DOI 10.35948/2532-9006/2023.27987
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Due lettrici, che ci hanno scritto da Torino e da Gubbio, chiedono se la congiunzione sicché sia da considerarsi arcaica o di uso limitato alla sola Toscana.
Per rispondere alle domande di due nostre lettrici, affronteremo sinteticamente la descrizione di questa forma.
Si(c)ché appartiene alla lingua letteraria italiana fin dalle origini, attestata (pur se non ancora univerbata) già a partire dal fiorentino del Duecento, ad esempio nella prosa narrativa di carattere più popolare come il Novellino ma anche in quella d’autore come la Vita nuova di Dante, e in versi:
Avea [C’era] un vecchio c’avea nome [si chiamava] ser Frulli, et avea [e aveva] un suo podere di sopra a San Giorgio, molto bello, sì che [(e) perciò] quasi tutto l’anno vi dimorava [soggiornava] con la sua famiglia (Novellino, novella 96, rr. 4-7; ed. a cura di Guido Favati, Genova, Bozzi, 1970; si veda anche l’ed. a cura di Alberto Conte, Roma, Salerno Editrice, 2001)
E nominollami [me la nominò] per nome, sì che [(e) perciò] io la conobbi bene (Vita nuova, cap. 9, par. 5; ed. a cura di Michele Barbi, Firenze, Bemporad, 1932)
[…] poi disse: “Fieramente furo avversi / A me e a miei primi e a mia parte, / Sì che [(e) perciò] per due fïate li dispersi” (Inferno, X, vv. 46-48, ed. a cura di Giorgio Petrocchi, Milano, Mondadori, 1966; cfr. anche il Vocabolario Treccani online)
Oltre al più frequente valore causale-conclusivo visto negli esempi precedenti, a volte si(c)ché può assumere anche quello consecutivo-finale, forse favorito dal verbo al congiuntivo della frase che introduce:
Ahi Pisa, vituperio de le genti / del bel paese là dove ’l sì suona, / poi che i vicini a te punir son lenti, / muovasi la Capraia e la Gorgona, / e faccian siepe all’Arno in su la foce, / sì ch’ [tanto che / in modo che / affinché] elli [l’Arno] annieghi in te ogne persona! (Inferno, XXXIII, vv. 79-84, ed. cit.; cfr. anche Il Sabatini-Coletti online)
Si(c)ché continua a essere usato almeno fino agli inizi del Novecento anche nella prosa non strettamente letteraria e in quella saggistica, sia nella forma ‘fusa’ sicché sia in quella ‘staccata’ sì che:
Aveva [io avevo] in mente che poeta e tipografo fossero stati dal governo pagati; ma, dopo ciò che dice il signor Carducci, non mi è più lecito accogliere nell’animo simile supposizione; sicché [(e) perciò], senza tanti giri di parole, dal mio articolo del ’73 intendo che quell’inciso sia cancellato (Eduardo Arbib, Lettera [al Direttore], “Lega della democrazia”, 17/4/1880; poi in Giosue Carducci, Opere, vol. 4, Bologna, Zanichelli, 1917, pp. 79-81: p. 80)
[…] io credo che questa non più amministrazione giustamente costituzionale [amministrazione non più giustamente costituzionale] ma governo ostinatamente personale danneggi e perverta l’Italia; sì che [(e) perciò] se il mio nome può dare pur un minimo colpo al minimo dei puntelli di cotesta oppressione barocca, vada pure il mio nome (Giosue Carducci, Lettera agli elettori del collegio di Pisa, “Il resto del carlino”, 9/5/1886; poi in Giosue Carducci, Opere, vol. 4, Bologna, Zanichelli, 1917, pp. 469-471: p. 470)
Il punto di partenza del pensiero non sono già le idee astratte, ma bensì le sensazioni immediate; sicché [(e) perciò / quindi] le prime parole rappresentano, non l’individuo, che è una idea molto diversa, assai complicata e tardiva, ma questi dati sensibili fondamentali (Roberto Ardigò, La psicologia come scienza positiva, Padova, A. Randi, 1908; da BiBit)
Nell’italiano contemporaneo sicché appartiene senz’altro al registro alto, formale; non risulta particolarmente comune ma è ad es. facilmente rintracciabile nella scrittura saggistica:
L’Alfieri e il D’Azeglio fanno entrambi parte — nonostante i cinquant’anni che li separano — di quei “piemontesi colti […] inevitabilmente bilingui” per i quali il francese era spesso la “più comoda lingua privata, perché il suo apprendimento costava meno ‘conquista’ dell’italiano” […]. Sicché [Perciò] la tentazione di ascrivere il costrutto che ci interessa al novero dei francesismi è forte: ma faremmo un errore (Luca Serianni, Proposizioni coordinate a una secondaria introdotte da che (“quando […] e che”), in Id., Saggi di storia linguistica italiana, Napoli, Morano Editore, 1989, pp. 27-38: p. 28)
