DOI 10.35948/2532-9006/2022.17704
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Una lettrice chiede il significato del verbo accepirsi, che ha incontrato in Descrizione di descrizioni di Pier Paolo Pasolini ma che non le risulta registrato nei dizionari italiani.
La domanda ci è arrivata da Tbilisi, nella lontana Georgia, e pubblichiamo la risposta oggi, il giorno che precede il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, per celebrare questa ricorrenza, a nostro parere molto importante dato il peso (anche sul piano linguistico) che lo scrittore ha avuto nella cultura italiana del secondo Novecento.
Iniziamo col riportare il passo di Descrizioni di descrizioni in cui figura l’accepirsi a cui fa riferimento la nostra lettrice, che dovrebbe essere questo, l’inizio di un articolo già pubblicato su “Tempo” il 21 ottobre 1973 con il titolo In vari modi uno scrittore può essere teppista e incluso nella raccolta (edita postuma nel 1979) con l’intitolazione, tratta dall’incipit, [«Che cosa è il teppismo»]:
Che cosa è il teppismo? È un comportamento sociale attraverso cui il potere assume forme apparentemente rivoltose, in contraddizione con le proprie leggi, e l’autorità viene accettata faziosamente, quasi che la dichiarazione di lealismo ad essa fosse scandalosa. C’è anche un teppismo letterario. In tal caso il «potere» e l’«autorità» sono da accepirsi in un senso parziale e particolare: cioè nel senso generico di «conformismo» (Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, Milano, Mondadori, 1999, tomo II, p. 1913; qui e nei passi successivi le evidenziazioni sono mie).
Non si tratta dell’unica occorrenza del verbo in Pasolini, che usa accepire anche negli Scritti corsari, in cui ne ho trovato quattro attestazioni: la prima – spesso citata negli studi pasoliniani – nella Nota introduttiva dell’autore alla raccolta, del 1975; la seconda in un’intervista a cura di Guido Vergani già edita sul “Mondo” l’11 luglio 1974; la terza in un articolo apparso in precedenza sul “Corriere della Sera” del 26 luglio 1974; l’ultima in una recensione pubblicata prima su “Tempo” il 22 febbraio 1974:
La ricostruzione di questo libro è affidata al lettore. È lui che deve rimettere insieme i frammenti di un’opera dispersa e incompiuta. È lui che deve ricongiungere passi lontani che però si integrano. È lui che deve organizzare i momenti contraddittori ricercandone la sostanziale unitarietà. È lui che deve eliminare le eventuali incoerenze (ossia ricerche o ipotesi abbandonate). È lui che deve sostituire le ripetizioni con le eventuali varianti (o altrimenti accepire le ripetizioni come delle appassionate anafore). (Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, Milano, Mondadori, 1999, p. 267)
[…] la sua frustrazione e la conseguente aggressività potrebbero accettare «anche» le parole d’ordine rivoluzionarie di «Lotta Continua» e di «Potere Operaio», perché egli è giunto ormai a quel livello di cattiva coscienza, e anche di volgarità, che gli consentono di accepire il messaggio estremistico (nel caso che esso fosse ancora lanciato da qualcuno). (ivi, pp. 333-334)
Leggendo la risposta «ufficiale» di Maurizio Ferrara al mio intervento su Pannella, mi sono cascate le braccia. Dunque era vero. Tutta la polemica di Ferrara a nome dei PCI contro la mia persona era fondata su niente altro che sull’estrapolazione di una frase dal mio testo («Corriere della Sera», 10 giugno 1974), frase accepita letteralmente, e infantilmente semplificata. Tale frase è «La vittoria del “no” è in realtà una sconfitta… Ma, in certo senso, anche di Berlinguer e del partito comunista». (ivi, p. 342)
Le novità storiche vengono accepite nell’universo della cultura popolare urbana (e, dal XIX secolo in poi, anche in quella contadina) solo a patto di essere immediatamente tradotte nei propri termini tradizionali non dialettici. (ivi, p. 470)
Ma Pasolini aveva usato il verbo già vent’anni prima, nell’introduzione al Canzoniere italiano (poi ristampata nel 1960 in Passione e ideologia):
Basta ascoltare al magnetofono, alle volte, le prime note e le prime parole di una ninna-nanna o di una filastrocca che il raccoglitore di canti popolari abbia registrato, magari in qualche zona montana delle aree depresse, per sentire immediatamente come sia gratuito e privo di qualsiasi validità il nostro metodo di accepire e d’interpretare questo mondo. (Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., tomo I, p. 982)
Ho trovato qualche ulteriore occorrenza in altri suoi scritti, che riporto in ordine cronologico (ed è probabile che ce ne siano ancora, nel mare magnum della produzione pasoliniana):
Quel meraviglioso mezzo conoscitivo – che è anche la mia matrice culturale – dato dall’illuminismo e dal razionalismo francese, si dimostra incapace di accepire due elementi della storia dei nostri giorni che sono tipici del Terzo mondo, l’Algeria, la Cina e la Polinesia. (Pier Paolo Pasolini, Le regole di un’illusione: i film, il cinema, Roma, Associazione “Fondo Pier Paolo Pasolini”, 1991, p. 114; dall’intervista rilasciata a M. Antonietta Mazzocchi, Cristo e il marxismo, in “L’Unità”, 22 dicembre 1964)
Il film che si vede e si accepisce normalmente è una “soggettiva libera indiretta”, magari irregolare e approssimativa – molto libera, insomma: dovuta al fatto che l’autore si vale dello “stato d’animo psicologico dominante del film”. (Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., tomo I, pp. 1482-1483; testo del 1965, ristampato nel 1972 in Empirismo eretico)
È, il popolo italiano, in grado di accepire le nozioni di autogestione e di decentramento? Ha mai vissuto, il popolo italiano, non dico un momento di democrazia reale, ma il desiderio di una democrazia reale? (Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, cit., p. 1118; il testo risale al 21 settembre 1968)
Pasolini dunque non usa accepire occasionalmente, anzi sembra attribuirgli una particolare pregnanza semantica, nella consapevolezza della sua “singolarità”.
Il verbo costituisce, evidentemente, la forma corrispondente al latino accipio, accipere, formato da ad e capere, con il cambio di coniugazione (spiegabile con la terminazione in -io alla prima persona del presente indicativo) che si ha anche in altri corradicali (cfr. RIF, s.v. capere), che forse hanno fatto da modello, come capire (appunto dal lat. capere), concepire (dal lat. concipere), percepire (dal lat. percipere), recepire (dal lat. recipere, da cui però si è avuto anche ricevere), eccepire (dal lat. excipere). La corrispondenza di accepire con accipere si ha anche sul piano semantico: il verbo latino (che tra l’altro è alla base del sostantivo acceptio, -onis, da cui deriva accezione ‘ciascuno dei significati con cui un vocabolo viene usato o accolto in una lingua’; Devoto-Oli 2022, con datazione al 1735) vuol dire infatti, a seconda dei contesti, ‘prendere, accettare’, ‘accogliere, ricevere’, ‘percepire’, ‘intendere, capire’. E queste accezioni (appunto!), parzialmente sovrapponibili, si adattano anche all’accepire italiano nei passi pasoliniani sopra citati (accepirsi è la forma pronominale, che nel passo di Descrizione di descrizioni ha valore passivo).
Come giustamente rilevato dalla nostra lettrice, i dizionari contemporanei non registrano il verbo, e ciò farebbe pensare che si tratti di una “parola d’autore” che poi – diversamente da altre voci o espressioni pasoliniane – non ha avuto successo. Ma le cose non stanno esattamente così. Pasolini era certamente un onomaturgo, capace di creare parole nuove, ma sapeva anche riprendere e rilanciare vocaboli che in precedenza avevano avuto una limitata circolazione, dando loro un’impronta personale (e, a volte, una nuova vitalità). Ed è questo appunto il caso di accepire, di cui cercherò ora di ricostruire la storia.
