Consulenza linguistica

Questa riposta non è un pro forma

  • Miriam Di Carlo
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2025.36446

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Copyright: © 2025 Accademia della Crusca


Quesito:

Molte sono le domande arrivate alla redazione riguardanti la locuzione pro forma: numerose chiedono delucidazioni sul genere, alcune quale sia la funzione grammaticale, altre ancora quale sia la grafia corretta da utilizzare.

Questa riposta non è un pro forma

Per affrontare la questione del genere e della funzione grammaticale della locuzione latina pro forma, dobbiamo almeno accennare al concetto di latinismo. In una recente risposta (a cui rimandiamo Un “campione” classico: specimen), Riccardo Gualdo ha parlato delle componenti latine all’interno del lessico italiano distinguendo tra parole provenienti dal latino per via popolare, parole provenienti dal latino per via dotta o semidotta e latinismi integrali o crudi. Come sappiamo, l’italiano è una lingua romanza, ossia derivante dal latino, ma non tutto il lessico italiano deriva dal latino: infatti molte parole sono forestierismi provenienti da altre lingue ad altezze temporali diverse, fin dalle Origini. La componente latina del lessico italiano va relativizzata: infatti, stando a una prima ricerca linguistica condotta alla fine degli anni ’90 (Thornton-Iacobini 1997), i lessemi riconducibili al latino costituirebbero il 52,2% di tutto il lessico italiano; successivamente, nel 2002, Luca Lorenzetti, attraverso una ricerca condotta sul GRADIT, ha riconosciuto che soltanto il 10,38% del lessico italiano ha origine latina, “rilevando però che la componente latina detiene la maggioranza assoluta nelle voci attestate dalle origini fino al sec. XIII” (cfr. D’Achille 2019, p. 67; Lorenzetti 2002).

Oltre alle parole derivate dal latino per via popolare e per via dotta (con più o meno vistosi adattamenti fono-morfologici; cfr. Ricci 2023, p. 128), vi sono latinismi la cui veste morfologica è rimasta invariata e non si è adattata a quella italiana: li potremmo chiamare forestierismi integrali, ma visto che il latino non può essere considerata una lingua forestiera (semmai autoctona), sono denominati, come si è detto, latinismi integrali o crudi (sul “latino nudo e crudo”, cfr. almeno Trifone 2023, pp. 103-114, e sui latinismi in generale la sintesi in Trifone 2024, pp. 11-18). Fanno parte di questa categoria tutte le parole e le locuzioni che mantengono la veste latina originaria, come ad esempio referendum (che però ha cambiato categoria e significato), a priori, a posteriori, e vere e proprie frasi (spesso ellittiche) come lupus in fabula, in medias res. Molte di queste fanno parte di lessici specialistici, in particolare del diritto (es. bona fide vero, habeas corpus) e della medicina (es. angina pectoris).

Alla categoria dei latinismi integrali appartiene pro forma, locuzione latina formata dalla preposizione prō ‘a favore di’ (dal significato di ‘davanti’; sui valori di pro in italiano cfr. la risposta di Giuseppe Patota Si può essere pro a qualcosa?), e formā, ablativo singolare del nome femminile fōrmă, -ae ‘forma, aspetto; bellezza’ (l’Etimologico). La locuzione ha differenti funzioni grammaticali, tra cui anzitutto quella avverbiale con il significato di ‘per pura formalità, per salvare le apparenze’ derivante dall’accezione burocratica di ‘forma prescritta dalla legge’, passato poi a quello di “per rispetto delle convenienze e delle convenzioni sociali” (cfr. GDLI e GRADIT), come in questi esempi:

Ma Spalletti non s’era assunto la paternità del provvedimento (limitandosi pro forma a condividerlo) e i senatori dello spogliatoio l’avevano preso malissimo, chiedendo al tecnico di intercedere contro la punizione. (Marco Azzi, De Laurentiis desiste, niente ritiro ma il Napoli non può sbagliare più, “la Repubblica”, sez. Sport, 26/4/2022, p. 13)

