DOI 10.35948/2532-9006/2021.8550
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Come ormai consuetudine, pubblichiamo la scheda relativa ai derivati di maggio, dopo quelle dedicate ai derivati di gennaio, febbraio, marzo e aprile. Per le informazioni generali e la bibliografia si rimanda all’Introduzione.
Il nome maggio deriva dal latino Maius (mensis), di etimologia incerta, probabilmente da Maia, nome di un’antica divinità italica della terra e delle messi, madre di Mercurio. Secondo l’Etimologico il nome della dea è probabilmente lo stesso del comparativo Maius ‘più grande’ e significa appunto ‘la grande dea’.
Tra le varianti antiche troviamo magio, matgio e maio.
Il ritorno del mese di maggio viene celebrato in tutta Europa con feste e cerimonie antichissime. La pratica più diffusa era quella di portare in processione, il primo giorno del mese (calendimaggio), un ramo o un albero fiorito, detto appunto maggio (anticamente maio). Lo portavano i giovani innamorati (maggiaioli) e lo depositavano davanti alla casa dell’amata o al centro della piazza del villaggio. La processione era accompagnata da danze, canti popolari o composizioni poetiche (maggiolate). Maggio (spesso al plurale i maggi) è anche il nome della canzone che si cantava durante tali feste e della rappresentazione scenica popolare basata su leggende medievali sacre o eroiche che si svolgeva sempre in occasione delle calende di maggio, ancora diffusa nell’Appennino tosco-emiliano (a Firenze è tuttora viva la tradizione del Maggio musicale fiorentino, manifestazione musicale annuale, nata nel 1933). Maggio è inoltre il nome comune di varie piante che fioriscono a maggio o in primavera avanzata (ad esempio la ginestra comune e il viburno palla di neve o pallone di maggio); il GDLI registra anche il valore figurato di maggio come ‘giovinezza’.
È il mese che presenta il maggior numero di derivati e ha anche due composti: cantamaggio e maggiociondolo. Il maggiociondolo è una pianta leguminosa comune nei boschi e coltivata anche nei giardini, caratterizzata da fiori gialli in grappoli penduli e frutti velenosi; il termine è un composto di maggio e ciondolo, con allusione ai fiori che ciondolano (pendono) nel mese di maggio. Cantamaggio è voce regionale tipica dell’Italia centrale, composto dall’imperativo di cantare e da maggio (la canzone delle feste di maggio appena ricordata), e significa ‘canterino, che canta il maggio’ (GDLI); il GRADIT invece lo registra come sinonimo di maggiociondolo.
L’aggettivo maggengo deriva da maggio con il suffisso -engo (variante settentrionale del suffisso -ingo, di origine germanica con la mediazione latina medievale), che indica appartenenza; cfr. il latino medievale madiencus riferito al fieno (a. 1310 a Ravenna) e il francese antico maienc ‘fieno che si falcia a maggio’. Sull’esempio di maggengo si sono poi formati altri derivati aventi come base i nomi dei mesi (marzengo, lugliengo, agostengo).
Maggengo è un aggettivo di ambito tecnico-specialistico, usato in agraria (anche sostantivato) per indicare un prodotto che matura e si raccoglie in maggio, specialmente il fieno pregiato che deriva dal primo taglio (detto anche fieno maggese) o per designare il mais seminato a maggio, caratterizzato da notevole sviluppo e lungo ciclo vegetativo; indica anche il pascolo montano situato a una media altezza dove, in primavera, vengono portate le greggi in attesa che la neve scompaia dai pascoli a quota più alta. Maggengo, sia come aggettivo sia come sostantivo, è anche il formaggio grana che si produce nel periodo estivo, dal 24 aprile al 29 settembre (quello che si prepara dal 30 settembre al 23 aprile è detto invernengo). Nell’uso letterario prende infine il significato ‘di maggio’ (luna maggenga), ‘che si svolge a maggio’:
La fuga dei porcelli sull’Ambretta / notturna al sobbalzare della macchina / che guada, il carillon di San Gusmé / e una luna maggenga, tutta macchie. (Eugenio Montale, La bufera e altro, Milano, 1963, p. 57)
Prima che le bestie perdessero l’uso della favella, l’asino disse la sua opinione su queste feste maggenghe. (Lorenzo Viani, Il nano e la statua nera, Firenze, 1943, p. 96)
Il GRADIT registra anche il sostantivo femminile maggenga, usato in botanica come sinonimo della gramigna dei prati (erba perenne utilizzata come foraggio) o della sciammica (erba foraggera con fiori a pannocchie formati da piccole spighe).