E proprio a ciò il paesaggio della Toscana deve il suo eccezionale prestigio: all’apparire l’esempio perfetto di una natura benigna all’uomo e alle sue opere, di una natura che sollecita ed integra la civilizzazione, non la contrasta; sicché [perciò] il rapporto tra città e campagna vi appare quasi sempre composto in una prospettiva di sostanziale armonia e di reciproco arricchimento anche estetico (Ernesto Galli della Loggia, L’identità italiana, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 28)
[…] “attraverso il canale della ristorazione italiana si sono realizzati, all’estero, gli incontri delle tradizioni regionali della penisola”, sicché [perciò / quindi] si può dire che “il sincretismo alimentare… distingue l’esperienza dell’emigrazione nel suo complesso” (Massimo Montanari, L’identità italiana in cucina, Roma / Bari, Laterza, 2010 [20112], p. 54)
Ma la Scuola [classica romagnola] assume significato anche, o soprattutto, [al] di là dalle singole personalità, in quanto “mondo letterario”, ossia Scuola, nel senso di società letteraria concorde ed omogenea, sicché [perciò / quindi] mette conto segnalare almeno i nomi di coloro che ne furono figure di spicco o semplici epigoni (Pantaleo Palmieri, Il Grecolatinoitaliano Parnaso di Dionigi Strocchi, in María Carreras i Goicoechea e Marcello Soffritti (a cura di), Un percorso attraverso la traduzione. Autori e traduttori della Romagna dal XVI al XIX secolo, Bologna, Il Mulino, 2010, pp. 47-69: p. 49)
Sicché si trova poi anche nella prosa narrativa letteraria, ma va segnalato che mentre nel primo frammento riportato di séguito viene utilizzato direttamente dall’autrice-narratrice del racconto, nel secondo l’ironico autore del romanzo sta riportando le parole di una signora della ‘Torino bene’ piuttosto snob, nella cui bocca l’uso di sicché deve suonare piuttosto affettato, proprio per caratterizzare il personaggio anche dal punto di vista linguistico:
Le sarebbe piaciuto avere un gatto, ma ci ha rinunciato, quando devi partire bisogna trovare qualcuno che venga a dargli da mangiare, e poi se stai via molto tempo la bestiola patisce e tu anche. Sicché [Perciò / Quindi] non c’è nessuno ad aspettarla quando torna dal lavoro, ma Claudia non se ne rammarica: dopo tante ore passate in redazione la solitudine non le pesa, anzi le è necessario ritrovarsi a tu per tu con se stessa (Fausta Garavini, Storie di donne, Milano, Bompiani, 2013, pp. 178 sg.)
Il nome gliel’abbiamo dato, gli altri particolari li troveranno loro. Gli abbiamo anche dato tre o quattro immagini, perché tre o quattro amici riprendevano intanto tutta la cerimonia sicché [(e) perciò / quindi] quella scena è rimasta sul Dvd. Lui e Milena, lui e Semeraro, lui e papà, lui e Casimiro, da diverse angolazioni (Carlo Fruttero, Donne informate sui fatti, Milano, Mondadori, 2006 [200711], p. 86)
Oltre che nella scrittura saggistica e nella prosa narrativa letteraria, nell’italiano contemporaneo sicché si trova anche nell’oralità colta, sempre di registro alto ma un po’ meno formale: lo usavano ad esempio di frequente in “Passepartout”, programma culturale in onda fino almeno al primo decennio di questo secolo in replica su RAI3 la domenica alle 13.30 circa, Antonio Paolucci, nativo di Rimini ma vissuto a lungo a Firenze, dove ha lavorato all’Opificio delle pietre dure, alla Soprintendenza ai beni artistici e storici e alla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Toscana, e Philippe Daverio, alsaziano di origine ma “milanese” dal 1968, anch’egli personaggio piuttosto snob.
Questo “profumo” e “sapore” forse eccessivamente alto e letterario, che caratterizza l’uso di sicché nell’italiano contemporaneo, è invece totalmente assente dall’italiano parlato in Toscana, che deborda però anche al di fuori dei confini regionali, come nella parte romagnola della Romagna toscana (“area di cerniera […] tra Romagna e Toscana”; Sirianni 2001, p. 434) costituita da numerosi comuni della Provincia di Forlì-Cesena (cfr. Rombai e Pinzani 2001, p. 3): ad esempio in un bar di Tredozio mi è capitato di sentire un salumiere dichiarare “Questo cliente voleva tre chili di carne secca ma ne avevo rimasto solo due, sicché [(e) così / perciò] non ho potuto dargliene di più…”, dove nell’italiano “tracimano” caratteristiche tipicamente toscane (carne secca per ‘pancetta’; Sirianni 2001, p. 433) e romagnole (l’uso di avere + rimasto invariabile).
