DOI 10.35948/2532-9006/2023.29116
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Le domande a cui rispondiamo riguardano il modo (o meglio i diversi modi) in cui viene indicato il gas maggiormente responsabile del cambiamento climatico, il diossido o biossido di carbonio rappresentato dalla formula chimica CO2 (o CO2) e detto anche comunemente anidride carbonica. In particolare Guiomar Parada, giornalista del “Sole 24ore”, rileva una certa superficialità nella traduzione del termine inglese carbon nell’italiano carbonio, ormai quasi sistematica nella sequenza cristallizzata (o collocazione) emissioni di carbonio, e ribadisce la differenza tra l’elemento chimico rappresentato dal simbolo C e il gas sprigionato da combustili ad alto contenuto di carbonio, come tutti i combustibili fossili, il petrolio e il metano. A questa richiesta abbiamo affiancato quelle di altri utenti che invece chiedono precisazioni sulla grafia della formula CO2 (con il 2 più piccolo e in pedice, come previsto dalla simbologia della chimica, o, invece, nella forma CO2, con la stessa dimensione e sulla stessa linea delle lettere) e sul genere da attribuire a questa formula (la o il CO2?).
Da quando si è cominciato a parlare di sviluppo sostenibile nei primi anni Novanta (nel 1987 era stato pubblicato il Rapporto Brundtland dalla Word Commission on Environment and Development in cui il tema della sostenibilità è stato per la prima volta associato anche all’ambiente) si è presentato il problema di veicolare al largo pubblico, in modo rigoroso e al contempo funzionale all’ampia comprensione, i termini e i concetti tecnico-scientifici connessi. Si tratta infatti di trovare l’equilibrio fra trasparenza e precisione, essenziale per una comunicazione efficace, specie in contesti come quello della sostenibilità ambientale, in cui si mira alla consapevolezza e alla collaborazione attiva di tutti i cittadini, a prescindere dal loro livello di competenza linguistica. Rigore e possibilità di veicolare concetti complessi in questo àmbito non possono essere disgiunti. E la situazione italiana non è troppo incoraggiante, visto che le rilevazioni ISTAT restituiscono un quadro disomogeneo e non rassicurante rispetto ai livelli di istruzione (nelle ultime rilevazioni del 2020 risulta che solo il 15% della popolazione ha un titolo di laurea o superiore e che il 48% si ferma alle elementari o alle medie).
È dunque fondamentale che chi fa divulgazione scientifica (ai più vari livelli) si ponga costantemente il problema della mediazione linguistica: e mediazione vuol dire anche scendere a compromessi a favore di una comprensibilità il più possibile ampia. I giornalisti, in questo senso, sono i mediatori per eccellenza del passaggio di conoscenze dagli esperti ai cittadini e il loro ruolo di “traduttori” è sempre più complesso: è richiesta loro, infatti, una preparazione aggiornata e specialistica per entrare in argomenti tecnici, per capire processi, fenomeni, calcoli, ecc. e poter poi riportare concetti complessi in un italiano comprensibile, senza perdere troppo del rigore scientifico delle fonti.
Proprio in questa direzione, ci sono state nel corso degli ultimi anni varie iniziative rivolte al lessico e alla redazione di glossari per fornire strumenti di ausilio anche ai professionisti dell’informazione. Un’ottima guida dedicata alle parole del cambiamento climatico è quella curata da Gianni Latini, Marco Bagliani e Tommaso Orusa (nata nell’ambito del progetto Lessico e Nuvole dell’Università di Torino), che però dal punto di vista linguistico – come risulta dalle analisi di leggibilità applicate ad alcuni brani da Biffi (2023) – resta una guida decisamente di livello alto, quindi non sempre accessibile a buona parte del pubblico a cui è destinata, nonostante le finalità dichiarate nella quarta di copertina del volume, in cui si legge:
Per fondare la comprensione su solide basi, per interpretare e diffondere correttamente le informazioni, per introdurre al linguaggio e alla forma della letteratura scientifica, per orientare alla riflessione consapevole e indirizzare verso politiche, scelte e soluzioni future: a tutto questo serve un lessico condiviso come strumento di comunicazione. Ecco allora le molteplici utilità di Lessico e nuvole: le parole del cambiamento climatico, una bussola per insegnanti, studenti, giornalisti, comunicatori, amministratori, decisori politici e chiunque voglia acquisire maggiore consapevolezza su questo tema e voglia contribuire al suo studio e alla sua condivisione.