L’aggettivo maggeno non è registrato dai dizionari ma risulta attestato in rete, nei quotidiani e nei testi a stampa, anche in forma sostantivata, con l’accezione ‘proprio, caratteristico di maggio’ (fieno maggeno, formaggio maggeno, prato maggeno).
Maggeno: fieno di primo taglio, perché viene raccolto in maggio (ma anche in giugno), ed è considerato il fieno migliore. (Cruciverba: erba da foraggio (5 lettere), notizie.it, 27/10/2017)
Visto che -eno non è un suffisso, si può pensare che l’aggettivo si sia originato da maggengo, con semplificazione grafica dovuta alla sequenza di tre g.
Anche l’aggettivo maggense non è censito dai dizionari ma è diffuso in rete e nei testi a stampa, con il significato ‘proprio, caratteristico di maggio’ (fieno maggense, prato maggense, fioriture maggensi, feste maggensi). In alcuni casi è usato anche in forma sostantivata.
Il costo del fieno maggense è salito a quattro, cinquemila lire al quintale, da 2500 che ne quotava nel marzo dell’anno scorso. (La siccità minaccia di compromettere i raccolti, “Corriere della Sera”, “Corriere milanese”, 20/3/1953)
Il sostantivo maggerena è il nome regionale veneto della vescicaria, un “arbusto del genere Colutea (Colutea arborescens) comune in boschi e incolti delle zone mediterranee, con fiori dal giallo al rosso e frutto a legume rigonfio simile a una vescica” (GRADIT). Lo stesso GRADIT però ritiene la parola di etimologia incerta, mentre il Vocabolario Treccani online e il dizionario storico GDLI la considerano un derivato di maggio.
I costitutivi della stipa, oltre ai soprannominati alberi e frutici, sono il lentistio […] la ginestrella, la colutea detta maggerena e molti altri. (Giovanni Targioni Tozzetti, Ragionamento dell’agricoltura toscana, Lucca, 1959, p. 18)
Il sostantivo maggerino è registrato soltanto dal DEI, come sinonimo di maggiaiolo; se ne trova traccia anche in rete, in riferimento ai cantanti del maggio (non solo in Toscana). Si tratta di un diminutivo in cui -ino è preceduto da -er-, come in ballerino, canterino, ecc., che sono deverbali, e che quindi hanno fatto da modello.
I maggiaioli, o maggerini, così li chiamano, sono vestiti in modo colorato, hanno cappelli e fiori di carta - nel grossetano, a Braccagni, sono le donne del paese a realizzarli - e suonano con chitarra a tracolla e fisarmonica. (ToscanAutori. Antologia, Ibiskos Editrice Risolo, 2008)
Lo stile di recitazione generalmente adottato in Emilia enfatizza lo straniamento degli interpreti rispetto alla vicenda narrata: il maggerino adotta una postura rigida del corpo; inframmezza il canto con brevi passeggiate, come a togliere ogni intensità emotiva al rapporto con l’interlocutore: […] il “maggerino” chiarisce al mondo esterno che il loro spettacolo non è un’amena rappresentazione di villici intenti in riti agresti collocati fuori dal tempo e giustificati dalla tradizione, ma un modo forte di rivendicare un’identità nel mondo. (Jean Jacques Nattiez, Margaret Bent, Rossana Dalmonte, Enciclopedia della musica: Musica e culture, Einaudi, 2005)
L’aggettivo maggesco non è accolto dai dizionari ma se ne trovano occorrenze sia in rete che nei quotidiani nazionali con il significato ‘proprio, caratteristico del mese di maggio’, soprattutto in riferimento alle condizioni meteorologiche:
Nei riguardi della campagna sarebbe bene che il maggio, normalmente, non fosse molto piovoso; ma quest’anno, data la siccità dell’aprile ed il tardivo aumento della temperatura, non sarà male se l’annaffiamento maggesco sarà un po’ abbondante. (Burrasche di maggio, “Corriere della sera”, 1/5/1927)
È usato anche in riferimento al maggio e alle maggiolate, canzoni popolari che si cantavano il primo di maggio per celebrare l’arrivo della primavera:
Ed ecco la delicata creatura, la meravigliosa e favolosa regina, profondere carezze al ciuco, che si fa grattare beato le orecchie e canta al suo modo maggesco. (R. S., “Il sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare al Teatro dell’Arte, “Corriere della Sera”, 8/10/1946)
