DOI 10.35948/2532-9006/2023.29090
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Per provare a formulare un’ipotesi sulla formazione e l’affermazione della polirematica neutralità climatica, nel significato di ‘condizione di bilanciamento tra le emissioni nocive immesse nell’atmosfera in conseguenza di attività antropiche e quelle che vengono assorbite dai sistemi naturali (suolo, foreste, oceani)’ (tale definizione, come vedremo, si stava già delineando nell’Accordo di Parigi), bisogna risalire ai primi accordi internazionali sui cambiamenti climatici, in particolare al Protocollo di Kyoto (sottoscritto nel 1997, ma entrato in vigore dal 2005) e all’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici (firmato nel 2015 ed entrato in vigore nel 2016).
Il Protocollo di Kyoto è il primo accordo internazionale in cui i Paesi industrializzati aderenti si sono dati precisi obiettivi per i tagli delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra e del riscaldamento del pianeta. Il protocollo mirava a stabilire tempi e procedure per realizzare gli obiettivi del precedente trattato sul cambiamento climatico (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC), redatto in occasione del Summit sulla Terra che si era svolto nel 1992 a Rio de Janeiro. Con questo accordo gli Stati firmatari si impegnavano a limitare e/o ridurre le emissioni di gas serra secondo le quantità a loro assegnate in un determinato periodo di tempo; l’articolo 17 (International Emission Trading) prevedeva la possibilità, in caso di risparmio di emissioni consentite a un Paese (quindi “risparmiate”), di vendere queste quantità in eccesso ad altri Paesi che invece superassero i limiti di emissioni consentite. Citiamo tra tutte questa clausola perché pare aver avuto risvolti linguistici: il principale gas serra è il biossido di carbonio (comunemente l’anidride carbonica) che, in questo modo, è diventato merce di scambio nel comune obiettivo di riduzione delle emissioni che iniziano a essere monitorate e “commercializzate” come qualsiasi altro bene; si è iniziato così a parlare di commercio di carbonio e di mercato del carbonio (Carbon market) ed è stata introdotta la carbon tax (tassa sul carbonio, in vigore in Italia dal 1998). Questo riferimento al carbonio, eletto a rappresentante di tutti i gas serra e delle altre sostanze inquinanti per l’atmosfera, avrebbe portato, come vedremo, alla sovrapposizione delle due locuzioni neutralità carbonica e neutralità climatica, che, tecnicamente, indicano fasi diverse per il raggiungimento dell’obiettivo finale delle “emissioni zero”.
L’Accordo di Parigi è il primo trattato internazionale giuridicamente vincolante che riunisce tutte le nazioni per contrastare il cambiamento climatico e adattarsi ai suoi effetti. Tra gli obiettivi fondamentali c’è quello di mantenere “l’aumento della temperatura media mondiale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali e proseguire l’azione volta a limitare tale aumento a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali”; per conseguire questo obiettivo, nel trattato è precisato che “le Parti mirano a raggiungere il picco mondiale di emissioni di gas a effetto serra al più presto possibile, [...] così da raggiungere un equilibrio tra le fonti di emissioni e gli assorbimenti antropogenici di gas a effetto serra”. Nel sintagma che ho evidenziato in grassetto è esposta analiticamente una parte del significato della locuzione neutralità climatica, che non compare però nel documento, nemmeno nella sua versione originale in inglese (“so as to achieve a balance between anthropogenic emissions by sources and removals by sinks of greenhouse gases”). Sono rilevanti, comunque, i concetti di equilibrio, di bilanciamento e la neutralità appare come il punto di arrivo in cui le emissioni nocive non supereranno più la capacità di assorbimento del pianeta.