Anche la Crusca si è pronunciata in diverse occasioni su singole questioni e in occasione della XXIII edizione della Settimana della lingua italiana nel mondo (ottobre 2023), ha pubblicato il volume L’italiano e la sostenibilità (curato da Marco Biffi, Maria Vittoria Dell’Anna e Riccardo Gualdo), ricco di interventi e approfondimenti sul tema. Come ricorda Biffi (2023), già nel 2017 l’Accademia era stata protagonista con ENEA di un “pesce d’aprile” che, facendo credere agli utenti di poter scaricare un’applicazione per la ricarica a distanza del proprio smartphone, proponeva una scelta di 10 espressioni per sensibilizzare al risparmio energetico (emissioni zero, ecobonus, led, mobilità sostenibile, lavori verdi, economia circolare, etichetta energetica, casa intelligente, impronta di carbonio, efficienza energetica) introdotte da questo messaggio: “Non esiste ancora una App capace di trasformare le parole in energia, ma esistono parole che ci possono aiutare a risparmiarla. È importante conoscerle e usarle bene soprattutto per coinvolgere gli altri e migliorare insieme il nostro futuro”.
Questa iniziativa va segnalata perché una delle voci trattate può aiutarci a rispondere alla domanda del giornalista Guiomar Parada relativa alla diffusissima “traduzione” giornalistica dell’inglese carbon in carbonio anche laddove ci si riferisca all’anidride carbonica (in particolare Parada si riferisce alla sequenza ormai cristallizzata emissioni di carbonio). La voce che ci interessa è impronta di carbonio (calco di carbon Footprint). In quell’occasione, ci fu una reazione molto simile a quella di Parada da parte di Licia Corbolante (autrice del blog www.terminologiaetc.it), che propose di sostituire carbonio con la formula CO2 dell’anidride carbonica (o secondo la terminologia scientifica della chimica diossido di carbonio), a suo avviso, “comunemente usata e altamente riconoscibile”. Biffi ripercorre l’episodio per notare che la locuzione con la formula è decisamente meno accessibile del calco impronta di carbonio, che – scrive – “evoca con immediatezza al parlante medio italiano esattamente quello che deve evocare: un’impronta sporca e nera di carbone lasciata nel nostro ambiente” (Biffi 2023).
Possiamo accettare questa imprecisione scientifica se il beneficio è offrire un’immagine concreta che possa restare impressa a molte più persone da informare e sensibilizzare? Risponderei “dipende”, e provo a spiegare perché facendo riferimento alla questione sollevata su emissioni di carbonio, che è analoga. Anche in questo caso, infatti, siamo di fronte a un calco dall’inglese: carbon emissions, in cui carbon, tra l’altro, è già forma ridotta della dicitura scientifica carbon dioxide. Tale semplificazione è attestata in inglese dal 1977 (secondo OED), data a cui risale l’esempio inserito con la collocazione carbon emissions sotto la voce carbon nell’accezione di ‘anidride carbonica o altri composti gassosi del carbonio rilasciati nell’atmosfera’. Anche in inglese, inoltre, in alcuni composti, come carbon paper e carbon copy, carbon assume l’accezione di ‘carbone’ (cfr. WordReference.com), così come accade in altre espressioni: carbon cost, carbon pricing, la vecchia carbon tax e la già citata carbon Footprint, che, con la loro larga diffusione mediatica, devono aver contribuito alla diffusione in inglese di carbon al posto di carbone e poi di anidride carbonica. Questa forma, approssimativa dal punto di vista strettamente scientifico ma funzionale alla trasparenza della comunicazione, ha avuto un fondamentale avallo anche dalle traduzioni dei documenti ufficiali del Parlamento europeo, che presto hanno accolto la versione ridotta dell’inglese, che, fin dagli Accordi di Parigi (2016), si trova tradotta in italiano, oltre che con emissioni di gas ad effetto serra, anche con emissioni di carbonio (“gli approcci regolatori alternativi, quali gli approcci congiunti di mitigazione e adattamento per la gestione integrale e sostenibile delle foreste, riaffermando contemporaneamente l'importanza di incentivare, ove opportuno, i benefici non in termini di emissioni di carbonio associati a tali iniziative”: Art. 5).
