Consulenze linguistiche

Dove rimane la Crusca? Su un uso particolare del verbo rimanere

  • Valeria Della Valle
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2022.25858

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Copyright: © 2022 Accademia della Crusca


Quesito:

Alcuni lettori ci comunicano dubbi riguardo all'uso del verbo rimanere col significato di ‘essere, stare’ e ci chiedono se la sua origine sia toscana.

Dove rimane la Crusca? Su un uso particolare del verbo rimanere

Per rispondere alle numerose domande dei lettori sulla correttezza del verbo rimanere usato col significato di ‘essere, stare’ in frasi interrogative come: “Dove rimane il parco comunale?” partiremo dalle indicazioni fornite dai principali vocabolari dell’italiano.

Il GRADIT e il Devoto-Oli avvertono che il verbo con questo significato è di uso “familiare”, e allegano gli esempi “dove rimane la stazione?”, “casa mia rimane vicino a piazza Vittorio”, “dove rimane lo stadio?”. Il Vocabolario Treccani online aggiunge la marca di “regionale” allo stesso significato, documentato con le frasi “dove rimane quella strada?”, “mi sa dire dove rimane la posta?”. Il Sabatini-Coletti, lo Zingarelli, il Garzanti e Il Nuovo Treccani, invece, non legano il significato, che illustrano con esempi analoghi a quelli riportati dagli altri repertori né all’uso familiare né a quello regionale.

La risposta ai lettori potrebbe concludersi qui, con l’assicurazione che si tratta di un uso corretto e legittimo del verbo, tutt’al più venato, solo secondo alcuni dizionari, da regionalità o familiarità.

Ma i lettori, oltre a chiedere rassicurazioni sulla correttezza di rimanere col significato di ‘stare, essere situato, ubicato’, vogliono sapere se si tratti, all’origine, di un toscanismo.

Anche in questo caso solo la consultazione dei vocabolari può aiutarci nella ricerca. Tutti i vocabolari ottocenteschi consultati (Giorgini-Broglio, Petrocchi, Rigutini e Fanfani) registrano il verbo rimanere col significato di ‘essere situato, essere posto, trovarsi’, e aggiungono esempi di frasi tratte dall’uso: “Dove rimane la villa che hai presa a pigione?”, “La mia casa rimane vicino alla sua” (Giorgini-Broglio); “Dove rimane la villa del B.?”, “Rimane a mezzo miglio dalla mia” (Rigutini e Fanfani); “Dove rimane quel paese?” (Petrocchi). Il Tommaseo-Bellini, in particolare, dedica al significato una considerazione personale (contrassegnata dalla T. con la quale firmava le voci): “Figurando, come s’è detto, che l’uomo o co’ passi o coll’immaginazione misuri lo spazio, n’è venuto che Rimanere vale Esser posto: La casa che rimane a sinistra”. E s. v. restare lo stesso Tommaseo precisa che si tratta di un uso familiare, documentandolo scherzosamente con le frasi “Scaricalasino dove resta?”, “Dove resta il paese di Udrallo?”.

I lessicografi citati erano tutti toscani, o avevano sposato, come il Tommaseo, la soluzione toscana della questione della lingua: l’accoglimento del verbo col valore di ‘essere, stare, trovarsi’ nei loro repertori conferma che si tratta, all’origine, di un uso regionale toscano, irradiatosi poi altrove. Anche le citazioni presenti nel GDLI lo confermano: l’esempio più recente dell’uso del verbo, anche se non in una frase interrogativa, è tratto da un’opera del viareggino Viani:

Il Marcaccio rimane verso Val Ventosa

Per tornare alle richieste dei lettori, il verbo rimanere (e il sinonimo restare) col valore di ‘essere, stare, trovarsi’ è autorizzato sia dalla lessicografia ottocentesca sia da quella contemporanea, nella quale sembra che il verbo con questo significato vada perdendo il riferimento a un uso regionale o familiare, fino a essere registrato senza alcuna marca d’uso.

Nota bibliografica:

  • Giorgini-Broglio: Emilio Broglio, Giovan Battista Giorgini, Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, M. Cellini e C., 1870-1897 (ristampa anastatica: Firenze, Le Lettere 1979).
  • Petrocchi: Policarpo Petrocchi, Nòvo dizionario universale della lingua italiana, Milano, Treves, 1884-1890.
  • Rigutini e Fanfani: Giuseppe Rigutini, Pietro Fanfani, Vocabolario italiano della lingua parlata, Firenze, Barbera, 1893.
  • Viani: Lorenzo Viani, Il cipresso e la vite, Firenze, Vallecchi, 1943.


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