Tutto questo, se passa la riforma Casellati, non lo potrà più fare, se non pro forma. (Giovanna Vitale, s.t., “la Repubblica”, sez. Politica, 21/10/2023, p. 4)

Nella maggior parte dei casi, la locuzione è aggettivo invariabile con il significato di “che ha valore puramente formale convenzionale” (GRADIT). La maggior parte delle attestazioni di pro forma con funzione aggettivale nell’archivio della “Repubblica” riguarda l’àmbito dell’economia: i dati pro forma, bilancio pro forma, fatturato pro forma. Troviamo alcuni esempi interessanti in cui pro forma è complemento predicativo del soggetto, e che dunque confermano la funzione aggettivale della locuzione:

Secondo alcune fonti Rai ben informate, la mail che confermava la presenza dello scrittore era stata spedita pro forma nella speranza di sbloccare la situazione senza provocare incidenti [...]. (Giovanna Vitale, Caso Scurati, il documento che smentisce la Rai: “Contratto annullato per motivi editoriali”, repubblica.it, sez. Politica, 20/4/2024)

La funzione aggettivale di pro forma è evidente anche nella locuzione fattura pro forma, registrata nella maggior parte dei dizionari italiani, ma con due significati leggermente differenti: per il GDLI è “quella compilata non perché il compratore ne paghi l’importo, ma per esigenze formali, per regolarizzare, dal punto di vista della documentazione, una situazione contabile o fiscale”, mentre per il GRADIT, nel linguaggio specialistico del commercio, è la fattura che contiene “il conteggio completo di costo e spese inviato da una ditta a un supposto compratore per dargli l’esatta visione del prezzo unitario o complessivo della merce, rapportato al luogo di destinazione e alla moneta di pagamento”. Probabilmente anche il significato del GRADIT fa riferimento, per quanto non esplicitamente, alla pura formalità che regola la compilazione di questo tipo di documento fiscale.

Infine la locuzione può avere anche la funzione di sostantivo con il significato di ‘formalità, atto o comportamento convenzionale’; infatti tutti abbiamo sentito spesso dire “è un pro forma” per significare ‘è una formalità’. Come accennava un nostro lettore, non tutti i dizionari riportano questa funzione: il Devoto-Oli non la registra, limitandosi solo a quella avverbiale e aggettivale, mentre altri la riportano come terza funzione, perché nata probabilmente in tempi più recenti. Anche l’uso sostantivale di pro forma è ben attestato nei quotidiani:

Il congresso di Parigi il 7 febbraio, a questo punto, non sarà un pro forma anche se non pare in dubbio l’approvazione delle modifiche in questione [...]. (Ma Boban lascia e accusa “Problemi etici e morali il calcio merita altro”, “la Repubblica”, sez. Sport, 26/1/2024, p. 34)

L’appuntamento sembra essere destinato ad avere i contorni di un pro forma per Amadeus che ormai sembra orientato nella sua scelta, anche se Rossi ha fatto sapere di volere far di tutto per trattenere il conduttore, anche un importante rilancio economico. (Renato Franco, Pressioni su Sanremo (e non solo). Perché Amadeus vuole lasciare la Rai, “Corriere della Sera”, sez. Spettacoli, 12/4/2023, p. 41)

