DOI 10.35948/2532-9006/2022.17706
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Alcuni lettori ci chiedono se esiste nella nostra lingua un’alternativa alla parola inglese hangover.
Il sostantivo hangover, dal verbo to hang nel significato di ‘to be or remain in dubious suspense; to be doubtful or undecided’ [‘essere o rimanere in una dubbiosa incertezza; essere dubbioso o indeciso’] (OED) a cui è stata aggiunta la preposizione over, è un termine di origine angloamericana, la cui prima attestazione risale al 1894 con il significato di ‘a thing or person remaining or left over; a remainder or survival, an after-effect’ [‘una cosa o una persona rimasta o avanzata; un residuo o una sopravvivenza, un effetto collaterale’] (OED). Già nel 1904, nel Foolish Dictionary di Gideon Wurdz, il termine compare con il significato odierno di ‘the unpleasant after-effects of (esp. alcoholic) overindulgence’ [‘gli spiacevoli effetti collaterali degli stravizi, specialmente alcolici’] (OED), mentre nel 1934 in A puzzle for fools di Patrick Quentin si attesta anche l’aggettivo hang-overish ‘somewhat affected by a hangover’ [‘in qualche modo affetto da un hangover’] (OED).
La parola hangover è entrata anche in italiano. È registrata, infatti, nel GRADIT (che la ritiene termine specialistico del linguaggio medico) e nel Supplemento 2009 del GDLI (da segnalare, invece, l’assenza nello Zingarelli 2021, nel Devoto-Oli 2021 e nel Vocabolario Treccani) come sostantivo maschile invariabile con il significato pressoché identico a quello inglese: ‘effetto postumo di un’eccessiva ingestione di alcool o sedativi’. Il GDLI riporta come prima attestazione dell’anglicismo quella in un articolo apparso sulla “Repubblica” nel 1986:
Che cosa ci fa Jane Fonda in un letto sconosciuto, con una ragnatela di rughe sulla bella faccia che già fu di papà Henry Fonda, l’hangover dipinto negli occhi, i capelli tinti con la ricrescita visibile e un cadavere accanto […]? (Irene Bignardi, Un’assassina Jane Fonda o è soltanto ubriaca, 31/12/1986)
Tuttavia, una ricerca nell’archivio storico del “Corriere della Sera” consente di retrodatare hangover ai primi anni Cinquanta del Novecento:
Perché io avevo un “hangover”, un “hangover” terribile! Tradotta letteralmente, questa parola significa “qualcosa che ti pende sopra”, ma in realtà è un avanzo, oppure la conseguenza dell’avere, la sera prima, bevuto troppo (Hedy A. Giusti, Bevi un pelo del cane che ti ha morso la sera prima, “Corriere della Sera”, 30/8/1952, p. 3)
A metà degli anni Sessanta in un articolo del “Corriere della Sera” (Todisco Alfredo, Fanno il bucato in America i nostri panni linguistici, “Corriere della Sera”, 18/3/1965, p. 3) il termine compare insieme a “centinaia di vocaboli stranieri […] entrati a far parte del nostro idioma”. Difatti, la diffusione di hangover dagli anni Sessanta in poi aumenta considerevolmente, non soltanto in letteratura:
Chi è rimasto a Shanghai, la città perduta degli intrallazzi e dei piaceri proibiti, di quel mondo di uniformi candide, casco coloniale e, quando andavano al maneggio, per fugare l’ “hangover”, frustino alla mano? (Lamberti Sorrentino, Pekino contro Mosca, Milano, A. Palazzi, 1960, p. 214)
[al ri]sveglio si sentirà la testa grave e la bocca impastata, quella sensazione sgradevole che gli americani chiamano hangover (Paolo Monelli, O.P. ossia il vero bevitore, Milano, Longanesi, 1963, p. 91)
