altri sensi per i quali l’italiano ricorre a capo o a composti con capo-), è particolarmente problematico anche in francese. La questione è affrontata nel rapporto La féminisation des noms de métiers et de fonctions pubblicato dall’ Académie française nel 2019, dove leggiamo:

Une véritable difficulté apparaît avec la forme féminine du mot «chef»: le cas mérite qu’on s’y arrête, ce mot étant employé dans de nombreuses locutions, telles que «chef de chantier», «chef d’équipe», «chef de rayon», «chef de gare», «chef de rang» (dans la grande restauration), «chef de bureau», «chef de cabinet», «chef d’orchestre». Ce mot a donné lieu à la création de formes féminines très diverses: (la) «chef», «chèfe», et même «chève» (comme «brève»), «cheffesse» (ancien), sans omettre «cheftaine». Ce cas est révélateur: le métier pose en lui-même le problème de sa dénomination, et le féminin ne se forme pas naturellement. La forme «cheffe» semble avoir aujourd’hui, dans une certaine mesure, la faveur de l’usage. Si l’on ne peut soutenir que cette forme appartient au «bon usage» de la langue, il paraît également difficile de la proscrire tout à fait étant donné le nombre d’occurrences rencontrées dans les sources que la commission a pu consulter. (pp. 10-11) [Un’autentica difficoltà si presenta per la forma femminile della parola «chef» ‘capo’: merita soffermarsi sulla questione, dato che questa parola si usa in numerose locuzioni, come «chef de chantier» ‘capocantiere’, «chef d’équipe» ‘caposquadra’, «chef de rayon» ‘caporeparto’, «chef de gare» ‘capostazione’ «chef de rang» ‘capofila, responsabile del servizio di una fila di tavoli’ (nella grande ristorazione), «chef de bureau» ‘capoufficio’, «chef de cabinet» ‘capo di gabinetto’, «chef d’orchestre» ‘direttore d’orchestra’. Questa parola ha dato luogo alla creazione di forme femminili molto varie: (la) «chef», «chèfe» e anche «chève» (come «brève» [femminile singolare dell’aggettivo bref ‘breve’]), «cheffesse» lett. ‘capessa’ (antico), senza dimenticare «cheftaine» ‘ragazza responsabile di un gruppo di giovani scout’. Questo caso è rivelatore: il mestiere pone intrinsecamente il problema della sua denominazione, e il femminile non si forma in modo naturale. La forma «cheffe» sembra avere oggi, in una certa misura, il favore dell’uso. Benché non si possa sostenere che questa forma appartenga al «buon uso» della lingua, pare altrettanto difficile proscriverla del tutto, dato il numero di occorrenze riscontrate nelle fonti che la commissione ha potuto consultare.]

In Francia, dunque, tra la pluralità di soluzioni esplorate, sembra star prendendo piede la forma cheffe, un femminile formato in modo regolare (come in italien / italienne ‘italiano / italiana’, ecc.), che uno dei nostri lettori chiede se sia opportuno usare anche in italiano. Tuttavia, dato che il francese è una lingua policentrica, è utile verificare anche le soluzioni adottate in altri paesi dove il francese sia una delle lingue ufficiali. In Svizzera, la Guide de formulation non sexiste des textes administratifs et législatifs de la Confédération pubblicata dalla Cancelleria federale nel 2000 considera la chef un “Cas particulier”, per il quale osserva e prescrive quanto segue:

Le terme «chef» peut très bien désigner une femme; c’est d’ailleurs la forme retenue dans l’ordonnance concernant la classification des fonctions (RS 172.221.111.1).
On peut donc parfaitement utiliser la forme «chef» en marquant le genre par l’article. (p. 8) [Il termine «chef» può benissimo designare una donna; d’altronde è la forma utilizzata nell’ordinanza che riguarda la classificazione delle funzioni (RS 172.221.111.1).
Si può dunque perfettamente utilizzare la forma «chef» marcando il genere tramite l’articolo.]

Nell’area Femmes et Égalité des genres Canada del sito del governo canadese troviamo usate sia la forma femminile cheffe, sia la forma chef preceduta da articoli femminili se il nome è riferito a donne:

Déclaration de la ministre Monsef, cheffe de la délégation canadienne, à la 65e session de la Commission de la condition de la femme à l’ONU [Dichiarazione della ministra Monsef, cheffe della delegazione canadese, alla 65a sessione della Commissione sulla condizione della donna presso l’ONU]

Elsie Knott, première cheffe de Premières Nations au Canada [Elsie Knott, prima cheffe delle «Prime Nazioni» (le popolazioni autoctone, ndr) del Canada]

Il est possible que les femmes soient cheffes de la direction [È possibile che le donne siano cheffes della direzione]

Le jury des Prix en commémoration de l'affaire «personne» est nommé par la chef de Condition féminine Canada [La giuria dei Premi che commemorano la vicenda «personne» è nominata dalla chef di Condition féminine Canada]*

La questione della forma femminile corrispondente al maschile chef sembra quindi non completamente risolta neppure in lingua francese, dove si oscilla tra l’uso di cheffe e quello di chef accordato al femminile, che segue una tendenza molto pronunciata in francese contemporaneo, quella di adottare una stessa forma per riferirsi a uomini e donne, variando però gli elementi in accordo, come articoli o aggettivi, secondo il sesso della persona cui ci si riferisce (cfr. Bonami & Boyé 2019).

Dato che in italiano è forte la tendenza a lasciare invariati i prestiti non adattati (si pensi al fatto che al plurale diciamo e scriviamo gli chef, i film, i kibbutz, e non gli chefs, i films, i kibbutzim) sembra preferibile adottare anche in italiano la formula la chef invece che la cheffe.

* La vicenda «personne» si riferisce a una lotta portata avanti da cinque donne canadesi negli anni Venti del XX secolo per ottenere il riconoscimento del fatto che il riferimento della parola personne ‘persona’ comprende anche le donne, con conseguenze giuridiche di ampia portata per la pari opportunità tra donne e uomini in Canada. Per approfondimenti si veda qui.


Nota bibliografica:

  • Olivier Bonami e Gilles Boyé, Paradigm uniformity and the French gender system, in Perspectives on morphology: Papers in honour of Greville G. Corbett, a cura di Matthew Baerman, Oliver Bond e Andrew Hippisley, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2019, pp. 171-192.


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