La questione della funzione sostantivale di pro forma pone il problema del genere grammaticale, che, in tutti i dizionari, è il maschile. Anche le occorrenze rilevate in Internet, sia nei quotidiani online, sia nel corpus di Google libri, nonché in vari siti, confermano il genere maschile: nelle pagine in italiano di Google “un pro forma” restituisce 18.200 risultati, mentre “una pro forma” solamente 2.880. Quest’ultimo dato, però, ci conferma che c’è qualche incertezza nell’attribuzione del genere, confermata dalle numerose domande dei nostri lettori. L’incertezza è motivata dal fatto che la testa della locuzione (ossia la parola che ne porta i valori semantici e funzionali) è forma, femminile sia in latino sia in italiano, al cui genere l’intera locuzione si dovrebbe accordare. In realtà la questione non va affrontata come se pro forma fosse un composto italiano, ma considerando che la locuzione è, al pari dei forestierismi, un’unità indeclinabile, ossia invariabile, con caratteristiche non prototipiche dei nomi. Infatti essa rientrerebbe in quella che Corbett chiama la categoria dei “non-prototypical controllers”, cioè tutti quegli elementi particolari che non rispondono perfettamente alla classe del nome (come ad esempio frasi all’infinito, citazioni – quelle chiamate da Bruno Migliorini “nomi cartellino” –, interiezioni, frasi citate, frasi nominali ecc.; Corbett 1991, pp. 204-205). A questo proposito Anna M. Thornton ha rilevato che nel caso dell’italiano questi “controllori non prototipici” assumono di solito il genere di default della lingua in cui nascono (o sono accolti), che in italiano è, per l’appunto, il maschile (Thornton 2003). Basti pensare a nulla osta, che presenta una morfologia che farebbe pensare al femminile, ma che in italiano è di genere maschile (cfr. la risposta di Paolo D’Achille). Un caso analogo a pro forma è senz’altro pro memoria, anch’esso formato dalla stessa preposizione latina e da un sostantivo femminile appartenente alla prima declinazione latina, e femminile anche in italiano: anch’esso è maschile, sebbene Vincenzo Monti nelle sue lettere lo utilizzasse spesso al femminile (Ricci 2023, pp. 141-142). Il genere maschile di pro forma si spiega anche col fatto che, in ambito finanziario, pro forma era usato come aggettivo di bilancio, ossia prima che passasse, per un procedimento di ellissi del sostantivo di riferimento, a nome esso stesso: da “il bilancio pro forma” a “il pro forma”:

Nei limitati casi in cui la ricostruzione del pro forma non fosse possibile, sembra comunque necessario che nel bilancio siano indicate le ragioni di tale impossibilità. (Carla Tiboldo, Manuale del commercialista, Milano, Gruppo 24 Ore, 2012, p. 424)

Tuttavia, rispetto a un bilancio consuntivo, frutto della contabilità generale, il bilancio pro-forma risulta necessariamente più essenziale, esprimendo solo le principali grandezze economico-finanziarie derivanti dalla gestione. [...] Oltre che un modello rappresentativo del funzionamento aziendale, la costruzione del pro-forma presuppone l’impiego del ricco apparato informativo raccolto nelle prima fasi dell’analisi fondamentale. (Francesco Giunta, Michele Pisani, L’analisi del bilancio, Santarcangelo di Romagna (RN), Maggioli, 2016, p. 729)

Nei pochi casi in cui pro forma ricorre al femminile, la locuzione ha subìto questo stesso processo ellittico appena descritto, ossia da aggettivo associato a un sostantivo femminile è passato a nome femminile con lo stesso significato del sostantivo a cui precedentemente si riferiva (ad es., in àmbito finanziario, la fattura pro forma > la pro forma):

Tuttavia, per evitare errori e eliminare ogni dubbio sulla fatturazione, è bene precisare che questo modello non corrisponde a quello di una fattura proforma poiché questi due documenti hanno una diversa finalità e uso e variano in alcuni elementi. [...] Inoltre, per quanto riguarda le caratteristiche di questo documento: - non è obbligatorio numerare le pro forma. [...] - la data della pro forma può essere diversa da quella di emissione della fattura ordinaria. (Modello di fattura pro forma e modello di fattura: differenze, debitoor.it, 18/9/2017)