[…] e Chester Kallman col broncio e un hangover amaro e uno smoking pataccoso da strapazzo (o da tintoria) (Alberto Arbasino, Lettere da Londra, Milano, Adelphi, 1997, p. 83)
Ma anche in pubblicazioni scientifiche d’ambito medico, di cui si offrono solo alcuni esempi:
Quindi essi permangono a lungo in circolo, sia pure in concentrazioni subnarcotiche, sviluppando una generale azione depressiva, tanto più pericolosa, quando si tratta di individui vecchi o traumatizzati o comunque in scadenti condizioni, in quanto producono sonni post-narcotici prolungati. Il senso di malessere (hangover) può persistere per diverse ore dopo il risveglio («Acta Anaesthesiologica», XXII, 1971, p. 331)
[…] endovenosa di sostanza salina, di maionese, di caffè, di cognac, di sangue (specie di autoemoterapia) e, in un caso, di liquido organico escreto (nella speranza di ritrovare tracce amfetaminiche da rimettere in circolo per ovviare all’ “hangover” privativo) (“Annali della sanità pubblica”, XXXV, 1974, p. 949)
Caratteristici sono i cosiddetti “effetti residui” (“hangover del risveglio”) consistente [sic] in uno stato simile a quello conseguente ad una “sbornia” e, quindi, costituito da malessere generale, cefalea, senso di stordimento ecc. (Francesco Aquilar - Emanuele Del Castello (a cura di), Psicoterapia delle fobie e del panico. Comportamento, convinzioni, attaccamento, relazioni intime, livelli di coscienza, Milano, F. Angeli, 1998, p. 160)
Nel nuovo Millennio, la parola non ha arrestato la sua diffusione. La sua presenza si fa sempre più massiccia nei romanzi e in letteratura, mentre diminuisce nei testi scientifici (e dunque viene meno quella connotazione specialistica che potrebbe aver contribuito inizialmente al suo ingresso nella lingua italiana):
Lo stato di ebbrezza garantiva una temporanea “liberazione” (seguita dai micidiali mal di testa dell’hangover, il dopo-sbronza, il giorno dopo) (Patrizio Nissirio, Dettagli americani: il paese dietro la bandiera, Firenze, Liberal libri, 2002, p. 76)
La mattina seguente, con Albertina e Jean Marie sul punto di salire su una Rolls-Royce, tutta infiocchettata in onore degli sposi, una piccola orchestra avrebbe sciolto hangover e commozione con melodie carezzevoli» (Enzo Muzii, Il tempo parlerà, Torino, Aragno, 2006, p. 127)
Qualcuno ci ha fatto l’abitudine: impermeabile sgualcito, cravatta allentata, feltro cadente e occhiaie da eterno hangover» (Tommaso De Lorenzis, Mauro Favale, L’aspra stagione, Torino, Einaudi, 2012, p. 18)
Inoltre è attestata anche in ambiti d’uso giovanili, come ad esempio la musica rap (si segnala la canzone Hangover del 2016 del rapper romano Gemitaiz), e sui social. Segnaliamo alcuni esempi tratti da Twitter in cui è possibile vedere le due diverse costruzioni sintattiche più frequenti essere/stare in hangover e avere un hangover:
Buongiorno, penso di essere sveglia da almeno un’ora e sono in hangover ok [tweet di @SPRINGT4EGI del 10/5/2021]
Ti sei sbronzato pesantemente e stai in hangover? [tweet di @DavideRomano96 del 6/9/2019]
Apparentemente non ho più l’età per sbronzarmi perché ho un hangover terribile oggi [tweet di @marrtaruga del 16/5/2021]
L’uso massiccio della parola hangover e la sua conseguente registrazione all’interno dei dizionari italiani rappresenta un caso particolare, soprattutto se confrontato con la testimonianza di altre lingue, romanze e non.