La locuzione italiana è il risultato di un calco dall’inglese climate neutrality (non presente, a quanto mi risulta, nei dizionari dell’uso inglesi) che a sua volta pare essere uno sviluppo della locuzione aggettivale climate neutral (letteralmente ‘neutrale rispetto al clima’; anche questa non registrata dai principali dizionari dell’uso inglesi, ma rintracciata in repertori di altro genere, come il Dictionary of Sustainability di Margaret Robertson, del 2017, come sinonimo di carbon neutral), associata di volta in volta a sostantivi diversi (policy, strategy, approach). La più lontana attestazione di climate neutrality a cui sono riuscita a risalire (con l’aiuto determinante di Francesca Maltagliati, che ringrazio anche per altre indicazioni preziose) è del 2005, in un articolo di Dan Worth sull’importanza del ruolo delle imprese, degli Stati e delle università statunitensi per accelerare il raggiungimento della neutralità climatica, mentre la prima occorrenza in un documento ufficiale, scritto esclusivamente in inglese, è contenuta nel Report of the Annual Meeting of the Environment Management Group dell’ United Nations Environment Management Group del 2007. In questo testo le 22 occorrenze dell’espressione climate neutrality (anche nella variante climate-neutrality e posta tra virgolette al primo ingresso, a segnalarne la novità) si affiancano ad alcune occorrenze di climate neutral con riferimento a termini come decisions e policy:
“Climate neutrality” is defined by the entire set of policies that an institution uses when it estimates its known greenhouse gas emissions, takes measures to reduce them, and purchases carbon offsets to “neutralize” those emissions that remain. To achieve an outstanding approach, the UN must define these components of its climate-neutral policy to attain the highest standards possible. [p. 13, traduzione mia: La “neutralità climatica” è definita dall’insieme delle politiche che un’istituzione adotta quando stima le proprie emissioni note di gas serra, adotta misure per ridurle e acquista compensazioni di carbonio per “neutralizzare” le emissioni rimanenti. Per ottenere un approccio eccellente, l’ONU deve definire queste componenti della sua politica di neutralità climatica per raggiungere i più alti standard possibili].
Nello stesso documento è molto interessante, dal nostro punto di vista, il passaggio in cui quasi si giustifica la scelta della locuzione e se ne spiega la differenza rispetto a carbon neutrality:
When deciding how to frame the Organization’s greenhouse gas commitment, using the term “climate neutrality” allows a more comprehensive approach than the commonly used term “carbon neutrality”. While carbon dioxide is the greatest contributor to global warming, there are several reasons for opting to include the six gases covered by the Kyoto Protocol, namely CO2, CH4, N20, HFCs, PFCs, and SF6. Such coverage corresponds more closely to the approach being taken in the international climate change process under the UNFCCC and the Kyoto Protocol. (p. 16, traduzione mia: Nel decidere come inquadrare l’impegno dell’Organizzazione in materia di gas serra, l’utilizzo del termine “neutralità climatica” consente un approccio più completo rispetto a quello comunemente utilizzato di “neutralità carbonica”. Sebbene l’anidride carbonica sia il maggiore responsabile del riscaldamento globale, ci sono diverse ragioni per scegliere di includere i sei gas contemplati dal Protocollo di Kyoto, ovvero CO2, CH4, N20, HFC, PFC e SF6. Tale copertura corrisponde meglio all’approccio adottato nel processo internazionale sui cambiamenti climatici nell'ambito dell’UNFCCC e del Protocollo di Kyoto).
Viste le numerose occorrenze nel testo e la precisione con cui le due locuzioni sono distinte, è abbastanza probabile che climate neutrality, favorita anche dalla precedente forma aggettivale climate neutral, fosse già entrata, almeno nei testi tecnici ufficiali; difficile invece individuare il momento di ingresso del calco in italiano, che deve essersi diffuso attraverso le traduzioni dei testi legislativi della UE e dei singoli Stati. Uno dei possibili esempi a conferma di questa trafila si può vedere nella Comunicazione della Commissione europea, del 28/11/2018, che riporta nel titolo ancora la traduzione letterale di climate neutral: “Un pianeta pulito per tutti. Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra”; nel testo poi ricorre altre volte il sostantivo neutralità (senza climatica), ma con diverse specificazioni: “neutralità per le emissioni di CO2” (p. 5); “neutralità in emissioni di gas serra” (p. 5); “neutralità in gas a effetto serra” (p. 8). La neutralità per le emissioni di CO2 era già “traducibile” con neutralità carbonica, ma iniziano a essere fatte distinzioni più specifiche. Già nel novembre 2015 l’Istituto di ricerca tedesco IASS di Potsdam aveva puntualmente formulato la differenza tra neutralità carbonica e neutralità climatica, di cui si riportano, in traduzione mia, i passaggi salienti (il testo si può leggere in rete in inglese):
Neutralità carbonica: con questo termine si intende uno stato in cui le attività di un individuo, di un’organizzazione, di una città o di un Paese producono emissioni nette di CO2 pari a zero. O le attività non devono rilasciare CO2, o la CO2 che ancora rilasciano dopo aver decarbonizzato il più possibile deve essere permanentemente sequestrata.