Resta però da porsi un’altra domanda: perché carbonio sarebbe più accessibile di anidride carbonica? In entrambi i casi ci troviamo di fronte a un termine scientifico che può creare problemi di comprensione a chi non abbia mai imparato, o non ricordi più, i primi rudimenti della chimica. È vero, peraltro, che fin dalle scuole elementari il ciclo del carbonio, nelle sue manifestazioni più concrete e intuitive, è parte dei programmi (oggi chiamati indicazioni ministeriali), e che quindi già dall’infanzia si hanno occasioni d’incontro con il termine anidride carbonica, che, tra l’altro, è marcato dal GRADIT come appartenente al vocabolario comune (mentre carbonio è marcato come termine specialistico e rimanda ad anidride carbonica). Possiamo anche ipotizzare che carbonio risulti più comprensibile per la sua “vicinanza” a un’altra parola italiana, carbone, marcata dal GRADIT come appartenente al vocabolario fondamentale e quindi presumibilmente conosciuta da tutti i parlanti italiano (ma più verosimilmente presente soprattutto all’esperienza delle persone più anziane e meno alfabetizzate, lontana ormai da quella dei più giovani); e proprio il carbone è il materiale che contiene più carbonio e la cui combustione produce quei gas responsabili dell’effetto serra e di tutto quello che ne consegue. L’associazione tra carbone e carbonio non sembrerebbe quindi così poco rigorosa, visto che i materiali più ricchi di carbonio, come appunto il carbone, sono quelli che emettono le maggiori quantità di anidride carbonica e di gas serra. Sempre nel GRADIT, inoltre, emissione è marcato addirittura come parola di alto uso e tutti e tre i termini anidride carbonica, carbonio ed emissione si ritrovano anche nel Nuovo De Mauro, la versione online, ridotta e aggiornata del GRADIT, il cui lemmario limita le entrate dei termini tecnico-specialistici solo alle parole entrate a tutti gli effetti nella lingua comune, grazie proprio al loro impiego diffuso e pervasivo in testi rivolti al largo pubblico e non solo agli esperti.
Viene da pensare allora che lo scoglio maggiore alla corretta comprensione non sia da ricercare solo nei singoli termini, ma nell’intera espressione, che, nel suo insieme, rimanda a un fenomeno complesso e per molti sostanzialmente nuovo: una buona informazione che abbia come fine quello di ampliare l’orizzonte delle conoscenze dei suoi utenti non può prescindere dall’impiego di termini ed espressioni tecnico-scientifiche, ma dovrebbe preoccuparsi di spiegarne il significato attraverso immagini, similitudini ed esempi più accessibili a chi non ha sufficienti strumenti linguistici per decodificarli, ma che comunque ha diritto non solo a una corretta esposizione degli eventi e dei dati, ma anche ad avere occasioni di arricchimento delle proprie competenze, linguistiche e non solo. La scelta di molti divulgatori e professionisti della comunicazione di allinearsi all’uso consolidato del calco sull’inglese emissioni di carbonio invece di emissioni di anidride carbonica non è di per sé una scelta di maggiore trasparenza: se non si spiega che cosa sono tali emissioni, come si formano, quali danni producono e come fare a ridurle, direi che entrambe possono restare oscure; e tanto meno attribuirei questa scelta a superficialità (almeno non in assoluto); forse proprio per la sua affermazione internazionale e ufficiale, a partire dall’inglese carbon emissions nei testi degli accordi internazionali in materia di sostenibilità ambientale, la forma emissioni di carbonio nella comunicazione generalista risponde a un’esigenza di uniformità, spesso determinante per chi non ha una buona padronanza con la terminologia specialistica. Certo, ancora meglio sarebbe almeno segnalare la forma scientifica a fianco di quella comune meno rigorosa, magari spiegandone analogie e differenze, ma sappiamo quanto la velocità e la ripetizione premano sul lavoro dei professionisti dell’informazione e come, specialmente nel campo della sostenibilità ambientale, l’urgenza di essere incisivi ed efficaci diventi ancora più stringente.