Passiamo ora alla questione della grafia, che si pone anche per pro memoria, scritta univerbata e declinata al femminile da Vincenzo Monti (“una promemoria”). Di solito è la scrittura unita che rende una locuzione latina più italiana (Ricci 2023, p. 142): basti pensare a viceversa, che ormai quasi non viene più scritto vice versa. Gli unici dizionari che riportano la variante univerbata proforma sono il GDLI e lo Zingarelli 2025, che la indicano come antiquata e minoritaria; in realtà possiamo trovarne molte occorrenze in rete. Proforma univerbato, però, corrisponderebbe – nel GRADIT e nel Supplemento 2004 al GDLI –, oltre che a una variante di basso uso della locuzione, a un’altra entrata lessicale relativamente recente (datata dal GRADIT al 1974), derivante dalla stessa locuzione latina e con due significati propri dei linguaggi specialistici della linguistica e della grammatica (“nella linguistica testuale, espressione sostitutiva di un’altra” e “in grammatica e sintassi, elemento pronominale che sostituisce un costituente della frase”). Le attestazioni che rileviamo in rete non riguardano però il termine appena descritto, bensì sono la variante univerbata della locuzione latina:

Il complesso che ne risulta registra un fatturato proforma 2023 di circa 40 milioni, un valore aggregato di produzione della rete consortile di circa 420 milioni e 60 milioni di capitali raccolti. (Marco Sabella, Harmonic Innovation group, polo da 40 milioni, “Corriere della Sera”, sez. Economia, 2/6/2024, p. 29)

Il Cio spinge per più presenza femminile, alcuni circuiti internazionali hanno inserito nel regolamento quote rosa, ma spesso sono un proforma, le donne vengono messe in barca solo nei giorni di allenamento in regate quando non c’è vento e in ruoli marginali. (Emanuela Audisio, Caterina Banti un anno dopo l’oro: “Tokyo occasione sprecata, il mondo della vela resta maschilista. Sono delusa”, repubblica.it, sez. Sport, 2/8/2022)

Nei casi in cui pro forma viene scritto univerbato, gli scriventi percepiscono la locuzione come un’unica parola: è perciò il caso di accennare almeno al problema dell’accentazione. Sulla pronuncia in italiano di pro forma i dizionari non concordano: il GDLI riporta l’accentazione per la sola forma antiquata univerbata profòrma, il GRADIT rileva che la o di pro è aperta ma segnala l’accento solo per fòrma (sempre con o aperta), così come anche il Devoto-Oli. Il DOP Dizionario di Ortografia e Pronunzia propone l’accento tonico solo per forma, e sia la o di pro che quella di forma vengano pronunciate come aperte nella locuzione latina, mentre la prima aperta e la seconda chiusa in quella italiana. Lo Zingarelli 2025 riporta pro con o aperta e forma con o chiusa: prò fόrma. Se prò ha la vocale aperta, esso rientrerebbe tra i monosillabi tonici (cioè accentati) e dunque sia prò che fόrma corrisponderebbero a due parole fonologiche distinte, segnalate anche graficamente. Se invece la pronuncia, come spesso si sente, prevede la o di pro chiusa, si potrebbe pensare anche a un’unica parola, il cui accento fonologico è solo quello di fórma. Per ora, l’uso della locuzione ci dice quale sia la soluzione più diffusa, ossia quella non univerbata, che può contemplare la pronuncia di pro tanto aperta quanto chiusa.

Infine, una precisazione: tutti i dizionari sono concordi nel ricondurre l’origine della parola direttamente al latino, senza alcuna mediazione, come se il materiale linguistico latino fosse stato preso e riportato nell’italiano del Cinquecento, quando la locuzione comincia ad affiorare nei testi in italiano, spesso virgolettata:

Per le persuasioni di Cosimo, sua parte e seguaci, fummo esortati dessimo ’l catasto ‘pro forma’ (Cronichetta volterrana di autore anonimo dal 1362 al 1478, in “Archivio storico italiano”, Appendice, tomo III, n. 14, Firenze, 1846, p. 320)

I maligni vanno seminando...che vostra Altezza tiene qui i ministri ‘pro forma’ e si cura poco di oro e manco dei negozi che trattano. (Pomponio Torelli [Parma, 1539-1608], Movimenti dell’animo. Romanzo filosofico, a cura di Luigi Vignali, Parma, Università di Parma, 1983, p. 162)

