Consulenze linguistiche

Immettibile (o immissibile?): non si può mettere o si può immettere?

  • Davide Ricca
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2022.17741

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Quesito:


Molti lettori hanno chiesto chiarimenti ed espresso dubbi sull’accettabilità di una famiglia di parole, gli aggettivi derivati in -bile a partire da mettere e dai suoi prefissati, e per questi ultimi anche sulla loro forma: dimettibile o dimissibile, trasmettibile o trasmissibile?

Immettibile (o immissibile?): non si può mettere o si può immettere?

Domande di questo tipo sollevano questioni distinte. Diciamo in primo luogo che ‑bile è un suffisso deverbale estremamente produttivo nell’italiano contemporaneo, che si può applicare praticamente a tutti i verbi transitivi V, formando aggettivi col significato di ‘che può essere V-to’. La grande produttività di questo suffisso significa in sostanza che qualunque parlante italiano, preso un verbo transitivo a caso, non ha di solito problemi a formare il relativo aggettivo in ‑bile, quando gli serve, anche senza averlo mai sentito prima, e lo fa senza pensarci troppo su, e normalmente senza far sollevare sopracciglia ai suoi interlocutori. Con suffissi così produttivi (non al 100%, peraltro: *dabile sembra davvero inaccettabile, anche se non darebbe problemi dal punto di vista semantico), le questioni di accettabilità di tipo puristico normalmente hanno poca ragion d’essere; e soprattutto l’accettabilità di una parola non può essere valutata guardando i dizionari: perché i dizionari, proprio in virtù della “regolarità” di queste formazioni, che non danno nell’occhio e spesso non presentano significati diversi da quello automaticamente prevedibile visto sopra, non le registrano tutte come lemmi. Quindi, in particolare, direi che il fatto di non trovare mettibile in molti dizionari (o magari in tutti) non è un ostacolo per affermare che mettibile è una parola italiana ben formata, che si può tranquillamente usare. Probabilmente il suo uso più frequente non è in rapporto col significato più generale di ‘mettere’ (una versione mettibile su Facebook) ma a quello più specifico di ‘indossare’ (un abito mettibile con o senza cinturone); ma questo avviene spesso con le parole derivate, che cioè tendano nell’uso a selezionare un sottoinsieme dei significati della loro base.

Con gli aggettivi in -bile è anche frequente, per ragioni semantiche, che l’aggettivo negativo prefissato con in- sia molto più frequente e naturale del corrispondente positivo: dimenticabile è un po’ strano (se non appunto in contesti negativi: un’esperienza difficilmente dimenticabile), mentre indimenticabile è corrente. Dimenticabile funziona tutt’al più, paradossalmente, come contrario di indimenticabile: un film, una prestazione decisamente dimenticabile. Lo stesso con introvabile, imperdibile, imperturbabile ecc. Qualcosa del genere rileva una lettrice a proposito di immettibile (nel senso di ‘troppo malandato, o fuori moda, per essere indossato’). Il che ci porta alla seconda questione sollevata dai lettori, perché immettibile è ben formato anche in un senso completamente diverso, come derivato di immettere ‘che può essere immesso’: potenza massima immettibile in rete. E se si cerca su Google, con questo significato si troveranno più o meno altrettanti esempi di un’altra variante: potenza massima immissibile in rete. Quale va bene?, si chiedono i lettori, non tanto con questa coppia di derivati relativamente rari e tecnici, quanto per coppie come dimettibile/dimissibile (da un ospedale), trasmettibile/trasmissibile ecc.

Per cercare di rispondere, occorre partire un po’ da lontano. Da quel che abbiamo detto sulla produttività di -bile, ne segue che le formazioni regolari, cioè dimettibile, trasmettibile e sim. dovrebbero essere considerate ben formate senza problemi. E mi sembra che, con qualche eccezione, lo si possa tranquillamente sostenere: vedrei poche obiezioni al loro uso. Questo non significa però che dimissibile o trasmissibile non siano altrettanto accettabili. Insomma, occorre essere ecumenici e dire che entrambe le varianti, nei casi menzionati e proposti dai lettori, sono corrette: non c’è niente di grave in questo, non è obbligatorio scegliere una forma “buona” e una “cattiva”. Si può però provare a spiegare perché esistono questi doppioni.

Già nel Medioevo, e ancor di più a partire dal periodo umanistico e rinascimentale, il lessico italiano è stato rinvigorito da una robustissima immissione (NB.: non *immettimento!) di lessico derivato, o direttamente preso dal latino o costruito su modelli latini. In particolare, nelle coppie di suffissi ‑(t)ore, ‑(z)ione, ‑(t)ura e vari altri, ciò ha comportato l’introduzione di molte forme derivate dalla variante “breve” del suffisso combinata con una base verbale essenzialmente coincidente con il participio perfetto latino appena appena “italianizzato” (e non sempre identico a quello italiano: in lettore, fusione ecc. i due coincidevano, ma in difensore, pressione no). In vari casi la forma latineggiante è prevalsa rispetto a quella autoctona (oggi diciamo difensore, ma nel Medioevo si diceva anche difenditore); altre volte entrambe coesistono, magari con differenziazione semantica.

Il suffisso ‑(i)bile partecipa di questa tendenza. In particolare, considerando i derivati di mettere (< lat. mittere, il cui participio perfetto latino era missus), quando c‘è una forma in ‑missione (trasmissione, dimissione ecc.) ci possiamo aspettare un aggettivo in -missibile, che compete con quello ‘indigeno’ in ‑mettibile. In qualche caso l’uso fa prevalere senz’altro l’uno dei due: con ammettere direi che si può dire solo ammissibile, con promettere (se proprio necessario) promettibile mi sembra l’unica opzione (e si noti che qui manca *promissione a sostenere la variante latineggiante). Ma le cose potrebbero cambiare in futuro (persino ammettibile ha un discreto numero di attestazioni in rete), e non c’è regola d’oro che consenta di prevedere se e quando uno dei due debba prevalere: nella maggioranza dei casi le due forme coesistono, anche se ci possono essere, naturalmente, differenze di registro (con la forma latineggiante più a suo agio nelle varietà giuridiche o burocratiche). Ed è largamente questione di gusto: per riferirmi a un’altra coppia oggetto di domanda da parte dei lettori, manomettibile o manomissibile?, potrei rispondere con le parole di un utente di uno dei tanti forum che si incontrano su Internet: “Io credo siano legittimi ambedue, ancorché ambedue bruttissimi”.

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