Consulenza linguistica

Presidente la Repubblica o presidente della Repubblica?

  • Miriam Di Carlo
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW - IN ANTEPRIMA

DOI 10.35948/2532-9006/2023.29120

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Quesito:

Molti lettori ci chiedono se le parole presidente e comandante debbano reggere il complemento di specificazione (presidente del Consiglio e comandante della compagnia) o il complemento oggetto (presidente il Consiglio e comandante la compagnia).

Presidente la Repubblica o presidente della Repubblica?

I sostantivi e aggettivi in -nte sono, nella maggior parte dei casi, forme di participio presente che hanno subìto un processo di conversione, ossia hanno perso sempre di più la loro funzione grammaticale di participio e hanno assunto quella di sostantivo, dopo essere passato spesso per la funzione aggettivale (cfr. la risposta di Livio Gaeta sugli aggettivi in -nte e i nomi di qualità derivati).

Si tratta di un meccanismo che avveniva già in latino e per il quale gli stessi grammatici antichi avevano coniato il nome participio, costruito sul greco metochikón, che significa, appunto, ‘partecipe’ di due nature, quella di verbi e quella di aggettivi e nomi (cfr. Luraghi 1999; Lo Duca 1990; Serianni 1989 11, § 412). Il participio presente latino è formato dal tema verbale dell’infectum, composto dal tema e dalla vocale tematica della coniugazione (-a- per la prima, -e- per la seconda e la terza, -ie- per la quarta), a cui si aggiunge il suffisso -n(t)s/-ntis; indicava simultaneità e veniva usato con valore aggettivale spesso appoggiato a un sostantivo determinato, che poteva poi essere omesso: ad esempio sol oriens (da orīri ‘sorgere’) ‘sole nascente’ > oriens dal cui accusativo oriente(m) deriva l’it. oriente; sol occidens (da occĭdĕre ‘cadere) ‘sole cadente’ > occidens; acc. occidente(m) > it. occidente; bestia serpens (da serpĕre ‘strisciare’) > ‘bestia strisciante’ > serpens; acc. serpente(m) > it. serpente (cfr. Adams 1973, p. 117). In alcuni casi la doppia natura verbale e aggettivale (poi eventualmente sostantivale) permetteva alternanze a seconda del contesto: nel caso dell’ablativo singolare, declinava in -e quando aveva funzione di verbo (come i nomi della terza declinazione) e in -i quando aveva quella di aggettivo (appartenente alla seconda classe). Molti participi hanno mantenuto a lungo questa doppia valenza per poi far prevalere quella di aggettivo, spesso sostantivato: ad esempio infans (da fans, part. pres. di fari ‘parlare’ con l’aggiunta del prefisso in-, propriamente ‘che non sa parlare’, poi anche ‘bambino molto piccolo’) e adulescens (e part. pres. di adolescĕre ‘crescere’, letteralmente ‘che sta crescendo’, poi anche ‘ragazzo’ (cfr. la risposta su adultescente).

L’italiano ha ereditato, oltre ad alcuni di questi participi, ormai del tutto sostantivizzati (come i già citati oriente, occidente, serpente, a cui aggiungiamo presidente da praesidēre ‘essere a capo, governare’, studente da studēre ‘aspirare, desiderare con passione, applicarsi, studiare’, docente da docēre ‘insegnare’), anche lo stesso meccanismo di conversione del participio ad aggettivo e/o a sostantivo (sull’ambiguità del suffisso -nte e sui dubbi circa il processo di conversione si veda Lo Duca 2004, p. 357). Abbiamo così nomi d’agente (il/la cantante, il/la dirigente, l’insegnante e il più recente il/la badante; in questa categoria rientrano anche i seguaci o membri delle congregazioni, come ad es. il flagellante), nomi di strumento, il cui processo di ellissi dell’elemento determinato è più evidente (la macchina stampante > la stampante, i fari abbaglianti > gli abbaglianti), nomi di sostanze chimiche o farmaceutiche (il tranquillante, l’abbronzante, l’ammorbidente). All’interno della categoria dei nomi d’agente distinguiamo agenti caratterizzanti (poppante, spasimante), agenti classificanti (cantante, commerciante, insegnante, supplente), occasionali ispiratori o iniziatori di un’azione (debuttante); spesso si ha l’opposizione con il suffisso -tore che attribuisce una connotazione di maggiore stabilità e talvolta meno negativa: lavorante vs lavoratore; vincente, peraltro più usato come aggettivo, vs vincitore; cfr. D’Achille-Grossmann 2016; 2017). In molti casi (come ad es. cantante e insegnante) il participio presente è andato “incontro a processi di sostantivazione o di aggettivazione che spesso ne hanno del tutto obliterata l’antica natura verbale” (Serianni 1989, cap. 11, § 414) tanto che si può parlare di uso “esclusivamente nominale” (Lo Duca 2004, p. 357).