Relativamente all’alternanza grafica tra CO2 e CO2, premetto che i miei tentativi di ricerca, in rete e sugli archivi dei quotidiani, della forma canonica con il 2 in pedice si sono scontrati con la “traduzione” automatica nella forma CO2. Questa “manomissione” digitale che porta a cancellare quel piccolo 2 in basso e a riallinearlo, eliminando così la prerogativa grafica della formula chimica, credo che abbia una notevole responsabilità nella prevalenza delle occorrenze della formula, in rete e nella scrittura digitata, con il 2 allineato (CO2). Dopo vari tentativi, impostando su Google (pagine in italiano, 22/10/2023), la formula tra virgolette con le lettere minuscole (“co₂”) sono riuscita ad ottenere qualche dato: “co₂” restituisce 1.320.000 risultati, mentre “CO2” vola a 21.500.000. Mi sono fatta l’idea che, al di là della volontà degli scriventi di essere più o meno rigorosi, sia una questione di strumenti di scrittura utilizzati. Qualsiasi programma di scrittura prevede una funzione per mettere in apice o in pedice lettere e numeri, ma per farlo bisogna o conoscere il codice corrispondente e digitarlo oppure andare nella funzione carattere dei programmi di scrittura e selezionare una posizione diversa rispetto a quella in linea. La necessità di questo ulteriore passaggio, oltre alla resa automatica in CO2 nel passaggio dei testi in rete, favorisce il prevalere su Internet, in contesti non specialistici, della grafia con il numero 2 allo stesso livello e con la stessa dimensione delle lettere che lo precedono. In testi tecnici, o che devono rispondere a criteri di rigore scientifico, è opportuno riportare la formula nella sua forma standard con il 2 in pedice. Dal punto di vista dell’accessibilità dei testi, visto che una sigla come CO2 (anche con il 2 allineato) difficilmente potrà confondersi con altro, direi che il danno al rigore grafico è accettabile, specie in testi divulgativi e informativi dedicati alle questioni ambientali. Ma consiglio di porsi sempre la questione in termini di costi/benefici: in questo caso, la modifica grafica potrebbe generare confusione in chi ha poca dimestichezza con la materia e ricorda dai lontani anni di scuola, magari solo per quel particolare modo di rappresentazione, poche essenziali formule chimiche. La variazione potrebbe far pensare che sia cambiato qualcosa di più sostanziale e questa sarebbe davvero un’informazione scorretta e infondata.
Per quel che riguarda il genere da attribuire alla formula, nei casi in cui la si fa precedere da un articolo (la o il CO2?), possiamo assimilare linguisticamente la formula chimica a una sigla. La scelta dell’articolo per le sigle spesso varia a seconda che si scandisca la sigla nei suoi componenti alfanumerici (“ci-o-due”) o che si “traduca” nel composto rappresentato dalla sigla (H2O sarà ‘acqua’ e il nostro simbolo CO2 sarà ‘anidride carbonica’ o più specialistico ‘bi/diossido di carbonio’). Attribuiremo dunque il genere in base alla forma di scioglimento della sigla che avremo scelto, anche solo mentalmente: se l’anidride carbonica (femminile), avvertiremo anche la sigla come femminile, “la CO2”; se il bi/diossido di carbonio (maschile), anche la sigla corrispondente sarà inserita nei testi con il genere maschile.
Ci sono comunque molte possibilità di ovviare a questa variabilità perché in molti contesti la sigla può ricorrere anche senza articolo e in testi rigidi, come sono quelli scientifici, in cui si trovano spesso formule, è raro anche l’uso di aggettivi qualificativi da accordare per genere al nome. Per quel che può valere, viste le premesse riguardo al trattamento delle formule nella lingua in rete, riporto anche i dati delle ricerche (Google, pagine in italiano, 22/10/2023) relative alle 4 combinazioni possibili:
“la co₂”: 6.170; “il co₂”: 1.010; “la CO2”: 275.000; “il CO2”: 163.000.
Il confronto conferma largamente l’impressione dei nostri interlocutori, anche se la pressione del femminile anidride carbonica appare comunque maggiore. Non si tratta in ogni caso di individuare quale sia la forma corretta e quale la scorretta, perché la scelta del genere grammaticale dipende dai diversi modi in cui ciascun parlante e scrivente si è abituato a sciogliere la formula chimica.
Nota bibliografica: