Consulenza linguistica

Si possono capitalizzare le lettere?

  • Claudio Marazzini
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2023.29094

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Copyright: © 2023 Accademia della Crusca


Quesito:

Alcuni lettori, che ci scrivono per chiedere se sia il caso di usare o meno la maiuscola per i nomi geografici, usano il verbo capitalizzare per ‘scrivere in maiuscolo’; un altro lettore domanda se sia lecito l’uso di capitalizzare e anche del sostantivo capitalizzazione per ‘resa grafica in maiuscolo’ detto di nomi o lettere.

Si possono capitalizzare le lettere?

Sono giunte diverse domande sull’uso della grafia con lettera maiuscola in alcuni casi particolari, con i nomi geografici e con le parole legate da un trattino; ma, prima di rispondere a questi quesiti, occorre discorrere un momento del verbo che è stato utilizzato più volte disinvoltamente e senza ombra di dubbio da coloro che si sono rivolti alla Consulenza di Crusca. Costoro hanno adoperato il verbo capitalizzare nel significato di ‘scrivere con la lettera o le lettere maiuscole’.

La lessicografia italiana, a partire dai grandi dizionari dell’Ottocento, attribuisce a capitalizzare esclusivamente un significato ben diverso: “Ridurre a capitale, o Far capitale della rendita o dei frutti accumulati”, “Assegnare a una rendita il corrispondente capitale, computandola a un tanto per cento”. Così la quinta Crusca (1863-1923). Più o meno la stessa risposta si ricava dal Tommaseo-Bellini, e, passando al Novecento, dal Vocabolario Treccani di Aldo Duro, fino all’edizione 2022 e al liberalissimo GRADIT di Tullio De Mauro. Il verbo capitalizzare, la cui origine viene suggerita nel francese capitaliser, appare tradizionalmente connesso solo al concetto di capitale in senso economico, e i derivati, capitalizzabile, capitalizzazione, ricapitalizzare, ne conservano il significato, ristretto all'ambito tecnico della finanza.

Da quando si usa il verbo capitalizzare nel significato economico-finanziario? Il GRADIT indica la data del 1819 per la prima attestazione italiana e suggerisce il confronto con l’attestazione francese del 1770: tale confronto fa appunto pensare che si tratti di francesismo, stante la priorità cronologica del francese. Si può però immediatamente retrodatare il termine italiano, portandolo dal 1819 (o dal 1821, la data indicata nello Zingarelli 2024, o 1829, la data indicata dal DELI) al 1797, come attesta ora la preziosa raccolta di retrodatazioni ArchiDATA della Crusca. Siamo comunque sempre legati a una data più recente rispetto all’attestazione francese.

Il significato presente nelle domande dei lettori, “capitalizzare = scrivere con lettera maiuscola”, non ha nulla che fare con l’economia, ed è (c’era ben da immaginarlo, visto che di lì arrivano quasi tutte le novità dell’italiano contemporaneo) un anglismo. L’Oxford English Dictionary, versione per telefonino, pone al 4° posto, dopo i primi tre significati “storici” di natura economica, l’accezione che ci interessa, ora penetrata anche in italiano: “capitalize [with object] write or print (o word or letter) in capitals letters […] begin (o word) with a capital letter”.

L’anglismo non è registrato nei dizionari dell’uso recenti, come il Devoto-Oli in rete (ultimo controllo 19/10/2023) e lo Zingarelli 2024, ed è sfuggito anche ai cacciatori di neologismi. Non lo si trova nelle liste della Crusca, e nemmeno in quelle del sito Treccani. È passato inavvertito, forse perché non si riferisce a qualche novità tecnologica o a usi e costumi stravaganti. È scivolato nella lingua silenziosamente, e si è collocato in un posticino ben protetto, infiltrandosi nel linguaggio dell’informatica, per esempio nei manuali di programmazione e nei libri che insegnano a scrivere e confezionare libri digitali. Ma di qui è passato anche all’uso tecnico dei filologi e letterati (cfr. per esempio Massimo Prada, La lingua dell’epistolario volgare di Pietro Bembo, Genova, Name Centro Editoriale Italiano Telematico, 2000, p. 92: “[…] viene capitalizzato un relativo che è collegato con un antecedente piuttosto lontano nel periodo”). Dobbiamo ammettere che per ora quest’uso di capitalizzare resta comunque piuttosto raro, e tuttavia è emerso nelle domande poste alla Consulenza di Crusca.