Il termine maggese è sia aggettivo che sostantivo. Come aggettivo, non comune, è sinonimo di maggengo e indica un prodotto agricolo che fiorisce, matura e si raccoglie nel mese di maggio, in particolare il fieno (fieno maggese o maggengo, rose maggesi, olive maggesi, lana maggese o maggiatica). L’esempio è tratto dal Dizionario dei sinonimi di Tommaseo, nella riedizione curata da Rigutini):
Si dice ‘granturco maggese’, che vuol dire granturco di maggio… L’uso poi prende dal nome di alcuni mesi gli aggettivi dei frutti che si raccolgono o si seminano in essi: ‘marzuolo, maggese, giugnolo, lugliolo, agostano, […]’ (Niccolò Tommaseo, Giuseppe Rigutini, Dizionario dei sinonimi della lingua italiana, Milano, 1850, p. 832)
Come sostantivo (sia maschile che femminile) indica una pratica agricola (anticamente praticata a partire dal mese di maggio) che consiste nel lasciare un terreno a riposo per qualche tempo, dopo averlo opportunamente arato, allo scopo di permettergli di ricostituire le riserve di fertilità (tenere un campo a maggese). Il maggese tipico (detto anche maggese intero, totale, nudo, ecc.) ha la durata di un anno, il mezzo maggese di un semestre. Il termine indica anche, per estensione, il terreno stesso sottoposto a tale trattamento (sinonimo di maggiatico).
Il vento soffia e nevica la frasca, / e tu non torni ancora al tuo paese! / quando partisti, come son rimasta! / come l’aratro in mezzo alla maggese. (Giovanni Pascoli, Poesie, Milano, 1956, p. 46)
Dal sostantivo maggese deriva il verbo di basso uso maggesare, che significa appunto ‘tenere un campo a maggese’ o anche ‘sarchiare, zappettare (una pianta)’.
La voce maggese è accolta anche in alcuni proverbi: La lepre sta al maggese (predilige i prati, le zone erbose e scoperte dove trova più facilmente pascolo e può vivere meglio; nella macchia, infatti, ci sono molti parassiti che la tormentano, come le zecche), Maggio maggese se vuoi diventare marchese (si taglia per la prima volta l’erba) e la variante Maggio [fa il] maggese [se vuoi diventare marchese].
Si segnala infine l’uso eufemistico di maggese da parte di Boccaccio per indicare ‘la vagina’ e la locuzione farsi maggese usata da Sacchetti in riferimento a una donna costretta a una castità prolungata, entrambi segnalati esclusivamente dal GDLI.
Però che quello [il vomere], dell’antichità roso, come la lenta salice la sua aguta parte volgendo in cerchio, nel sodo maggese il debito uficio recusa d’adoperare. (Giovani Boccaccio, Comedia delle ninfe fiorentine (Ameto), a cura di Antonio Enzo Quaglio, Firenze, Sansoni, 1963)
La sposa vi fu a mezza nona, e questo giovene lavorò il suo terreno che era fatto tanto maggese, come li piacque, e’ ristorò e’ tempi perduti il meglio che poteo. (Franco Sacchetti, Il trecentonovelle, a cura di V. Mariucci, Roma, 1966, novella n. 154, p. 120)
Il GDLI lemmatizza anche l’antico allotropo maése, con il significato di ‘terreno coltivato, maggese’:
Piovette forte quello dì... e quello piovare fu buono per la maese. (Diario di ser Tommaso di Silvestro in Ephemerides Urbevetanae dal Codice Vaticano Urbinate 1745, a cura di Luigi Fumi, Bologna, Zanichelli, 1923-1929, in Rerum Italicarum scriptores. Raccolta degli storici italiani dal cinquecento al millecinquecento, ordinata da L.A. Muratori, nuova edizione riveduta, ampliata e corretta con la direzione di G. Carducci e V. Fiorini, tomo XV, parte V)
Maggiaiolo (variante lett. maggiaiuolo), registrato dalla maggior parte dei dizionari sincronici, è un termine toscano che ha più di un’accezione: come aggettivo significa ‘relativo al mese di maggio, che avviene di maggio’ (feste maggiaiole; anche febbre maggiaiola, che si manifesta di solito in tale periodo); come sostantivo (m. e f.) indica chi recita o canta nelle rappresentazioni sceniche popolari dette maggi o si riferisce a un giovane che cantava le maggiolate portando in mano un ramo fiorito.
