DOI 10.35948/2532-9006/2022.20799
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Numerose sono le domande dei lettori che riguardano parole nuove, in genere non registrate dai dizionari, per le quali si chiedono chiarimenti e soprattutto si sollecita l’autorevole parere dell’Accademia della Crusca sulla legittimità del loro uso. Si tratta di una tematica importantissima nell’ambito dell’evoluzione della lingua, spesso in relazione, come vedremo, ai linguaggi settoriali.
Abbiamo messo insieme alcune parole per le quali sono pervenute richieste di lettori: le esamineremo in ordine alfabetico, rispondendo ai quesiti e aggiungendo qualche considerazione sulle modalità di formazione, sul significato, sulla diffusione e quindi anche sulla loro accettabilità nella lingua comune.
Ambientalizzazione. Sostantivo formato mediante il suffisso -zione dal verbo ambientalizzare: in questo caso il suffisso completo è quindi ‑izzazione, molto produttivo nell’italiano contemporaneo come il suffisso verbale -izzare a cui è legato. -Izzazione serve a formare sostantivi astratti, ed è diffusissimo: pensiamo a voci come autorizzazione, motorizzazione, indicizzazione, digitalizzazione, e tantissimi altri. Ambientalizzazione, molto poco presente nei dizionari (tra i più diffusi e autorevoli, lo registra solo il Vocabolario Treccani online), significa in generale ‘l’atto, l’effetto di ambientalizzare, di essere ambientalizzato’, e quindi, più in specifico, l’atto o l’effetto di ‘attuare opere di risanamento ambientale’ con riferimento a insediamenti industriali per ridurne gli effetti inquinanti e l’impatto sul territorio. Un significato, dunque, che ben si può riferire agli impianti dell’Ilva e ai problemi ambientali del porto e della città di Taranto, presenti negli esempi citati dai lettori. La documentazione tratta dal web, principale fonte nell’assenza quasi totale di documentazione lessicografica, attesta la voce a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso in contesti vari, in ambito urbanistico e industriale. Una maggiore diffusione della voce ambientalizzazione, che per il suo significato molto specifico non ha sinonimi del tutto equivalenti, e che certo potrà ricevere forza espansiva dalla centralità nella lingua e nella società di oggi di voci derivate da ambiente (p. es. ambientale, ambientalismo, ambientalista, ambientalistico) è, crediamo, prevedibile.
Due sostantivi, anch’essi astratti, derivati dall’aggettivo con il suffisso -ità, sono distintività e fittizietà, che possiamo avvicinare per rilevanti caratteristiche comuni: prima di tutto la modalità di derivazione (distintività da distintivo + -ità, fittizietà da fittizio + -ità), la specificità semantica, e anche, come vedremo, la diffusione soprattutto settoriale, in particolare nel diritto. I lettori che ci interrogano sulle due voci ne sottolineano da una parte l’assenza sui dizionari, dall’altra l’efficacia e la pregnanza semantica, mettendo in luce proprio due caratteristiche salienti. Quanto alla scarsa o nulla presenza nei dizionari, precisiamo che distintività, assente in GRADIT, Zingarelli 2022, Devoto-Oli 2022, Vocabolario Treccani online, Il nuovo Treccani, è registrato nei Neologismi Treccani 2018 con la definizione ‘insieme di elementi che caratterizzano e permettono di riconoscere qualcosa’, prima attestazione nel 1986, e viene documentato con esempi giornalistici recentissimi. Una ricerca in rete ha dato risultati interessanti: la voce è attestata occasionalmente già negli ultimi decenni del XIX secolo (1885), e poi con maggiore ricorrenza dai primi del XX secolo, soprattutto in ambito giuridico, in particolare in testi di diritto commerciale. Ma appare usata anche, dagli anni ’50, in linguistica (si parla del principio saussuriano della distintività), in psicologia, sociologia, marketing, e nella critica musicale (era parola gradita al critico Duilio Courir). L’abbondante e diversificata documentazione offerta dalla rete contrasta, ci pare, con la resistenza dei dizionari a registrare la voce, che evidentemente, come scrive un lettore, “riesce a trasmettere il concetto che si voleva esprimere”.
Minori frecce al suo arco ci pare abbia la parallela fittizietà, nonostante la medesima modalità di formazione. Tra i dizionari sincronici e storici consultati, la registra solo Zingarelli 2022 ‘caratteristica di ciò che è fittizio’, datandola al 1915; la rete offre un numero contenuto di esempi, anche nei giornali (l’archivio del “Corriere della Sera” non ha esempi), limitati all’ambito del diritto, soprattutto commerciale e tributario. Così, due voci apparentemente gemelle quanto a formazione e specificità semantica, differiscono nella loro diffusione, e questa è quasi certamente la ragione che ci rende più accettabile la prima rispetto alla seconda, che è anche forse, peraltro, poco gradevole nel suono: l’uso, ancora una volta arbitro nella lingua, determina l’accettabilità.
Meno problematico appare probabilmente l’aggettivo viabilistico ‘relativo alla viabilità’, da questo sostantivo derivato con il suffisso aggettivale -istico molto produttivo nell’italiano contemporaneo, che però in questo caso si lega al sostantivo base con procedimento non del tutto consueto (viabilità>viabilistico è diverso da arte>artistico o calcio>calcistico, per fare esempi comuni e chiari), e forse per questa ragione sembra poco trasparente. Viabilistico è voce ampiamente registrata dai dizionari e non recentissima. Datata al 1953 da Zingarelli 2022, Devoto-Oli 2022, Nuovo De Mauro, può essere retrodatata di qualche decennio: sul “Corriere della Sera” appare dal 1933 (tecnica viabilistica), ma l’uso si intensifica dagli anni ’50 (riforma viabilistica), ed è frequente su “Quattroruote” e sulla rivista del Touring Club. Voce non gradita ai dizionari puristici che proscrivevano stranierismi e neologismi (tra questi, la registra e la riprova Il vitupèro dell’idioma e l’adunata de’ mostri di Umberto Silvagni del 1938, dal titolo assai esplicito), appare oggi difficilmente rifiutabile o criticabile: il suo significato è preciso e piuttosto chiaro, ben diverso da quello di viario ‘relativo alle vie’, l’uso è ampio e non settoriale.
Il medesimo suffisso, ma al femminile e applicato a un sostantivo, ha dato forma e vita a un brutto neologismo, permessistica, rilevato da alcuni lettori in ambito aziendale e burocratico, a indicare il settore che si occupa dei permessi o addirittura la disciplina che si occupa di ottenerli. Non registrato dai dizionari, è anche pochissimo presente in rete, con qualche sporadico esempio (p. es. “la Repubblica” 11/11/2014: «il dirigente dell’Agenzia per la Mobilità Luca Avarello, responsabile della “Permessistica e Servizi”»). Siamo quindi di fronte a un neologismo inutile, tipico del linguaggio burocratico-aziendale, che usa il suffisso -istica per un sostantivo, nel solco di una tendenza neologica recente, che ha dato sostantivi come componentistica, modulistica, oggettistica, tempistica.
Due verbi di recente formazione su cui sono pervenute richieste di lettori sono ingressare e permessare, nel participio permessato. Si tratta di verbi denominali formati con il suffisso -are della prima coniugazione, la più produttiva nella creazione di nuove parole.
Ingressare è presente in alcuni dizionari dell’uso recenti come termine di biblioteconomia nel significato di ‘registrare un libro in entrata’ sul registro d’ingresso e apponendovi il numero d’ingresso, con le quali operazioni il libro viene definitivamente acquisito dalla biblioteca. In questa precisa accezione, che ne denota l’uso strettamente settoriale, il verbo viene datato al 1987. Ma vanno aggiunte due osservazioni: la prima riguarda l’attestazione, pur sporadica, della voce ingressare molto tempo prima, in ambiti diversi, con il significato generico di ‘accrescere, aumentare’ (p. es. “larghe fonti di reddito che hanno contribuito a ingressare di anno in anno le correnti monetarie a pro’ dell'Italia in questi anni”; “La finanza italiana”, 1912); la seconda osservazione si lega a uno dei quesiti dei lettori, e riguarda il possibile uso errato della parola da parte di stranieri, che la sentono sinonimo di ‘entrare’ (M. A., argentino, scrive: «Ho fatto un errore quando ho scritto un post in un gruppo di ricerca per affitti su Facebook. Ho scritto “ingressare”, per riferirsi all’azione di entrare in una proprietà in affitto.»). Certamente, possiamo concludere, il verbo ingressare nelle biblioteche potrebbe essere evitato e ottimamente sostituito da inventariare: ma va senza alcun dubbio evitato da parte del parlante comune.
Permessare (della stessa famiglia del sopra citato permessistica) è alla base del participio permessato, sul quale ci interrogano alcuni lettori: permessato e permessare non sono registrati dai dizionari, e appaiono rarissimi anche da una perlustrazione in rete. Il verbo viene indicato da alcuni studi (cfr. p. es., I linguaggi settoriali in Italia, a cura di Gian Luigi Beccaria Milano, Bompiani, 1973, p. 13) tra quelli derivati con la terminazione in -are della prima coniugazione direttamente dal sostantivo: disdettare, incentivare, permessare, appunto, e tipici del linguaggio amministrativo e burocratico. Pare quindi da escludere una derivazione di permessato dal sostantivo permesso con il suffisso aggettivale -ato, del tipo fortuna>fortunato.
Ingressare e, ancora di più permessare/permessato, sono neologismi strettamente settoriali, sostituibili con sinonimi del tutto equivalenti o con una semplice perifrasi (dotare/dotato di permesso), che possono restare confinati nel settore di pertinenza e di cui la lingua comune è bene che faccia a meno.
Abbiamo visto dunque in questo intervento, che risponde a numerose domande su singole parole, come l’accettabilità dei neologismi risponda a ragioni diverse, che vanno dalla loro formazione, all’esistenza di sinonimi del tutto equivalenti che abbiano il medesimo significato, al loro confinamento in ambiti settoriali o al contrario alla loro diffusione, spesso risalente più indietro nel tempo di quanto si immagini.