Cominciamo col dire che il nostro verbo non è documentato in italiano antico: il TLIO registra solo accìpere, evidente latinismo, nel senso di ‘prendere in considerazione’, che ha una sola attestazione nel Dittamondo di Fazio degli Uberti (“Degli altri due del mezzo, il greco accipio / che fu maggiore e di più ricca fama, / che quel che sfenno l’uno e l’altro Scipio”). Da parte sua, il LEI s.v. accipere riporta il verbo riflessivo napoletano accepirese ‘restringersi nella persona per mancanza di salute; attrappire, contrarsi; stremarsi, striminzirsi’, registrato nei dizionari ottocenteschi di Raffaele D’Ambra e di Raffaele Andreoli (e, aggiungo, in quello di Emmanuele Rocco) e afferma: “Le forme ereditarie di ACCIPĔRE ‘soffrire’ (ACCIPERE FEBREM, PLAGAM) esistono unicamente nell’it. merid.”. Ma gli esempi pasoliniani non hanno alcun rapporto col verbo napoletano, molto distante anche sul piano semantico.
Va invece segnalato che accepire è documentato in testi in latino dal Medioevo all’età moderna e ricorre più volte, per esempio, in passi di documenti inseriti nelle Vite di Giorgio Vasari. Forse proprio alla presenza del verbo nel latino medievale e moderno si lega l’uso di accepire in italiano, che è documentato almeno a partire dall’Ottocento, anzitutto in due ambiti settoriali nei quali il latino ha sempre costituito un punto di riferimento: il linguaggio giuridico-amministrativo, in cui il verbo sembra assumere un carattere propriamente tecnico, e quello di ambito medico, dove parrebbe piuttosto un “tecnicismo collaterale” (indipendente dal significato che il verbo ha nel napoletano, come pure dagli esempi latini citati nel LEI, anch’essi legati alla medicina).
Riporto alcuni esempi del primo ambito, che ho tratto da Google Libri (si noterà che quelli più antichi vengono da testi editi a Napoli):
In tutt’i casi il debitore non potrebbe accepire somiglianti nullità. (Codice di procedura civile…, vol. II, Napoli, Marotta e Vanspandoch, 1824, p. 231)
Questo giudice, egli è vero, non può giudicare sulla validità di siffatto titolo; ma può servirsene per valutar le qualità del possesso annale, che si accepisce innanzi a lui, e di pronunciare che il possessore, vi sia mantenuto, del che l’effetto sarebbe di assicurargli il possesso pendente l’istanza nel petitorio, senza dispensarlo di provare il suo dritto, nel modo richiesto per le servitù discontinue. (Jean-Marie Pardessus, Trattato delle servitù o servizio de’ fondi, tradotto dal francese da R. Mercurio, 2a ed., Napoli, Gabinetto Letterario, 1832, p. 211)
L’aggiudicatario deve depositare il prezzo del fondo aggiudicato, e concorrervi, ma non può accepire la compensazione del prezzo col suo credito. (Giurisprudenza civile ossia Raccolta con ordine cronologico delle decisioni emesse dalla Corte suprema di giustizia di Napoli, raccolte da Ernesto Lancillotti, vol. IV parte V, Dal 1842 a giugno 1843, Napoli, Prete, 1864, p. 277; il testo è del 24 novembre 1842)
Il venditore, dal suo canto, potrebbe, secondo le circostanze, venire ammesso, anche in questo caso, ad accepire della nullità della vendita contro l’azione a consegna contro di lui diretta. (C.S. Zachariae, Corso di diritto civile […] riprodotto ad uso delle regie università di Sicilia, per cura di Salvatore Salafia, vol. IV, Palermo, Pedone Lauriel, 1854, pp. 241-242)
Il non commerciante che ha accettato un biglietto all’ordine girato da un non commerciante, non può accepire l’incompetenza del tribunale di commercio. (“Giornale del Foro”, [Roma] 1858, I, p. 337)
I soci personalmente, e ciascuno di essi, sono fatti dalla legge quali cauzioni o confidejussori solidali, e vale a dire privati del diritto di accepire la previa escussione della società e la divisione del debito. (Bernardino Cipelli, Elementi di diritto commerciale, vol. II, Parma, Grazioli, 1865, p. 117)