Detto ciò, rispondiamo alla questione relativa all’uso del maiuscolo con i nomi geografici, quando i toponimi sono accompagnati da un nome comune. Secondo la grammatica di Serianni-Castelvecchi (Serianni 1988) non è obbligatorio “capitalizzare” Monte Bianco e Golfo di Gaeta, così come Corso Garibaldi: secondo quell’autorevole grammatica si può scrivere anche monte Bianco, golfo di Gaeta, corso Garibaldi. Tuttavia, preso atto che esiste questa discrezionalità, mi permetto di esprimere la mia preferenza per la forma con la maiuscola, perché in questi casi l’indicazione geografica si proietta sul nome comune, traendolo a sé, e trasformandolo in una denominazione toponomastica ufficiale. Quanto all’esempio citato da un altro lettore, “Marco Che Mangia La Mela”, o “Marco Ha Un Lavoro Part-Time”, quelle maiuscole mi paiono senza senso: non si capisce a quale “prassi” si riferisca chi ha posto la domanda. Ricordiamo che la maiuscola si usa con certezza in inizio di frase e con i nomi propri, e non c’è motivo di eccedere, anche se è ammessa una certa discrezionalità per le forme di rispetto, per esempio per i titoli di studio o onorifici. L’italiano moderno è comunque più parco nell’uso delle maiuscole rispetto ad altre lingue, per esempio l’inglese. Per gli etnici, l’aureo libro di Crusca Giusto, sbagliato, dipende suggerisce quanto segue: “[…] limitare l’uso della maiuscola ai casi in cui l’etnico, con valore esclusivamente nominale, indica la popolazione dello Stato nel suo complesso (e in contesti particolarmente formali) e […] evitarla decisamente nell’uso aggettivale, nonostante qui si registri una tendenza a usare l’iniziale maiuscola, favorita dal modello dell’inglese” (p. 116).

Un terzo lettore, infine, mostra imbarazzo di fronte al termine capitalizzazione, utilizzato come derivato di capitalizzare nel senso che ci è giunto dall’inglese: certo ha ragione. Andrebbe altrettanto bene usare una perifrasi, come “scrivere in lettere maiuscole”, visto che non possiamo inventarci un maiuscolare che sarebbe anche peggiore di capitalizzare. Non me la sento tuttavia di condannare capitalizzare e capitalizzazione, che pur preferirei non usare. Infatti devo ammettere che anche il significato più antico e tradizionale, quello economico, già derivava da una lingua straniera (il francese, come abbiamo visto). Siamo dunque all’interno di uno scambio europeo di cultura: prima il francese, ora l’inglese. Inoltre la lingua inglese, che possiede sia il significato “economico” sia quello “grafico” di to capitalize, dimostra con il proprio esempio che l’eventuale ambiguità tra i vari significati può essere superata facilmente mediante il contesto. Non dimentichiamo che il significato “grafico” di capitalizzare poggia sul latino littera capitalis, termine tecnico della paleografia, che significa appunto ‘lettera maiuscola’, tanto è vero che i dizionari italiani già registrano da tempo Lettera capitale e Scrittura capitale, da caput, che è in questo caso l’inizio del libro, come dire il suo “capo”. Nel 1921, il paleografo Luigi Schiaparelli scriveva: “adoperiamo il vocabolo capitale col significato acquisito ormai in Paleografia per designare l’alfabeto maiuscolo di tipo epigrafico, in contrapposto all’onciale, dalle forme rotonde" (La scrittura latina nell’età Romana, Como, Tip. Ostinelli, 1921, p. 8). La scrittura in lettere capitali veniva definita nel Cinque-Seicento in forma più vivace (lo attesta la Crusca del 1612) come quella a “lettere di scatole (o di scatola)”, perché era grande e chiara, e usata sulle scatole dei farmacisti per indicarne con sicurezza il contenuto. Lettera di scatola ha un bell’andamento adatto alla lingua d’uso, ma non può produrre il verbo scatolare, e difficilmente avrebbe fortuna un pur legittimo scatolizzare. Un’alternativa potrebbe essere alzare per inserire la maiuscola (e abbassare per toglierla) usato in certe redazioni, come ricorda il nostro Presidente Paolo D’Achille, che ha un’esperienza in Treccani. In questo caso, però, ci potrebbe essere un rischio di confusione rispetto allo spostamento in alto o in basso di un rigo, o rispetto al cambiamento di corpo del carattere. Quindi, o usiamo una perifrasi, “scrivere in lettere maiuscole”, o accettiamo che l’inglese ci suggerisca capitalizzare, peraltro coerente con la nostra tradizione paleografica.


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