Per quanto riguarda lo spagnolo parlato non solo nella penisola iberica ma anche in America Latina, Gabriel García Márquez, in un articolo apparso sul “Corriere della Sera” e tradotto da Luciano Conti, ci offre un quadro molto interessante. L’autore parla del termine cruda, cioè “malessere che si soffre il giorno dopo una sbornia”, usato all’interno di Cronaca di una morte annunciata, e ci dice che
“cruda”, naturalmente, la conobbi in Messico. In Colombia, si dice “guayabo”, ma io preferii la parola messicana, perché la nostra ha più una connotazione di rimpianto che mi infastidiva nel contesto. […] In ogni modo, se scelsi “cruda”, fu per pure ragioni di gusto personale, perché nessun altro stato d’animo ha tanti nomi tra cui scegliere in castigliano: “resaca” in Spagna […], “ratón” in Venezuela, “perseguidora” a Cuba, “chuchaque” in Ecuador. (“Corriere della Sera”, 31/5/1981, p. 3)
Continuando la panoramica, portoghese e catalano utilizzano il termine ressaca (portogh. ‘mal-estar no dia seguinte ao de uma bebedeira’ [‘malessere del giorno seguente dopo una sbronza’] da Michaelis: Moderno Dicionário da lìngua portuguesa [São Paulo, Companhia Melhoramentos, 1998]; catal. ‘mal de cap i malestar general que hom experimenta al cap d’unes hores d’haver consumit un excés d’alcohol o de drogues’ [‘mal di testa e malessere generale che viene entro poche ore dal consumo eccessivo di alcool o droghe’] dal Gran Diccionari de la llengua catalana en línia.
In romeno il termine è mahmureálă ‘starea celui mahmur; indispoziție’ [‘la condizione della sbornia; malessere’] dal Mic dictionar al limbii române (Bucureşti, Ed. Ştiintifica, 1974).
In francese, invece, si ricorre prevalentemente a due espressioni idiomatiche: avoir la gueule de bois (lett. ‘avere la bocca di legno’) ‘avoir la bouche rêche et empâtée, après un excès de boisson’ [‘avere la bocca ruvida e pastosa dopo aver bevuto troppo’] e avoir mal aux cheveux (lett. ‘avere dolore ai capelli’) ‘se dit du malaise extrême et de l’hébétement qui suivent d’ordinaire l’ivresse’ [‘si riferisce all’estremo disagio e stordimento che di solito segue l’ubriachezza’], entrambe registrate nel TLFi. Fuori dai dizionari, in alcuni siti internet in francese si parla anche di post-cuite e di lendemain de cuite, lendemain de fêtes. Nel Québec, invece, provincia francofona del Canada, concorrono il termine xylostomiase e l’espressione lendemain de veille. Concludiamo la panoramica sulla lingua francese con un’ultima parola piuttosto recente e non registrata dal TLFi. Si tratta di veisalgie “un terme médical inventé récemment pour désigner en langage pseudoscientifique la gueule de bois, venant du norvégien kveis, signifiant «inconfort succédant à la débauche», et du grec algia ou «douleur»” [‘un termine medico inventato recentemente per designare nel linguaggio pseudoscientifico la gueule de bois, viene dal norvegese kveis, che significa ‘sconforto dopo la dissolutezza’ e dal greco algia o ‘dolore’], che sembra essere stata coniata in lingua inglese da tre studiosi di medicina (Jeffrey G. Wiese, Michael G. Shlipak e Warren S. Browner) nell’articolo The Alcohol Hangover (“Annals of Internal Medicine”, vol. 132, n. 11, 2000, pp. 897-902; all’interno la parola è scritta veisalgia; cfr. anche qui).