Nell’italiano parlato appunto in Toscana (ma non solo) sicché viene utilizzato in modo del tutto naturale nell’oralità spontanea, quotidiana, sia nell’italiano regionale di registro medio che in quello più informale e “rilassato”, che lascia spazio alle specificità fonetiche e morfologiche più tipicamente locali (per i quattro esempi seguenti, trascritti ortograficamente, ringrazio Annalisa S. ed i suoi amici, tutti livornesi):
Stamani sono andata in banca ma era già chiusa, sicché [perciò / così] oggi mi tocca tornarci…
Ieri c’era ’r giro d’Italia a Livorno, sicché [perciò / così] hanno ’iuso mezza città e so’ rimasto bloccato ’n’ora in via della Meridiana!
Oltre a trovarsi come connettore tra due frasi enunciate da un solo parlante, come nei due esempi precedenti, sempre nell’italiano parlato in Toscana sicché può collegare il turno dialogico di un interlocutore a quello che lo precede, ed essere anche utilizzato per formulare (o introdurre, come accadeva anche nel dialogo letterario dello scrittore senese Federigo Tozzi e nel più recente brano di Vasco Pratolini riportati nei due esempi successivi) una domanda cui segue poi la risposta ancora ‘aperta’ da sicché:
Parlante A: Ieri sono andato al mare
Parlante B: Ah, sicché [(e) così / allora] ieri sei stato al mare?
Parlante A: Oh ciao bella! Cosa avete fatto poi ieri sera?
Parlante B: S’è provato a anda’ all’Astragalo ma ’un c’era n’anima
Parlante A: Sicché [E così / allora]?
Parlante B: Deh! Sicché [E così / allora] siamo venuti via subito
– Lo pagherò con i denari che mi sono restati della cambiale.
La matrigna doventò pallida; e disse, quasi senza voce:
– Se non ce ne hai altri!
– Mi debbono bastare per pagare i diritti di successione, le tasse e gli assalariati ogni mese. Più, ci sono le spese di casa.
– Sicché [(E) Così / Allora], hai fatto la cambiale?
– Glielo avevo detto.
– Lo so che me l’avevi detto. Ma credevo che tu avessi rimediato. (Federigo Tozzi, Il podere, Milano, Treves, 1921 [postumo]; poi Vicenza, Arnoldo Mondadori Editore, 1987, cap. XVII; da BiBit)
Ha avuto un sussulto, come di angoscia e come di gioia: “Sicché [(E) Così / Allora] è stata lei, signora, a disfarsene, a ordinarle di fidanzarsi e di sposarsi al più presto possibile?” (Vasco Pratolini, Lo scialo, Milano, Mondadori, 1960, p. 504; cit. in GDLI s.v.)
E ancora nell’italiano parlato in Toscana, dove la forma si rivela più “vitale”, sicché può anche combinarsi con e, mostrando così di non essere una congiunzione coordinante – come invece e, o / oppure e ma, che in quanto tali non possono combinarsi tra di loro – ma un “avverbio di collegamento” (Prandi 2007) come ad esempio perciò (Ha fatto il suo dovere e perciò sarà premiato; Vocabolario Treccani online s.v. perciò): il primo dei due esempi seguenti è del “toscanaccio” Roberto Benigni, tratto da un’intervista in diretta al TG1 delle h. 20.00 di lunedì 22 ottobre 2012, mentre il secondo appartiene all’esibita simulazione del parlato colloquiale che caratterizza la voce dei personaggi dei racconti del giallista-umorista pisano Marco Malvaldi, in particolare di Massimo Viviani, il “barrista” gestore del BarLume nell’immaginaria cittadina toscana di Pineta, sulla riviera tirrenica, e dei quattro pensionati-investigatori suoi clienti fissi.
Allora, il 17 dicembre, che è un lune[dì], siamo in periodo natalizio, no? E sicché [perciò / così / allora] bisogna volersi bene, lo sappiamo, no? no? eh? (Roberto Benigni ospite al TG1; consultato giovedì 19/1/ 2023 h. 12.10)
“Vedi, se non c’ero io te eri sempre lì a ragionare. E invece t’ho fornito un indizio vitale. E sicché [così / allora] la pelle era rossa per via del piombo?” (Marco Malvaldi, Azione e reazione, in Andrea Camilleri, Gian Mauro Costa, Alicia Giménez-Bartlett, Marco Malvaldi, Antonio Manzini e Francesco Recami, Ferragosto in giallo, Palermo, Sellerio, 2013, pp. 51-88: p. 86)
Nota bibliografica: