DOI 10.35948/2532-9006/2023.28993
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Alcuni lettori ci chiedono se l’espressione prendere una scelta, impiegata in ambito giornalistico, sia corretta o non sia invece “un ibrido” formatosi dalla sovrapposizione di prendere una decisione e fare una scelta.
Quando si discute di locuzioni cristallizzate, sono opportune due premesse: il repertorio lessicale è di continuo sottoposto a spinte innovatrici da parte delle forze che agiscono sulle lingue moderne, con modalità storicamente determinate e sempre più rapide (ad es., l’influsso di altri idiomi, le censure di tipo ideologico, l’introduzione di neologismi); l’introduzione di forme alternative, che non modificano il concetto e suscitano perplessità nei parlanti, è antieconomica, per cui andrebbe respinta dai grammatici, qualora il tipo concorrente sia minoritario nell’uso.
L’espressione fare una scelta è di antichissima attestazione: in base all’archivio digitale dell’Opera del Vocabolario Italiano, la prima occorrenza risale al fiorentino Bono Giamboni (“non faccendo scelta niuna”, dal volgarizzamento delle Historiae di Paolo Orosio), e a seguire (1298) lo Statuto dell’Università e Arte della lana di Siena (“E la decta scelta sia facta infra octo dì”). Il brano di Giamboni è inserito nella prima edizione del Vocabolario della Crusca. I repertori lessicografici esplicitano la locuzione sotto il lemma del sostantivo: ad es., “fare una sc., o fare la sc., la propria sc., scegliere” (Vocabolario Treccani online).
L’equivalente sinonimico prendere una decisione è molto più tardo, registrato a partire dal XIX secolo; ne chiarisce la genesi una delle prime attestazioni: “Attergare un ricorso per prendere una decisione sopra un ricorso” (Giuseppe Bernardoni, Elenco di alcune parole oggidì frequentemente in uso le quali non sono ne’ vocabolarj italiani, Milano, Gioanni Bernardoni, 1812, p. 8). Qui decisione vale ‘pronuncia giudiziaria, sentenza’, come precisa Giovanni Gherardini nella sua replica all’elenco di Bernardoni, la quale si appunta sull’oggetto del parasintetico attergare (Voci italiane ammissibili benché proscritte dall’elenco del Sig. Bernardoni, Milano, Maspero, 1812): “Non dirò già attergare un ricorso, ma attergare una decisione ad un ricorso; e dirò bene, perché attergare vale porre di dietro, da tergo, e le decisioni si scrivono appunto da tergo a’ ricorsi” (p. 18). Dunque il tecnicismo, con un’accezione concreta, ha favorito la combinazione con l’altrettanto concreto prendere, in una locuzione poi estesa a qualsiasi àmbito; il medesimo verbo si lega, per analoghe ragioni, a deliberazione e risoluzione, deverbali con sfumature politico-amministrative.
È nota la censura che, prima nell’italiano burocratico, poi nella precettistica scolastica, ha investito il verbo fare. Tale tendenza è ancora ben viva, se sul sito dell’editore Zanichelli possiamo leggere: “Il verbo fare è uno di quei verbi che si usano più del dovuto, perché facili da usare e da ricordare. Lo si preferisce al posto del verbo che sarebbe più adatto e corretto”. Nel burocratese si preferiscono sinonimi generici come operare o effettuare o compiere, che non a caso ricorrono, per innalzare il registro, anche con scelta: ad es.,
Il comandante in capo Joffre, non gradendo che essi alternino gli impegni militari con quelli politico-istituzionali, impone di compiere una scelta (Sandro Guerrieri, Parlamento ed esecutivo in Francia nella “seconda guerra dei trent’anni”, in Parlamenti di guerra (1914-1945). Caso italiano e contesto europeo, a cura di Marco Meriggi, Napoli, FedOA-Federico II University Press, p. 32, n. 11);
se i contraenti non hanno effettuato una scelta della legge applicabile al contratto, si applica la legge del Paese ove il lavoratore svolge abitualmente il suo lavoro (Giampiero Falasca, Manuale di diritto del lavoro. Costituzione, svolgimento e risoluzione del rapporto di lavoro, Milano, Gruppo24Ore, 2013, p. 202).
Giustamente Massimo Birattari critica questa tendenza lessicale:
L’alternativa a un registro troppo colloquiale non può essere un linguaggio pesantemente burocratico: effettuare una scelta non è più elegante di fare una scelta, è solo più pesante. (Come si fa il tema. Con una sezione sulla prova scritta di italiano alla maturità, Milano, Feltrinelli, p. 83)
Ma l’incrocio con la locuzione prendere una decisione va ben oltre il consueto meccanismo dell’“antilingua del brigadiere” (come la chiamava Italo Calvino): il tipo prendere una scelta sfrutta impropriamente la sinonimia dei sostantivi (scelta ≈ decisione) per mutuare un verbo che non è sinonimo di fare e che, come si è detto, ha potuto reggere l’oggetto decisione grazie a una specifica trafila logico-semantica, fondata sulla concretezza dell’àmbito giuridico; al contrario, scelta mantiene il suo livello di generica astrazione, che si accorda solo con il concetto di ‘fare un’azione’, laddove prendere suggerirebbe l’accezione concreta di scelta, come nel seguente brano:
Alix fece il giro delle altre camere e prese una scelta di varie chiavi (Agatha Christie, Il Villino degli Usignoli, in Ead., L’ultima seduta spiritica, Mondadori, 2019, [e-book]; testo origiinale: “Alix went into the other rooms and brought back a selection of keys with her”).
Verifichiamo la distribuzione delle occorrenze (incluso il tipo fare una decisione, analogico rispetto a fare una scelta) nell’archivio del quotidiano “la Repubblica”, nell’arco di trent’anni. Per comodità si considera l’infinito presente, il participio passato (con i relativi tempi composti), la terza persona del presente indicativo e il gerundio presente:
[*Per 4 occorrenze si tratta di un inserto pubblicitario ripetuto con varianti, mentre la quinta è in un articolo di politica estera]
Alla luce di questi dati, si può concludere che avvertire la scorrettezza della frase prendere una scelta significa dar prova di un raffinato “sentimento della lingua” (per citare il titolo di una bella conversazione del 2019 tra Giuseppe Antonelli e il compianto Luca Serianni); inoltre alcuni lettori si sono resi conto della maggiore presenza dell’espressione, pur minoritaria, negli articoli di giornale. Per una rassegna delle singole occorrenze del solecismo, nonché del suo omologo speculare (fare una decisione), si rinvia al relativo articolo della rubrica Errata corrige (Treccani), curata dal sottoscritto.