Se usciamo fuori dalle lingue romanze, oltre a Kater del tedesco (‘schlechte seelische u. körperliche Verfassung nach [über]reichlichem Alkoholgenuß’ [‘cattive condizioni mentali e fisiche dopo un consumo [eccessivo] di alcol’] dal Duden. Deutsches Universal Wörterbuch [Mannheim, Dudenverlag, 1997]) e похме́лье [pochmél’e] del russo (‘malessere dopo una sbornia’, dal Grande Dizionario Russo-Italiano Italiano-Russo [Milano, Hoepli, 2001]), è interessante citare il termine krapula proprio del finlandese (suomisanakirja.fi; kielitoimistonsanakirja.fi) e documentato anche in inglese britannico come sinonimo, ormai obsoleto, di hangover (s.v. crapula, OED; il dizionario registra anche il sostantivo crapulence e gli aggettivi crapulent e crapulous), che deriva direttamente dal latino crāpŭla ‘ubriachezza’. In italiano crapula, voce desueta, ha il significato più ampio di ‘il fatto di mangiare e bere smodatamente e disordinatamente’ (Zingarelli 2021: si segnalano anche il verbo crapulare, il sostantivo crapulone e l’aggettivo crapuloso).
Da questo quadro emerge come molte lingue europee abbiano un termine proprio nell’uso vivo, a volte metaforico (es. il termine spagnolo resaca significa letteralmente ‘risacca’), a volte addirittura di derivazione latina come nel finlandese, o abbiano a disposizione diverse espressioni idiomatiche come nel caso del francese. Si è visto anche come vi sia la necessità, nel settore medico di alcune lingue, di coniare/adottare termini che si rifanno in tutto o in parte alle lingue classiche (es. veisalgia o xylostomiase) e che aiutino a denotare scientificamente il malessere.
In realtà, anche l’italiano ha a disposizione diverse possibilità interne alla propria lingua per esprimere il concetto in questione senza dover ricorrere a un anglicismo. Quelle più utilizzate sono postumi della sbornia e postumi della sbronza (o a volte anche soltanto postumi senza specificazione). Si tratta di due espressioni costruite sulla base del sostantivo postumo che specialmente al plurale significa ‘disturbo, strascico lasciato da una malattia | estens. conseguenza, ripercussione’ (GRADIT). Tra le due possibilità la più diffusa è postumi della sbornia. Una ricerca sull’archivio del “Corriere della Sera” e della “Repubblica” registra un totale di 79 occorrenze (“Corriere della Sera”: 22 risultati dal 1977 al 2019; “La Repubblica”: 56 risultati dal 1995 al 2020), mentre postumi della sbronza soltanto 17 ( “Corriere della Sera”: 4 risultati dal 1980 al 2012; “La Repubblica”: 13 risultati dal 1987 al 2015). Anche Google libri testimonia la preferenza per la prima espressione. Riportiamo qui la prima attestazione reperita per entrambe le espressioni:
Dopo il risveglio presentano più accentuati i fenomeni postumi della sbornia, e possono anche essere costretti a letto per parecchi giorni. (Luigi Lugiato, I disturbi mentali: patologia speciale delle anomalie dello spirito, Milano, Ulrico Hoepli, 1922, p. 103)
All’alba dopo il veglione, Alberto, uno dei vitelloni di Fellini, trascinandosi verso casa con i postumi della sbronza, si ribella. (“L’Europa”, VII, 1973, p. 132)
Altre alternative possibili vedono l’aggiunta dei prefissi dopo o post ai sostantivi sbornia o sbronza (con grafia univerbata, separata o unita da trattino). L’unico ad essere registrato nello Zingarelli 2021 è doposbornia, che tuttavia ha poche occorrenze negli archivi dei giornali consultati (“Corriere della Sera”: 10 risultati dal 1938 al 2014; “la Repubblica”: 21 risultati dal 1993 al 2019). Per quanto riguarda l’altro concorrente, doposbronza, la ricerca ci offre ancora meno attestazioni (“Corriere della Sera”: 10 risultati dal 1974 al 2019; “la Repubblica” 13 risultati dal 1986 al 2019). Un discorso analogo vale anche per post sbornia e post sbronza (scritti anche con il trattino), di cui il primo è un po’ più frequente (“Corriere della Sera”: 5 risultati dal 1958 al 2017; “la Repubblica”: 27 dal 2001 al 2020) del secondo (“Corriere della Sera”: 6 risultati dal 1979 al 2017; “la Repubblica”: 15 dal 1997 al 2019).
Concludiamo, infine, la rassegna delle alternative con il possibile recupero di un termine ormai desueto. Si tratta di spranghetta, presente già Vocabolario toscano dell’arte del disegno di Filippo Baldinucci del 1681 (s.v. spranghetta, p. 155) e nel Bacco in Toscana (dalle annotazioni accresciute alla 3ª edizione del 1691, ma già nell’ed. del 1685) di Francesco Redi: “Quando il vino è gentilissimo, / digeriscesi prestissimo, / e per lui mai non molesta / la spranghetta nella testa”, e poi ripreso da Manzoni nel capitolo XV dei Promessi Sposi: “Tra la sorpresa, e il non esser desto bene, e la spranghetta di quel vino che sapete, rimase un momento come incantato”. La voce (propriamente diminutivo di spranga, dunque con valore affine a quello di cerchio alla testa ‘senso di dolore e di pesantezza al capo’, GRADIT) è registrata con questo significato dapprima nella terza edizione del Vocabolario degli accademici della Crusca (1691) e poi nell’Ottocento nel Vocabolario Milanese-Italiano di Francesco Cherubini (Milano, Stamperia Reale, 1814) s.v. sfrison “Spranghetta. Dicesi di dolore nel capo, cagionato da troppo bere vino” (sulla storia della parola, cfr. F. Ageno, Spranghetta, “Lingua Nostra”, XIV, 1953, p. 53). Oggi il termine è presente nel GDLI, nel GRADIT, nel Devoto-Oli 2021 e nello Zingarelli 2021 con il significato di ‘mal di testa, intontimento causato dall’avere bevuto troppo’, ma etichettato come popolare e disusato. Ed effettivamente le attestazioni negli archivi giornalistici sono piuttosto rare (due soli esempi, uno del 1956 e l’altro del 1958) e del tutto assenti in Google libri.
In conclusione, possiamo dire che hangover è un termine entrato in italiano almeno dalla seconda metà del Novecento grazie al prestigio che la lingua inglese esercita in vari ambiti, tra cui quello medico. Oggi, la parola però non è più un tecnicismo della medicina, tant’è che viene usata soprattutto dalle generazioni più giovani in contesti informali.
Tuttavia, anche l’italiano, come molte altre lingue, ha a disposizione diversi termini concorrenti. Tra questi, quelli più usati sono senza dubbio le espressioni postumi della sbornia e della sbronza, spesso ridotte semplicemente a postumi (es. Mi sono svegliato con i postumi, dove il significato specifico del sostantivo è deducibile dal contesto). In particolare postumi della sbornia è attestato già a partire dal 1922 nell’ambito medico. Le altre alternative (doposbornia, doposbronza, post sbornia, post sbronza), sebbene siano ancora poco frequenti nello scritto (ma doposbornia è registrato nello Zingarelli 2021), rimangono da un punto di vista morfologico parole ben formate a disposizione del parlante (è probabile che il loro modello sia dopocena, che però, come la maggior parte dei composti con dopo, si riferisce a uno spazio temporale, mentre doposbornia e doposbronza indicano un malessere fisico e psicologico residuale). Quanto al termine spranghetta, anche se ormai risulta disusato, presenta alcuni punti di forza: è l’unica parola che rende il concetto attraverso una metafora, come fanno altre lingue europee, e non si lega nel significante alle parole sbornia o sbronza; inoltre, le sue attestazioni sono molto antiche (più antiche di quelle di hangover in inglese) e, aspetto non secondario, in autori importanti quali il Redi e il Manzoni.
Dunque, il concetto espresso da hangover era ben noto anche da noi ed era sostanzialmente legato alla tradizione culturale italiana del bere vino (e non whisky o altro). Ma oggi, con il cambiamento delle mode, dettato soprattutto dal mondo angloamericano, abbiamo evidentemente scelto nel consumo di alcoolici (e nelle sue conseguenze negative) di seguire anche linguisticamente l’inglese.