Stando all’indicazione del DELI, la locuzione sarebbe uno xenolatinismo, ossia un latinismo nato in un’altra lingua (in questo caso l’inglese, cfr. Trifone 2019, p. 158), dalla quale è stato poi preso in prestito in italiano: secondo il dizionario nascerebbe da pro forma tantum attestato nei testi in lingua inglese verso la fine del Cinquecento. Il DELI aggiunge che la locuzione si sarebbe prima diffusa in Francia nel Settecento e poi attraverso il francese sarebbe penetrata in italiano. Attualmente, attraverso Google libri, e grazie al confronto con le citazioni riportate nel GDLI, possiamo ricostruire la storia di pro forma con un po’ più di precisione: infatti le prime attestazioni di pro forma in lingua inglese risalirebbero a fine Quattrocento, confermando che la locuzione nasce in questa lingua. La presenza di pro forma in molti testi del sec. XVI in lingua latina e soprattutto la presenza nelle citazioni del GDLI ci suggeriscono che la locuzione circolava già in italiano nel Cinquecento e che si sia diffusa nella nostra lingua secondo un percorso differente: dall’inglese, che nel sec. XVI non è ancora lingua di prestigio, è passata poi ai testi cancellereschi in latino e da lì poi all’italiano (cfr. anche la lettera di Baldassarre Castiglione ad Aloisia Castiglione del 24 febbraio 1508: “Io in effetto lo rimando a la M. V. A lui ho ditto che ve lo mando per ambasciatore, et holi comisso alcune cose, che credo se le scorderà la mità. Ma de ciò che ’l dirà, la M. V. non li creda niente, che è ditto così pro forma”; Lettere del conte Baldessar Castiglione..., a cura di Pierantonio Serassi, vol. I, Padova, Giuseppe Comino, 1769, p. 35). Infatti è spesso l’inglese il veicolo con cui molti latinismi non adattati sono penetrati in italiano, in quanto lingua che cerca di mantenere più intatta la veste originaria del latino tanto che “l’inglese è, tra le lingue non romanze, quella che maggiormente ha fatto ricorso al latino per la coniazione di nuovi vocaboli, tanto da essere definita la lingua più latinizzata del mondo non neolatino” (Trifone 2019, p. 158).

Nota bibliografica:

  • D’Achille 2019: Paolo D’Achille, L’italiano contemporaneo, Bologna, il Mulino, 2019.
  • Lorenzetti 2002: Luca Lorenzetti, L’italiano contemporaneo, Roma, Carocci, 2002.
  • Migliorini 1973: Bruno Migliorini, I latinismi nel lessico italiano, in Id., Lingua d’oggi e di ieri, Caltanissetta-Roma, S. Sciascia Editore, 1973, pp. 215-226.
  • Ricci 2023: Alessio Ricci, Latinismi, in La vita delle parole, a cura di Giuseppe Antonelli, Bologna, il Mulino, 2023, pp. 125-162.
  • Serianni 2021: Luca Serianni, I latinismi e il dinamismo linguistico, in Id., Parola di Dante, Bologna, il Mulino, 2021, pp. 75-82.
  • Thornton-Iacobini 1997: Anna Maria Thornton, Claudio Iacobini, fonti e stratificazione diacronica del lessico di base italiano, in Italica Matritensia. Atti del IV Congresso SILFI (Madrid 1996), a cura di Maria Teresa Navarro Salazar, Firenze, Cesati, 1997, pp. 493-509.
  • Thornton 2003: Anna M. Thornton, L’assegnazione del genere in italiano, in Actas del XXIII CILFR, Tübingen, a cura di Fernando Sánchez Miret, Tübingen, Niemeyer, 2003, vol. I, pp. 467-481.
  • Trifone 2019: Maurizio Trifone, Dal latino all’italiano: una storia di parole, “International Journal of Linguistics, Philology and Literature”, 10.1/2019, pp. 137-221.
  • Trifone 2023: Maurizio Trifone, L’eredità latina nel lessico italiano, Firenze, Cesati, 2023.
  • Trifone 2024: Maurizio Trifone, «Lo latino è perpetuo». Parole attuali di una lingua antica, Roma, Carocci, 2024.




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