DOI 10.35948/2532-9006/2022.18757
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Ci sono giunti vari quesiti sull’effettiva ammissibilità tanto della forma prezzario quanto delle forme prezziario e preziario per designare il listino dei prezzi; sull’eventuale necessità di preferire una forma alle altre due; nonché su quale ne sia l’etimologia, se si tratti, cioè, di nomi derivati dal singolare prezzo o dal suo plurale, prezzi, considerata la natura del referente come insieme di più prezzi, proposta – quest’ultima – avanzata da un lettore per tentare di spiegare la presenza della i prima della desinenza -ario in prezziario e in preziario.
Sembra opportuno partire proprio dalla questione etimologica. Tanto prezzario, quanto prezziario e preziario sono da considerarsi forme denominali, ricavate cioè da un nome attraverso un processo di derivazione, consistente nell’aggiunta alla forma di partenza di un suffisso, qui rappresentato dalla desinenza -ario. L’aggiunta del suffisso permette di ottenere derivati generalmente accomunati dal valore di base “N che custodisce N2”, riprendendo una formula impiegata a tal proposito da Maurizio Dardano in un suo importante volume del 2009 dedicato alla formazione delle parole. Il nome che si ottiene, infatti, è solitamente adoperato per designare un insieme costituito da un certo numero di quei referenti cui rinvia il sostantivo di partenza: ecco che, ad esempio, un vocabol-ario altro non è se non una raccolta di vocabol-i, come un indirizz-ario lo è di indirizz-i e uno sched-ario lo è di sched-e (e da qui anche l’impiego del termine per designare il mobile che si adopera per contenerle). Si vede bene dagli esempi ora riportati come il suffisso non si leghi né alla forma singolare né a quella plurale del nome che funge da base nella loro interezza, quanto alla radice di quello stesso nome. Venendo a noi, allora, non da prezzo né da prezzi bisognerà partire, bensì da prezz-, da cui prezz-ario, con l’aggiunta della desinenza -ario.
Come rimarcato da Luca Serianni in una sua risposta sulla “Crusca per voi” a proposito dell’alternanza delle forme scadenzario e scadenziario, ci sono comunque eccezioni apparenti rispetto alla normale aggiunta del suffisso -ario alla radice della base, eccezioni apparenti – si diceva – legate all’interferenza di altre lingue: consequenziario, ad esempio, risente del lat. consequentia (e su questa forma si è rifatta anche la variante più italianeggiante conseguenziario), e così penitenziario è modellato sul lat. penitentia, plenipotenziario sul lat. potentia; finanziario risente, invece, della i presente nel francese financier. Ecco, è proprio all’influsso dell’etimo latino pretium ‘costo, valore’ (donde l’italiano prezzo) che bisogna rifarsi per giustificare innanzitutto la forma preziario, da cui prezziario, con z geminata tanto sul modello di prezzo, quanto per resa dell’intensificazione dell’affricata dentale sorda in posizione intervocalica.
È il caso di passare, a questo punto, alla consultazione di alcuni tra i principali dizionari dell’uso relativi alla lingua italiana. Ebbene, tanto il Nuovo De Mauro, quanto il Sabatini-Coletti e il Vocabolario Treccani, nonché il Devoto-Oli 2022 e lo Zingarelli 2022 registrano le forme prezzario e preziario, ma nessuno tra questi include nel proprio lemmario la voce prezziario.
La forma prezzario è presentata in tutte e cinque le opere lessicografiche come un sostantivo maschile con il significato di ‘catalogo di articoli in vendita, ciascuno corredato del proprio prezzo; elenco dei prezzi di servizi, prestazioni professionali e simili’ (riporto la definizione dello Zingarelli 2022), e datata, con l’eccezione del Treccani, che non fornisce informazioni di tal sorta, all’anno 1958.
Quanto a preziario, invece, se è unanime la presentazione della forma come aggettivo con il significato di ‘dei prezzi, relativo ai prezzi’ (riporto la definizione del Nuovo De Mauro), si rinviene nei dizionari sopracitati, tranne che nel Treccani, l’indicazione di un suo possibile impiego anche come sostantivo maschile con un significato analogo a quello di prezzario (di cui preziario costituisce, dunque, secondo la lessicografia, a tutti gli effetti una variante); circa la datazione della forma, i nostri dizionari (sempre con l’eccezione del Treccani) rimandano al 1950.
Diversa è la situazione se si guarda all’uso, quantomeno scritto, delle tre forme considerate. Una prima importante informazione ci viene già dal semplice dato grezzo rappresentato dal numero (certo approssimativo, ma comunque indicativo di una tendenza) delle attestazioni di queste e dei loro plurali restituito dalla consultazione di Google libri: nettamente maggioritaria appare la forma prezzario (con 7.090 occorrenze, cui vanno aggiunte le 2.770 del plurale prezzari), seguita da prezziario (con 2.810 occorrenze, cui sono da sommare le 1.110 del plurale prezziari) e, in ultima posizione, da preziario (con 2.410 occorrenze, cui si aggiungono le 222 del plurale preziari, ma queste ultime due cifre inglobano anche i casi di uso aggettivale delle due forme).
Ancor più esplicita è forse la fotografia di tale andamento data dai grafici riportati di seguito, elaborati da Google Books Ngram Viewer e relativi il primo alle forme singolari e il secondo alle plurali.
Ma Google libri permette anche alcune retrodatazioni rispetto a quanto si legge nei dizionari dell’uso cui si è prima fatto riferimento.
Per prezzario lo scostamento è particolarmente significativo giacché, rispetto al 1958, è possibile risalire più indietro di quasi un secolo grazie all’Italienische und deutsche Handelscorrespondenz mit erklärenden Noten zum Uebersetzen in beiden Sprachen und einer ausführlichen kaufmännischen Terminologie di D. A. Filippi, opera del 1860, che registra la forma in questione nel proprio lemmario definendola come preisliste (‘listino dei prezzi’, appunto).
L’uso aggettivale di preziario, invece, appare retrodatabile di almeno trent’anni rispetto al 1950, nella misura in cui già all’interno degli Studi e proposte della prima sottocommissione presieduta dal sen. Vittorio Scialoja (1920), prodotti dalla “Commissione reale per il dopo guerra”, ne risulta adoperato il femminile singolare; vi si legge, infatti:
Una cosa sola è certa, che vi sono obbligazioni di cui è impossibile l’esecuzione preziaria senza alterarle, e queste sono le indivisibili, e ve ne sono alcune in cui, pur essendo possibile la divisione, questa è esclusa per interpretazione della volontà delle parti.
Un ulteriore riscontro circa l’effettiva validità della tendenza di cui si è detto, a proposito dell’uso delle tre forme considerate, ci viene dalla consultazione dell’archivio di un quotidiano come “la Repubblica”. Nettamente maggioritaria appare, ancora una volta, la forma prezzario (con 233 occorrenze, cui sono da sommare le 70 del plurale prezzari), seguita da prezziario (con 113 occorrenze, cui vanno aggiunte le 26 del plurale prezziari) e, da ultimo, da preziario (con 7 occorrenze, cui si sommano le 2 del plurale preziari, forme – questa volta – tutte con valore sostantivale). Fornisco di seguito i soli contesti contenenti le attestazioni più recenti:
Nel nuovo prezzario si ha la conferma che i costi in tabella sono al netto di Iva, prestazioni professionali etc., mentre nei vecchi conteggi il totale a metro quadro era onnicomprensivo: allora queste spese come vanno conteggiate, in che massimale vanno considerate? (Antonella Donati, Superbonus, quali conseguenze con il nuovo prezzario per i lavori già in corso?, “la Repubblica”, 10/03/2022)
Un aumento medio generalizzato dei costi dell’edilizia che si attesta intorno al 50% e che è dovuto al forte incremento dei valori delle materie prime e dei noleggi delle attrezzature, provocato dall’aumento delle materie prime ma anche dalla forte richiesta del mercato. È questo il dato principale che emerge dal nuovo prezziario regionale 2022, predisposto da Regione Liguria, d’intesa col Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche di Piemonte – Valle d’Aosta – Liguria. (Fabrizio Cerignale, Costi lievitati del 50%. Il nuovo vademecum, “la Repubblica”, 09/02/2022)
Con settanta maiali “bei grassi” (recita un preziario in vicentino doc) si poteva acquistare un arazzo in seta e fili d’oro, come quello venduto a “braccia quadrate” e realizzato su disegno di Andrea Schiavone, altro gigante del Cinquecento, per San Marco a Venezia. (Chiara Gatti, Vicenza 1500: arte e sghei nella factory del Nordest, “la Repubblica”, 06/12/2021)
Quanto sin qui detto ci permette di considerare, in conclusione, prezzario non tanto forma preferibile rispetto alle altre due, quanto come derivato naturale a partire da prezzo (con aggiunta, ripeto, del suffisso -ario alla radice prezz-); l’uso minoritario di preziario si giustifica senz’altro tenendo conto della sua origine più ricercata, in quanto forma ottenuta direttamente dalla base latina pretium ‘costo, valore’ e non dal suo esito italiano; quanto a prezziario, invece, nonostante la sua mancata registrazione all’interno dei dizionari dell’uso presi in considerazione, trattandosi della versione popolareggiante (con resa dell’intensificazione dell’affricata dentale sorda in posizione intervocalica, come si diceva) della forma preziario, il suo diffuso impiego nell’italiano scritto ci sembra basti quantomeno a legittimarne il ricorso, seppur con riserva.
Nota bibliografica