DOI 10.35948/2532-9006/2023.28998
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Un lettore ci ci scrive per avere chiarimenti intorno al valore della frase introdotta dalla sequenza se non in “Mario è uno dei migliori, se non il migliore, alunni della nostra classe”.
Domanda molto interessante e acuta quella del lettore. Alla sua richiesta specifica, se è negativo o affermativo, nel suo esempio, il valore della frase introdotta da se, si potrebbe brevemente rispondere che è (ovviamente, dato il non) negativo, perché questa frase nega un dato affermato nell’altra, ancorché, come vedremo, non del tutto incompatibile con esso. Tuttavia, è meglio approfondire la questione.
Cominciamo col dire che la frase introdotta da se non è un’incidentale, anche se tale può apparire a causa della sua spostabilità (prima o dopo l’altra), ma è parte integrante del ragionamento espresso dal periodo, esattamente come lo è la protasi di un periodo ipotetico, che è necessaria all’apodosi ed è anch’essa di libera collocazione (“se venisse, lo vedrebbe”/ “lo vedrebbe, se venisse”). Siamo, in effetti, di fronte a una frase complessa, non lontana dal periodo ipotetico, in cui due frasi sono strettamente annodate l’una all’altra. Anche qui abbiamo una subordinata che enuncia una condizione (protasi, nel periodo ipotetico) che delimita il raggio di validità dell’informazione portante (apodosi). Ma nella protasi del nostro caso, diversamente da quella di un periodo ipotetico, che condiziona fortemente l’apodosi (“se non piove, parto” significa che l’affermazione “parto” è valida solo a condizione che sia valida la negazione “non piove”), “si enuncia un fatto la cui verità non condiziona né toglie peso a quella esposta nell’apodosi” (DISC); lo limita, ma, in un certo senso, anche lo rafforza.
Poiché, nell’esempio del lettore che riporto con minime modifiche, “Mario è uno dei migliori, se non il migliore alunno della sua classe”, l’ipotesi di verità (nella subordinata) di un fatto (“se non [è] il migliore”) è data in forma negativa, dobbiamo precisare che essa enuncia un’informazione la cui negazione non toglie valore a quanto affermato nella principale (“è uno dei migliori”); semmai ne aggiunge. Per questo, per seguire la domanda del lettore, dire “Mario è uno dei migliori, se non il migliore, alunno della sua classe” è identico (seguo sempre il nostro lettore) a dire “Mario è, se non il migliore, uno dei migliori alunni della sua classe”: cioè, non sarà, forse, il migliore, ma è tra i migliori. L’altra ipotesi del lettore (“Mario è uno dei migliori, se non addirittura il migliore alunno della sua classe”), in realtà, è solo apparentemente opposta all’altra, perché ripropone lo stesso ragionamento, ancorché da un punto di vista leggermente diverso (nel primo caso non si vuole eccedere nelle lodi di Mario, nel secondo si lascia capire che le merita tutte). Ma la struttura sintattica e argomentativa è la stessa: il dato negato nella subordinata (“se non… il migliore”) non impedisce la sua affermazione nella reggente (“è uno dei migliori”), affermazione che resta sì limitata dalla forma negativa della secondaria, ma intensificata da addirittura, che ne corregge la portata negativa e ribadisce e rafforza il valore (positivo) dell’enunciato principale, attenuandone il tratto limitativo.
A questo punto è il caso di chiederci di fronte a quale tipo di costrutto ci troviamo in un caso del genere, oltretutto molto comune. Se la somiglianza sintattica col periodo ipotetico è indubbia, dal punto di vista semantico emerge piuttosto, nella frase introdotta da se, un valore concessivo (“Mario, sebbene/ammesso che non sia/anche se non è il migliore, è uno dei migliori alunni della sua classe”): Francesco Sabatini lo definisce “concessivo-ipotetico”. I valori semantici non sono mai sezionabili col coltello; slittano uno nell’altro e nel nostro caso il tratto ipotetico e quello concessivo sono molto vicini e sovrapposti. Inoltre, la concessione è qui fatta in negativo, come quando la introduciamo con la lunga locuzione congiunzionale ammesso e non concesso che, con cui ne esponiamo (ammesso) una e subito la neghiamo (non concesso). Con il tramite del se ce la caviamo più rapidamente e meno tortuosamente e in modo non meno corretto, evitando ellitticamente lunghi giri di frase e parole, tipo “Mario, sebbene io non possa/non osi dire che è il migliore della classe, è sicuramente uno dei migliori”. Il cumulo di tratto ipotetico e tratto concessivo (sia pure, in questo caso, negato) fa della congiunzione se un efficiente e semplice introduttore del nostro pensiero. Naturalmente il se ipotetico-concessivo può funzionare anche con protasi affermativa (“Mario, se è il migliore della classe, è anche il più educato”), ma quella negativa è più comune, preferita per la sua rapida funzionalità.
Resta da dire qualcosa sull’impressione di frase incidentale riportata dal nostro lettore, tutt’altro che ingiustificata. È probabilmente dovuta ad almeno tre ragioni: la prima, come già detto, è la totale libertà di collocazione della frase (ma abbiamo visto che, sia pure solo in parte, è caratteristica comune anche alle protasi del periodo ipotetico, che, a dispetto del loro nome, possono stare anche dopo l’apodosi) che la avvicina allo statuto delle incidentali. La seconda ragione è che si trova tra due virgole, come le frasi incidentali. La terza si deve, credo, alla somiglianza della subordinata con frasi condizionali che introducono ipotesi puramente formali, di circostanza, e riguardano più l’enunciazione che l’enunciato, più il modo con cui si dice una cosa o la persona che la dice che la cosa stessa, come nei frequenti “se non sbaglio/ se ho ben capito/ se dico bene” che costellano, spostabili a piacimento, i nostri discorsi. Ma nel caso avanzato dal lettore l’ipotesi-concessione non vale tanto (o solo) ai fini del modo dell’enunciazione, ma anche e soprattutto a quelli del suo contenuto informativo, che ne risulta potenziato, apportando, in sostanza, più un’informazione che un giudizio. Ovvero, se vogliamo, qui la comunicazione usa l’astuzia di far passare per un’informazione (“Mario è il migliore della classe”) quello che, in realtà, è un giudizio del parlante, magari un genitore interessato, che non vuole esagerare con le lodi del figlio (“se non è il migliore”), ma crede che le meriti davvero tutte.