Inoltre, in italiano, il suffisso -nte può associarsi anche a basi nominali (molto rari i deaggettivali come maggiorente); basti pensare a bracciante, casellante, teatrante e commediante, tirocinante (Migliorini 1936, pp. 71-76). Secondo alcuni studiosi (Luraghi 1999, p. 542) il suffisso ha subìto un processo di degrammaticalizzazione, ossia ha perso progressivamente lo statuto flessivo assumendo quello derivazionale: come abbiamo già detto, la progressiva autonomia lessicale, sintattica e semantica dei sostantivi che presentano -nte ha dato la possibilità al suffisso di essere indipendente dal suo valore verbale. Questo spiegherebbe perché alcuni di questi participi sostantivizzati possano subire mutamenti morfologici propri dei sostantivi: ad es. presidente e studente ammettono il suffisso -essa per formare il femminile (nonostante la -e possa essere considerata ambigenere: infatti oggi si preferisce dire la presidente, cfr. la risposta sulla presidente Maraschio); mentre, solo per fare alcuni esempi tra i tanti, portante, fante, serpente ammettono la combinazione con il suffisso -ino/a in portantino/a, fantino e serpentina.

Per rispondere ai nostri lettori dobbiamo fare un’ultima osservazione. Come in latino, anche in italiano molte delle formazioni deverbali in -nte alternano un uso verbale a uno sostantivale: la differenza tra participio verbale e participio sostantivato non è del tutto netta. Può accadere che il processo di nominalizzazione abbia portato a un significato specifico, distante da quello verbale originario (il battente della porta vs una nave battente bandiera liberiana), oppure che le due forme mantengano lo stesso significato. Riportiamo due esempi letterari tratti da Serianni (1989, cap. 11, § 419a):

i dirigenti la nostra politica e diplomazia (Bacchelli, valore verbale = coloro che dirigono)

un nucleo di dirigenti colti e operosi (Gobetti; valore nominale = funzionari con carica direttiva)

Il valore verbale delle formazioni V-nte prevale nettamente nell’ambito burocratico-formale, in cui i participi possono mantenere la stessa reggenza del verbo di base (gli esempi, a cui è stata modificata la numerazione, sono tratti da Luraghi 1999, p. 544):

(1) La tassa deve essere pagata da tutti gli esercenti la professione (Giornale Radio RAI, 1997)

(2) La membrana sigillante il tubo deve essere integra (da una confezione di medicinale, 1997)

(3) NN, presidente la commissione istruttoria (Giornale Radio RAI, 1986).

I tre esempi proposti dalla studiosa si prestano a una precisazione: in (2) il participio, sviluppatosi in italiano dal verbo sigillare, ha valore aggettivale e dunque mantiene un legame più forte con la matrice verbale; in (1) e (3) il participio aveva assunto valore sostantivale già in latino, visto che entrambi derivano da exercente(m) (part. pres. di exercēre ‘esercire’) e praesidente(m) (cfr. sopra). Luraghi si sofferma proprio su presidente, osservando come, nella prosa antica, potesse reggere la preposizione a, comportandosi come il verbo presiedere (da Luraghi 1999, p. 545):

Con quel cuor ch’io poté sostenni di vederlo a tanta corte presidente parlar con motti e con riso e con cenni (Boccaccio, Opere, 1.833)

Ma a parte questi usi circoscritti al cosiddetto “burocratese” e all’italiano antico, in cui la reggenza di molti verbi era instabile, o latineggiante o comunque diversa rispetto a quella odierna, i participi presenti sostantivizzati reggono di norma il complemento di specificazione con la preposizione di. Per i casi proposti dai nostri lettori, presidente e comandante (a cui si potrebbero aggiungere molti altri nomi), dobbiamo parlare più precisamente di genitivo oggettivo, ossia del complemento di specificazione che rappresenta l’oggetto diretto dell’azione espressa dal sostantivo determinato. In pratica, nei sintagmi il presidente del Consiglio o il comandante della Compagnia, i complementi di specificazione sono i complementi oggetti dei verbi presiedere e comandare: il presidente del Consiglio = colui che presiede il Consiglio; il comandante della Compagnia = colui che comanda la Compagnia. Il genitivo oggettivo è una strategia sintattica che permette di specificare l’oggetto su cui ricade l’azione espressa dal sostantivo reggente. Opposto al genitivo oggettivo, abbiamo il genitivo soggettivo, che esprime l’agente dell’azione espressa dal sostantivo reggente: ad es. in la scelta di Giulio, il complemento di specificazione di Giulio può essere interpretato come genitivo oggettivo (Giulio è l’oggetto dell’azione di scegliere, dunque è stato scelto da qualcuno) o genitivo soggettivo (Giulio ha scelto ed è dunque soggetto). Nel caso di l’amante di Sandra, grammaticalmente, potremmo avere dubbi circa la funzione del genitivo a causa sia dell’ambiguità intrinseca delle forme participiali, sia alla semantica del verbo amare, il quale implica solitamente una reciprocità d’azione: in l’amante di Sandra, si potrebbe interpretare Sandra sia come agente (soggetto) sia come paziente (oggetto).  

Prima di concludere analizziamo i seguenti casi: lo studente di medicina e l’insegnante di greco. A rigor di logica, se considerassimo prevalente la matrice verbale dei sostantivi studente e insegnante, dovremmo utilizzare il complemento oggetto (come ci propongono i nostri lettori) e dire: *lo studente medicina e *l’insegnante greco. Ma già solo leggendo questi esempi, ci rendiamo conto dell’agrammaticalità dei sintagmi; dobbiamo quindi ricorrere obbligatoriamente all’uso del cosiddetto genitivo oggettivo visto che la medicina e il greco sono i complenti oggetti dei participi presenti, ormai del tutto sostantivizzati e la cui matrice verbale è stata completamente annullata. Del resto, c’è anche chi considera questi nomi come deverbali formati con il suffisso -nte e non come frutto di una conversione.

Riassumendo, in italiano molti sono i participi presenti mutati per conversione in aggettivi e in sostantivi: in alcuni il processo di conversione già era avvenuto in latino (praesidente(m) > presidente), in altri è avvenuto in italiano attraverso i meccanismi ereditati dal latino (comandarecomandante attestato dal XIV sec.). La maggior parte dei participi presenti sostantivizzati ha quasi del tutto cancellato la matrice verbale, tanto che il suffisso -nte si è “autonomizzato”, affissandosi anche a sostantivi (più raramente ad aggettivi; es. braccia-nte) e combinandosi con altri suffissi (es. porta-nt-ina, cfr. anche Scalise-Bisetto 2008, p. 102). La reggenza verbale di questi sostantivi si è mantenuta in ambiti molto ristretti, come i testi burocratici e amministrativi oppure, a livello diafasico, quando si ricerca una raffinatezza stilistica che potrebbe risultare anacronistica. L’italiano (come anche il latino stesso) prevede il cosiddetto genitivo oggettivo, ossia un complemento di specificazione con valore di complemento diretto su cui ricade l’azione espressa dal sostantivo reggente. Per tutti i casi di participio presente sostantivizzato si può ricorrere, coerentemente con il nostro sistema grammaticale, al genitivo oggettivo: studente di Lettere, presidente della Repubblica, comandante della compagnia.

Nota bibliografica:

  • Adams 1973: James N. Adams, The substantival present participle in Latin, “Glotta” LI, 1973, 116-136.
  • D’Achille-Grossmann 2016: Paolo D’Achille, Maria Grossmann, I suffissati in -(t)ore e -trice nell’italiano del periodo 1841-1947, in Giovanni Ruffino, Marina Castiglione, a cura di, La lingua variabile nei testi letterari, artistici e funzionali contemporanei. Analisi, interpretazione, traduzione. Atti del XIII Congresso della SILFI (Palermo, 22-24 settembre 2014), Firenze, Franco Cesati, 2016, pp. 787-805.
  • D’Achille-Grossmann 2017: Paolo D’Achille, Maria Grossmann, I nomi dei mestieri in italiano tra diacronia e sincronia, in Iid., a cura di, Per la storia della formazione delle parole in italiano: un nuovo corpus in rete (MIDIA) e nuove prospettive di studio, Firenze, Franco Cesati, 2017, pp. 145-182.
  • Lo Duca 1990: Maria Giuseppa Lo Duca, Creatività e regole: studio sull’acquisizione della morfologia derivativa dell’italiano, Bologna, Il Mulino, 1990.
  • Lo Duca 2004: Maria Lo Duca, Il tipo amante, in Grossmann-Rainer 2004, pp. 357-360.
  • Luraghi 1999: Silvia Luraghi, Il suffisso -ante/ente in italiano: fra flessione e derivazione, in Paola Benincà, Alberto Mioni, Laura Vanelli, a cura di, Fonologia e morfologia dell’italiano e dei dialetti d’Italia: atti del XXXI congresso della SLI, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 539-550.
  • Migliorini 1936: Bruno Migliorini, I nomi italiani del tipo bracciante, “Vox Romanica” I, 1936, pp. 64-85.
  • Scalise-Bisetto 2004: Sergio Scalise, Antonietta Bisetto, La struttura delle parole, Bologna, Il Mulino, 2004.

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