Alcune compensazioni di carbonio, ma non tutte, possono aiutare a raggiungere la neutralità climatica.
Neutralità climatica: con questo termine intendiamo uno stato in cui le attività di un individuo, di un’organizzazione, di una città o di un Paese hanno un impatto climatico netto pari a zero a causa delle emissioni di gas a effetto serra. O le attività non devono rilasciare gas serra, oppure il riscaldamento derivante dai gas serra rilasciati dopo aver ridotto il più possibile le emissioni, deve essere bilanciato dal sequestro di CO2. Alcune, ma non tutte, le compensazioni di carbonio possono aiutare a raggiungere la neutralità climatica.
Dunque, la neutralità carbonica non garantisce la completa neutralità climatica, che si raggiunge soltanto dopo il bilanciamento dei residui di CO2 e degli altri gas a effetto serra con azioni che aumentino le risorse ambientali di compensazione (mantenimento e ampliamento delle foreste, tutela degli oceani, ecc.).
Nel 2018 troviamo la spiegazione della locuzione climate neutrality anche in un glossario redatto dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), l’organismo dell’ONU che si occupa dei cambiamenti climatici:
Climate neutrality. Concept of a state in which human activities result in no net effect on the climate system. Achieving such a state would require balancing of residual emissions with emission (carbon dioxide) removal as well as accounting for regional or local biogeophysical effects of human activities that, for example, affect surface albedo or local climate. See also Net zero CO2 emissions [https://www.ipcc.ch/sr15/chapter/glossary/; traduzione mia: Concetto relativo a uno stato in cui le attività umane non producono effetti netti sul sistema climatico. Il raggiungimento di questo stato richiederebbe di bilanciare le emissioni residue con la rimozione delle emissioni (di anidride carbonica), oltre a tenere conto degli effetti biogeofisici regionali o locali delle attività umane che, ad esempio, influenzano l’albedo superficiale o il clima locale. Vedi anche Emissioni nette di CO2 zero].
Detto questo, la prima occorrenza rintracciata in rete di neutralità climatica in italiano è in un articolo di Stefano Nespor, intitolato L’impronta climatica, apparso alla fine del 2008 su federalismi.it, rivista in rete di diritto pubblico italiano, comparato, europeo:
La conoscenza del peso della propria impronta climatica permette di raggiungere la neutralità climatica, che indica la condizione di un soggetto o di una istituzione che non produca effetti dannosi sul clima, sia riducendo l’impatto della propria impronta, sia compensando i residui effetti prodotti con la partecipazione a opere o interventi destinati a ridurre il cambiamento climatico globale. Quest’ultima operazione è denominata “carbon offset”. (Stefano Nespor, L’impronta climatica, federalismi.it, 24, 17/12/2008)
Anche su Google libri l’attestazione più lontana (dei 1.660 r.) è del 2009 e cita la definizione dello stesso Nespor:
Si pensi alle borse dello scambio climatico ed alle diffuse iniziative di “neutralizzazione climatica”, su cui si sofferma S. Nespor, La neutralità climatica, il mercato e il dilemma del buon samaritano [...]. Come ricorda l’A., la neutralità climatica indica la condizione in cui sono stati interamente annullati gli effetti sul clima dell’impronta climatica. (Filippo Pizzolato, Autorità e consumo: diritti dei consumatori e regolazione del consumo, Milano, Giuffrè Editore, 2009, p. 91)
La prima occorrenza di neutralità climatica (ancora significativamente tra virgolette) trovata negli archivi digitali dei quotidiani risale invece al 2010:
Alla ricerca della “neutralità climatica”. Il rapporto si inserisce nell’ambito della UN Climate Neutral Strategy adottata dalle Nazioni Unite alla fine del 2007, il cui obiettivo è avvicinarsi ̶ almeno virtualmente ̶ alla soglia della “neutralità climatica”, vale a dire il momento in cui aziende e organizzazioni riusciranno a operare senza contribuire al riscaldamento del Pianeta. (Giulia Belardelli, Onu, operazione “viaggi puliti”. “Meno aerei, più teleconferenze”, Repubblica.it, 16/6/2010)
I passaggi della locuzione, in italiano e nella comunicazione corrente, restano però occasionali e decisamente sporadici almeno fino al 2019, quando la Commissione europea presenta il cosiddetto Green Deal europeo, una tabella di marcia per rendere l’Europa climaticamente neutrale entro il 2050; è questo obiettivo che rende necessario inserire la neutralità climatica nella legislazione vincolante comunitaria:
La Commissione ha già delineato un chiaro programma per conseguire la neutralità climatica entro il 2050 […]. Entro marzo 2020 la Commissione proporrà la prima “legge per il clima” europea per stabilire in modo chiaro le condizioni di una transizione equa ed efficace, assicurare la prevedibilità agli investitori e garantire che la transizione sia irreversibile. In questo modo l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 sarà sancito per legge. La legge per il clima garantirà inoltre che tutte le politiche dell’UE contribuiscano all’obiettivo della neutralità climatica e che tutti i settori svolgano la loro parte. L’UE ha già cominciato a modernizzare e trasformare l’economia con l’obiettivo della neutralità climatica (Commissione europea, Il Green Deal europeo, Comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Bruxelles, 11/12/2019, p. 4).