Ritenuto che il contribuente, il quale davanti le Commissioni di merito si limitò ad accepire la misura del reddito accertato, lamenta ora davanti questo Collegio che per la sua attività commerciale sia stato assoggettato a diversi accertamenti per ogni ramo di commercio esercitato, mentre l’accertamento avrebbe dovuto essere unico. (“Decisioni della Commissione centrale pei reclami riguardanti le imposte dirette”, X, 1932, p. 64; decisione del 13 dicembre 1930)
E le conseguenze che se ne devono trarre son le seguenti: 1) Che non si possa accepire una decadenza nei confronti del convenuto per il fatto che egli non ha proposto un’impugnativa dell’indennità preventiva nei modi e nel termine previsto nell’art. 51. (Pasquale Carugno, L’espropriazione per pubblica utilità, Napoli, Giuffrè, 1967, p. 371)
[…] e che poi proponga appello senza accepire preliminarmente nell’atto di impugnazione la avvenuta estinzione […]. (“Archivio di ricerche giuridiche”, XXII, 1968, p. 40)
In alcuni dei passi sopra riportati accepire sembra essere usato in un senso molto vicino a quello di eccepire; in altri, tra cui quelli che seguono, la sovrapposizione pare ancora più spiccata (e il numero di esempi è tale da far escludere l’ipotesi di un errore, anche solo di stampa, che invece pare indubbio in altri casi ancora, che non prendo in considerazione):
Né può accepirsi in contrario che il Presidente non abbia dato la parola alle parti subito dopo pronunciata l’ordinanza, perché tocca alle parti di chiederla per inserire a verbale la riserva di impugnazione […]. (“La giustizia penale”, 1921, p. 23)
Né può accepirsi che la precedenza di diritto spettante al motociclista era superata dalla precedenza di fatto del Moroni, perché non può parlarsi di precedenza di fatto, irregolarmente acquisita […]. (“Rassegna giuridica della circolazione stradale”, 1938, p. 457)
Se ne deduce che il vettore, appunto perché deve merci specificate, può accepire anche in base al titolo che le merci sono perite per caso fortuito o per forza maggiore. (“Banca, borsa e titoli di credito”, 1953, p. 65)
Quanto al linguaggio medico, ecco alcune delle poche attestazioni raccolte, tra le quali inserisco anche quella in un testo di astronomia:
Conciosiaché se è ovvio persuadersi che i nostri istinti tralignati da una innormalità d’intelletto possono trascinare i nostri organi ad accepire corpi ributtanti, pericolosi, ed inaffini a nostra economia, è altrettanto inammisibile [sic] la loro spontanea formazione per entro la medesima. (Antigono Zappoli, Il medico di tutti i secoli o Storia individuale del medico, vol. I, Bologna, Bortolotti, 1853, p. 446)
Quando si consideri che uno spazio che sopra il disco solare abbia la grandezza apparente di un solo minuto, misura in realtà 27960 miglia, e che frequentemente si osservarono macchie di un’apparente lunghezza e larghezza eccedente due minuti, si può facilmente accepire quali regioni di portentosa grandezza esse possano occupare. (Dionigi Lardner, Il cielo. Nozioni astronomiche. Prima traduzione italiana, Milano, Vallardi, 1860, p. 36)
In conclusione la maggior parte degli A.A. ritiene si debba ascrivere all’ereditarietà una parte non indifferente nel determinismo della dermatosi costituita, in quanto verrebbe ereditata la disposizione (metabolica o tessutale che sia) ad accepire l’affezione, la quale poi si potrebbe manifestare solo ove un’altra causa di natura X sopraggiungesse ed assumesse il ruolo di fattore scatenante. (Atti del XXXVII Congresso della Società italiana di dermatologia e sifilografia, vol. I, Torino, Minerva Medica, 1951, p. 8)
Raccomandano infine di accepire i risultati riportati con molta cautela e senza eccessivo entusiasmo perché non troppo vien dato sapere attraverso il filtro della cortina sovietica. (“Archivio di patologia e clinica medica”, XXX, 1952, p. 303)
Anche al di fuori dell’ambito giuridico, le attestazioni in cui accepire è usato al posto di eccepire non sono numericamente trascurabili e, dati i testi e l’epoca in cui compaiono, è a volte problematico ipotizzare un errore. Le lascio comunque da parte, per prendere invece in considerazione quelle in cui il verbo è usato più o meno nello stesso senso individuato nei passi pasoliniani, che si trovano in testi di filosofia, sociologia, musica e arte, sia anteriormente, sia negli stessi anni degli esempi di Pasolini (e a volte in autori a lui vicinissimi):
O quell’unica sostanza è un reale statico, ed in tal caso la dinamica dovrà accepirsi come un supposto, come un termine di contraddizione non reale ma imaginato per sistemare l’esperienze; conciosiaché il relativo capitolo in fisica starebbe come una fiaba. (Felice Maltese, Monismo o nichilismo. Proposta di una riforma scientifica da servire di base alla riforma sociale, Vittoria, Velardi, 1887, p. 93)
[…] il compositore non potrebbe fluttuare così senza produrre nel sentimento dell’ascoltatore, a sua volta, uno stato di incertezza, di vacillazione fra mediatività e immediatività di accepire; poiché questi rimane come irritato dall’onda incerta delle sue impressioni opposte nel movente e nello stile. (“Rivista musicale italiana”, 1904, p. 535)
È evidente infatti che il termine autorità si può accepire in significati alquanto differenti. (“Rivista critica di storia della filosofia”, 1951, p. 156)
Essi concorrono cioè a costituire una medesima società, nel senso proprio in cui sembra (secondo precedenti indagini) doversi accepire tale termine: un insieme di rapporti interpsichici, che collegano una collettività di soggetti. (Proceedings of 14° International Congress of Sociology, vol. IV, Roma, Società italiana di sociologia, 1953, p. 528)
C’è una disperazione di poter accepire perdendosi qualcosa dalla letteratura, giacché una inchiesta sociale sullo stesso tema si sottopone o sottoporrebbe ben più tranquilla. (Francesco Leonetti, Proposizioni per una teoria della letteratura, in “Officina”, 9/10, 1957, pp. 395-396)
Ciò che importa trovare e accepire nell’arte non è pertanto l’elemento categoriale bellezza, bensì la realtà morale, la verità, quel nesso di contenuto e di forma in cui è chiuso un «travaglio» vitale. (Cultura Italiana del ’900 attraverso le riviste, vol. III, “La Voce” (1908-1914), a cura di Angelo Romanò, Torino, Einaudi, 1960, p. 63; il passo è nell’introduzione del curatore)
Il fatto si è che con un autore come Soldati, che è anche un grosso “personaggio” (uno dei pochi veramente simpatici, perché probabilmente non sa di esserlo e non gli importa niente di passare per tale) si rischia sempre di accepire il lato più vistoso, più enfaticamente offerto e in quella posa raggelarlo, fargli la statua. (Aldo Rossi, Canzonettiere di Soldati, in “L’Approdo letterario”, 1962, p. 130)
Ad ogni modo: si è in parecchi a cercare, da più parti e con progetti diversi, o alterni – ma con un rigore (che è soprattutto severità verso di sé e cautela e attenzione nell’accepire) e con una tensione dei problemi (che non coinvolge più, affatto, la speranza ‘metafisica’ di risolverli) che danno adito a qualche speranza. (Roberto Roversi, Intervento su Id., Descrizioni in atto, in Questioni di poesia, in “Paragone-Letteratura”, XVI, 1965, 182, pp. 115-116)
Il combinarsi di queste correzioni progressiste con una posizione conservatrice in campo teologico-religioso non è d’altronde un fenomeno paradossale, se si tien presente […] il richiamo all’esperienza immediata da accepire […]. (Nicolao Merker, L’illuminismo tedesco, Bari, Laterza, 1968, p. 333)
Da segnalare un esempio in cui il verbo è usato proprio con riferimento a Pasolini:
Gli opposti elementi, che finora coesistono in Pasolini, li dovremo però accepire nella loro schiettezza indiscutibile e senza comodo, dove anche risiede nella fattispecie un loro progresso di elaborazione possibile. (Enzo Siciliano, in “Nuova corrente”, 1956, p. 76)
Il verbo è documentato anche in anni più vicini a noi fino a oggi: una ricerca di accepire in rete col motore Google ha ottenuto circa 10.300 risultati [3 dicembre 2021). Pur scremando le presenze in cui il verbo ricorre, ancora, nel senso di eccepire, il numero non sembra irrilevante. Da Google libri si ricavano anche alcune attestazioni degli anni Duemila, negli stessi ambiti indicati in precedenza:
Qual è la madre tale il figlio, potrebbe accepirsi: difenderebbero l’orgoglio della loro storia rimettendoci la vita. (Il mito di Lucrezia Borgia nell'età contemporanea. Atti del Convegno nazionale di studi, Ferrara, Liberty House, 2003, p. 19; qui, invero, accepirsi sembra avere il senso di eccepirsi)
[…] molti, alle volte milioni, e in continuo avvicendamento, sono i suoi soci, e dunque neppure è pensabile ipotizzare che il senso delle clausole statutarie che ne regolano la posizione all’interno della società possa accepirsi in un senso diverso da quello direttamente emergente dalla loro formulazione letterale. (“Rivista di diritto civile”, 2004, p. 289; qui il senso è lo stesso usato da Pasolini)
Pedagogicamente, oggi, per “ambiente” non è possibile accepire il solo senso “ecologico”, dovendosi esso ambiente comprendere come aperto, quindi come comprensivo di tutte le dimensioni pubbliche, private, locali o territorialmente estese, in cui agire e far crescere, nell’integrazione e nelle interrelazioni. (Claudio Pirillo, Note di socio-pedagogia generale. Mediazione familiare ed etica deflattiva, s.l., Lulu.com, 2016, p. 18)
Accepì come verità di fede che la vera vita si svolge nel profondo, e che gli ordinari accadimenti di essa non siano che le mille vane increspature d’un mare illusorio che non bagna la nostra essenza, tramata nel puro pensiero. (Rocco Sapuppo, Mysterium Gothicum, Morrisville, Lulupress Center, 2019, p. 43)
Prima d’allora verranno sopra la terra molti inviati da Dio che, d’epoca in epoca, con la parola e con l’esempio, insegneranno di volta in volta agli uomini la buona via e tutta la verità che essi potranno accepire. (Libia B. Martinengo, Giovanni l’Annunciatore, Torino, Melchisedek Edizioni, 2020)
Possiamo tirare le fila del nostro discorso. Il verbo accepire che Pasolini utilizza più volte, nel senso di ‘prendere’, ‘intendere’, ‘accogliere’, era in uso già prima di lui, in campi diversi (a volte certamente estranei al mondo pasoliniano) in cui viene ancor oggi adoperato. In questo caso dunque – diversamente da quanto è avvenuto per palazzo nel senso di ‘luogo del potere politico’ e, soprattutto, per affabulazione e omologazione (voci per le quali mi permetto di rinviare al mio saggio Pasolini per l’italiano. L’italiano per Pasolini, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2019, pp. 25-26) – l’attuale (relativa) vitalità di accepire non sembra legarsi direttamente allo scrittore. Stupisce, comunque, il fatto che i dizionari contemporanei, alcuni dei quali (in particolare il GDLI, che nell’elenco degli autori considerati cita praticamente tutte le opere di Pasolini, e sulla sua scia il GRADIT) danno largo spazio a voci pasoliniane (a volte anche troppo, registrando parole dialettali tratte dai romanzi romani la cui effettiva circolazione è quanto meno dubbia: è il caso di sfrocetato invece di sprocedato), abbiano trascurato accepire. Ma l’accoglimento nei dizionari generali di un lessema, specie se di ambito settoriale e di circolazione limitata, dipende talvolta dal caso. Il verbo accepire, almeno finora, non è stato… accepito dalla lessicografia italiana, nonostante il suo uso tutt’altro che occasionale da parte di un autore importante qual è Pier Paolo Pasolini.