Sembra questo il momento di affermazione della locuzione e della sua uscita dagli esclusivi ambiti d’uso specialistici: un forte impulso è dato in questo senso dal Regolamento (UE) 2021/1119, detto anche Normativa europea sul clima, che stabilisce l’obiettivo vincolante della neutralità climatica nell’Unione entro il 2050. Da questo momento, infatti, i singoli Stati, e quindi, a cascata, gli enti locali fino alle industrie e alle aziende, sono tenuti per legge ad adeguarsi all’applicazione dei parametri per arrivare agli obiettivi di compensazione tra emissioni nocive e investimenti per neutralizzarle. Con il PNRR (l’ormai più che noto Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che si inserisce nel programma europeo Next Generation EU) del 2021, in Italia sembra realizzarsi la svolta della transizione ecologica e il nostro Paese ospita importanti appuntamenti internazionali a tutela dell’ambiente, con un ruolo di primo piano: dal G20 di Napoli alla Pre Cop26 di Milano, fino ad arrivare a Glasgow per la Cop26, ma anche il primo Youth4Climate della storia. Nel documento del PNRR l’espressione neutralità climatica ricorre 4 volte e viene così introdotta:
Il pilastro della transizione verde discende direttamente dallo European Green Deal e dal doppio obiettivo dell’Ue di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 55 per cento rispetto allo scenario del 1990 entro il 2030. (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, 30/4/2021, p. 11)
Ciò produce la necessità di estendere la conoscenza e la comunicazione “divulgativa” di concetti tecnico-scientifici in materia di tutela del clima e dell’ambiente. Proprio in questo periodo la locuzione neutralità climatica registra un incremento significativo di uso e di occorrenze, confermato dalla ricerca in rete e negli archivi dei maggiori quotidiani nazionali. Nel dettaglio la stringa “neutralità climatica” ottiene su Google (pagine in italiano) 942 risultati nel 2018, 1.960 nel 2019, 4.780 nel 2020, 7.140 nel 2021 e 12.400 nel 2022. Il quotidiano “la Repubblica”, dopo la prima isolata attestazione del 2010, già citata, restituisce in proporzione un andamento simile, con 19 occorrenze nel 2019, che salgono a 43 nel 2020 e a 105 nel 2021; il “Corriere della Sera” dai 5 risultati del 2019 passa a 20 nel 2020, che diventano 48 nel 2021. Ecco alcuni esempi in cui si trovano sintetiche spiegazioni della locuzione:
Per quanto riguarda la Via, viene previsto un potenziamento con “un’analisi della coerenza dell’opera ai fini dei cambiamenti climatici nell’intero ciclo di vita, al fine di valutarne la neutralità climatica anche mediante interventi di compensazione”; inoltre viene introdotta una valutazione di impatto sanitario nei siti di bonifica di interesse nazionale; viene posta maggiore attenzione alla compatibilità della regolamentazione con le misure di protezione dell’ambiente, il progressivo ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione della biodiversità e dei mari, l’indirizzo verso un’economia circolare, il contributo al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile individuati dalle nazioni unite. (Dl ambiente, 2 mila euro di bonus rottamazione di auto e sconto sui prodotti sfusi, Repubblica.it, 18/9/2019)
L’obiettivo è quello di portare l’Europa alla cosiddetta “neutralità climatica” ‒ cioè l’equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di carbonio ‒ entro il 2050. Un traguardo ambizioso ma fondamentale per costruire un futuro sostenibile per il continente. Per raggiungerlo, la Commissione europea ha formulato una strategia, presentata qualche giorno fa, che prevede di aumentare la capacità eolica offshore dell’Unione: dagli attuali 12 GW ad almeno 60 GW entro il 2030, fino a 300 GW entro metà secolo. I parchi eolici “offshore” sono quelli costruiti in mare anziché sulla terraferma. (Luigi Gaetani, Raggiungere la “neutralità climatica” entro il 2050: L’Ue punto sull’eolico, Repubblica.it, 30/11/2020)
Un intervento incisivo su queste leve, spiega il documento messo a punto dal ministero dell’Ambiente, si rende necessario perché il mero “trascinamento delle tendenze attuali, per quanto virtuoso, sarebbe insufficiente a centrare il target fissato per il 2050”, cioè la neutralità climatica. Vale a dire la condizione in cui le emissioni di gas a effetto serra non superano la capacità della terra di assorbirle. (Luigi Dell’Olio, CO2, il nemico da abbattere. L’Italia ha l’arma della tecnologia, “la Repubblica”, sez. Focus, 22/2/2021, p. 36)
Decarbonizzare in Germania significa meno carbone, da noi meno gas e petrolio. Come la risolviamo? “Nel percorso della neutralità climatica con obiettivo 2050 – se poi si può anticipare ben venga – vuole dire passare dal sistema del cosiddetto carbon fossile attraverso quello che oggi si prospetta come l’unico sistema di transizione, che è il gas, per arrivare poi all’elettrico e all’idrogeno. Là vogliamo arrivare. Però dobbiamo prima attraversare il guado”. (Sara Gandolfi, In ottobre a Milano la prima Cop dei giovani. Greta è già invitata, “Corriere della Sera”, 11/12/2019, p. 15)
Inoltre, è necessario trasformare interi settori produttivi, per arrivare all’obiettivo più ambizioso: emissioni zero entro il 2050. [...] Se la meta, decarbonizzare il mondo, è chiara, come arrivarci? // 2050 L’anno entro cui l’Europa nel quadro dell’accordo di Parigi, avrà la neutralità climatica (zero emissioni di gas effetto serra) [testo redazionale riassuntivo a centro pagina]. (Giulia Cimpanelli, Sostenibilità e digitale. La transizione si fa così, “Corriere della Sera”, 29/3/2021, p. 20)
In quest’ultimo esempio si vede bene come le espressioni neutralità climatica, zero emissioni e decarbonizzare il mondo siano utilizzate sostanzialmente come sinonimi. In realtà “non sono altro che definizioni di diversi stadi di una strategia di mitigazione climatica”, come si legge in un articolo di approfondimento presente sul sito di “Rete Clima” (un Ente non profit che supporta concretamente le aziende nello sviluppo di progetti di economia circolare, di sostenibilità e di decarbonizzazione), in cui si ribadisce l’importanza della terminologia per l’azione e la comunicazione climatica (da notare l’uso dei termini inglesi Climat Neutrality e Net Zero, accanto ad altri anglismi non adattati):
La Climate Neutrality è uno statement “di breve termine”: indica che l’azienda ha avviato un piano di riduzione delle proprie emissioni serra e – contemporaneamente – un offsetting (compensazione) di tutte le emissioni di gas a effetto serra residue, generate durante l’anno. [...] A differenza della Climate Neutrality, il Net Zero non è un concetto riferibile a un determinato anno soltanto, non è temporalmente “puntuale”. Indica invece un percorso di lungo termine con l’obiettivo di raggiungere “emissioni nette zero” intorno al 2050: questo obiettivo è in linea con il target dell’Accordo di Parigi di cui alla COP 21 (2015), cioè limitare il riscaldamento globale a +1,5°C a fine secolo. (Carbon Neutrality, Net Zero e Climate Positive: la decarbonizzazione delle Aziende, reteclima.it, 10/01/2022)
In questa prospettiva di gradualità nel raggiungimento dell’obiettivo finale delle emissioni nette uguali a zero, la Commissione europea, alla fine del 2022, ha inserito nel Programma Orizzonte Europa la Missione “100 città climaticamente neutre e intelligenti entro il 2030”, in cui riemerge, ma solo nel titolo, la traduzione letterale di quel climate neutral da cui siamo partiti. Dell’iniziativa, e poi delle candidature delle città italiane che si sono impegnate in tale missione, scrive Roberto Pagani, che insiste su un’altra distinzione terminologica utile a evitare ambiguità, quella tra Net zero (emissioni nette uguali a zero) e impatto zero (assenza di emissioni):
L’obiettivo è l’impatto zero, non il “Net Zero”, che significa che l’impatto c’è ma è bilanciato da qualcos’altro. L’impatto zero è usare la bicicletta, il Net Zero è continuare a usare l’auto elettrica. Occorre passare dall’efficienza energetica alla “sufficienza” energetica. (Roberto Pagani, L’Europa delle città e la neutralità climatica, Treccani.it, sez. Magazine “Atlante”, 26/3/2023).
Nella Newsletter Energia e Ambiente del Comune di Bologna, una delle città italiane pilota della Missione 100 città, la notizia è accompagnata anche da alcune precisazioni terminologiche:
Neutralità climatica (climate neutral[ity]) è il termine, prima tecnico e poi politico, per definire quando una città o un territorio non ha alcun impatto sul sistema climatico terrestre: una condizione che si può raggiungere solo passando dalla decarbonizzazione, ovvero l’abbandono delle fonti di energia fossili la cui combustione produce CO2. Ma non solo: serve anche l’azzeramento degli altri gas serra responsabili del riscaldamento globale (tecnicamente quantificati per il loro impatto, “come se” fossero CO2). (100 città per la neutralità climatica, in “Energia e Ambiente Newsletter”, 31, marzo 2022 [strumento informativo del Comune di Bologna sulla lotta al cambiamento climatico, la crisi energetica e la sostenibilità ambientale])
La locuzione sostantivale neutralità climatica, benché ormai discretamente diffusa (le pagine in italiano di Google, al 3/7/2023 restituiscono, anche se non senza “rumore”, 404.000 risultati), resta ad oggi non registrata in nessun dizionario, neanche come neologismo. Troviamo invece il suo corrispondente semantico aggettivale, nella forma più estesa neutrale dal punto di vista climatico, in una delle attestazioni di decarbonizzarsi (‘rinunciare all’impiego di combustibili fossili’), recentissimo ingresso tra i Neologismi (2023) Treccani:
Il settore edilizio deve decarbonizzarsi riducendo l’intensità energetica di almeno l’80% entro il 2030 ed essere neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Questo si può ottenere grazie ad alcuni accorgimenti che vanno dalla riqualificazione delle superfici vetrate, con annesse migliorie alla coibentazione degli edifici, fino all’eliminazione dei combustibili fossili e l’elettrificazione degli usi legati alla climatizzazione. (Teleborsa, Stampa.it, 30 marzo 2023, Economia)
Da queste ultime attestazioni risulta abbastanza chiaro come i due concetti (e processi) di neutralità carbonica e di neutralità climatica non siano più sovrapposti e come la decarbonizzazione non abbia come effetto automatico il raggiungimento della neutralità climatica, ma ne rappresenti una prima fase assolutamente necessaria.
Provando a sintetizzare, possiamo dire che la neutralità climatica, rispetto all’impatto zero, è un obiettivo intermedio, di solito calcolato nell’arco di un anno, di ogni soggetto (singoli, comunità, aziende, ecc.) che rilasci nell’atmosfera CO2 e gas nocivi per l’ambiente: per raggiungerla occorre ridurre le emissioni nocive e contemporaneamente mettere in atto strategie di compensazione che migliorino le condizioni ambientali e quindi le capacità di assorbimento e di eliminazione dei residui inquinanti. In questo senso si parla di impatto netto zero come risultato della differenza tra emissioni nocive e azioni di assorbimento e di contrasto all’impatto negativo sull’ambiente e sul clima; l’impatto zero si ha invece quando l’attività svolta non produce nessun tipo di emissione dannosa e, di conseguenza, non richiede azioni di bilanciamento.