Veniva, … ora sì ora no, un canto feminile dal poggio. Giorgio si mise per l’erta in cerca delle maggiaiuole. (Gabriele D’Annunzio, Prose di romanzi, 2 voll., Milano, 1955, p. 817)
Sinonimo di maggiaiolo, maggerino e maggista è il sostantivo maggiante (formato da maggio con l’aggiunta del suffisso agentivo -ante), non registrato dai dizionari ma attestato in rete, nei quotidiani e nei testi a stampa.
[…] la tradizione del maggio (originariamente, legata ai cicli della campagna, si svolgeva prima dell’inizio dell’estate) è documentata dal Settecento, ma risale a secoli assai più remoti, ed è tuttora vivissima in varie zone dell’Appennino tosco-emiliano. […] Quanto ai nomi dei singoli «maggianti» è impossibile farli tutti, e sarebbe ingiusto farne solo alcuni: ma posso assicurare che non mancavano, fra loro, individualità vocali notevoli e che tutto ha funzionato, davanti a un pubblico entusiasticamente partecipe, nel più antico e giusto dei modi. (Giovanni Raboni, Lassù sui monti d’Appennino tra elmi finti e note vere, “Corriere della Sera”, 31/8/1994)
Il singolare spettacolo ha le sue radici in una antica tradizione popolare secondo la quale «fioriscono» compagine di «maggianti» che continuano per tutta l’estate l’opera dei loro padri: trasmettere la poesia preferita dai contadini lugianesi, garfagnini, lucchesi e pisani, quella epica, fantastica, di eroi che fanno sognare. (Canto del maggio, “La Stampa”, StampaSera, 24/7/1982)
Il termine maggiatico, non comune, presenta più di un’accezione: come aggettivo significa ‘del mese di maggio’ (lana maggiatica, ottenuta nella prima tosatura delle pecore che si fa in primavera) o ‘del terreno tenuto a maggese’; come sostantivo, il femminile maggiatica è sinonimo di maggese; il maschile maggiatico è raro in questo senso, ma indica piuttosto un antico tributo che si pagava il primo giorno di maggio ai padroni dei terreni per il diritto di coltivarli o di usarli per il pascolo.
Nelle terre maggiatiche lasciate da' padri sono molti cibi, ed altri gli averà sanza indicio. (Li detti savi di Salomone cioè libro de’ Proverbi volgarizzati, a cura di G. Bini, Firenze, 1847)
‘Maggiatico’ e, in alcuni dialetti, ‘mazatico’: specie di terratico o tributo che si pagava al padrone della terra, o coltivandola od usandola a pascolo. (Giulio Rezasco, Dizionario del linguaggio italiano storico ed amministrativo, Firenze, 1881)
Il sostantivo maggiatura non è registrato dai dizionari ma risulta attestato in rete e nei testi a stampa nel significato di ‘pratica che consiste nello smuovere il terreno, sarchiatura’ (si aggiunge a maggio il suffisso -tura, che in realtà è deverbale, ma “è sporadicamente […] aggiunto a nomi che non hanno un verbo corrispondente”; GRADIT):
In maggio operano la così detta maggiatura, cioè smuovono la terra e si fanno la conca. Nel mese di luglio e agosto si dà la volta, come dicono, ossia si smuove leggermente il terreno. (Atti del terzo Congresso generale degli agricoltori italiani, Tip. lombarda, 1872, p. 98)
Nel vigneto si praticano due arature, in ottobre e a marzo; una «sconcatura» in marzo, una «maggiatura» in maggio, una scerbatura in giugno ed una sarchiatura in luglio. (“Rivista di economia agraria”, Istituto nazionale di economia agraria, 1949, p. 312)
Il sostantivo maggino indica il breve riposo pomeridiano che i contadini e i braccianti agricoli si concedono durante il mese di maggio e poi per tutta l’estate. La voce è registrata soltanto da due dizionari sincronici (GRADIT e Vocabolario Treccani online), che la marcano come termine non comune; il dizionario storico GDLI e quello etimologico DEI considerano invece maggino un regionalismo (il DEI specifica toscano).
Il sostantivo maggiolata, derivato di maggio con i suffissi -olo e -ata, indica il “componimento poetico e musicale di carattere popolare, diffuso specialmente in Toscana nel sec. XV, che si cantava il primo di maggio per celebrare l’arrivo della primavera o come serenata in omaggio alla donna amata” (GRADIT); si riferisce anche alla ‘festa primaverile durante la quale si cantava tale componimento’. È sinonimo di calendimaggio (che indica sia la festa che si celebrava per le calende di maggio che la canzone popolare in uso in tale festa).
Trionfa in suo toscan linguaggio / per le storiche vie la maggiolata (Giovanni Marradi, Nuovi canti, Milano, 1891)
Il termine maggiolino (anch’esso formato con l’aggiunta di due suffissi) ha varie accezioni: come aggettivo (non comune e letterario) significa che è ‘proprio, caratteristico del mese di maggio’:
Quel fiume diverso corre per la folta e verde campagna maggiolina, lungo un filare d’alberi da frutto, che si piegavano e sparivano. (Riccardo Bacchelli, Il mulino del Po, 3 voll., Milano, 1947, p. 486)
Come sostantivo di uso comune indica un piccolo coleottero molto dannoso per le piante, così chiamato perché appare tra la fine di aprile e gli inizi di maggio; in entomologia, si riferisce a vari insetti coleotteri, in particolare delle due specie Melolontha melolontha e Melolontha hippocastani, che hanno elitre rosso-castane e corsaletto grigio o nero e compaiono periodicamente (con ciclo di alcuni anni) in grande numero, divorando le gemme di molte piante. Maggiolino è anche il nome popolare del più famoso modello di auto prodotto dalla società tedesca Volkswagen dal 1938, dovuto alla somiglianza della carrozzeria con il coleottero.
Il sostantivo maggista (m. e f.) è accolto soltanto dal GDLI, con la definizione “chi partecipò alle manifestazioni di piazza del maggio 1915 per auspicare l’entrata dell’Italia in guerra; interventista”:
Le donne si radunan tra loro a consolarsi, «cosa ne faremo, ‘ciò’ di questi uomini?». L’Italia ‘interventista’, ‘i maggisti’ della minuscola prefettura di montagna. (Augusto Monti, I Sanssôssí, Einaudi, 1963, p. 702)
Maggisti (detti anche, con forestierismo non adattato, májovci) erano chiamati anche gli intellettuali cechi raccolti intorno alla rivista “Máj”, fondata nel 1856 (il cui nome era a sua volta ispirato al poema Maggio di Karel Hynek Mácha del 1836), i quali erano attenti all’evoluzione della letteratura e della filosofia europea; faceva parte dei maggisti il poeta e scrittore Jan Neruda.
Maggista è anche usato come sinonimo di maggiaiolo, maggerino o maggiante:
Quando i maggianti (o maggisti come per lo più vengono chiamati in quest’area) ricordano abbastanza bene la loro parte, possono cominciare le prove. (Tullia Magrini, Il Maggio drammatico: una tradizione di teatro in musica, Analisi, 1992, p. 49)
I cosiddetti maggiaioli, o maggisti, o maggianti, coloro cioè che si fanno promotori, i drammi in parola, vuoi del Frediani vuoi d’altri autori di paesi non soltanto limitrofi, li conoscono a menadito. (Leopolodo Baroni, I maggi, Nistri-Lischi, 1954, p. 73)
L’aggettivo maggistico, non è segnalato dai dizionari ma è presente in rete e nei testi a stampa, in riferimento al maggio e ai cantanti del maggio (gruppo maggistico, canto maggistico, compagnia maggistica, tradizione maggistica).
La partecipazione al lavoro di documentazione e valorizzazione del Maggio svolto da Romolo Fioroni nel corso di tanti anni, mi ha permesso di pensare a una possibile affinità con l’opera lirica, nella sua versione concertistica. Gli avevo espresso il un mio desiderio di vedere un confronto tra un componimento maggistico e un’opera di Claudio Monteverdi, “Il combattimento di Tancredi e Clorinda”, nella dimensione del “Maggio in forma di concerto”, ma la sua scomparsa non ha permesso tutto questo. (Giorgio Vezzani, Ivana Monti, l’Ariosto e il Maggio a “L’Orecchio del Sabato”, rivistailcantastorie.it)
Il termine maggivo, non registrato dai dizionari, è voce tipica dell’antica lingua furbesca, gergo della malavita, nella quale, insieme ai termini maggio, maggese e maggiorengo, significa ‘signore’ (sull’argomento si veda: Franca Ageno, A proposito del “Nuovo modo de intendere la lingua zerga”, “Giornale storico della letteratura italiana”, CXXXV, 1958, p. 370-391; Ead., Ancora per la conoscenza del furbesco antico, in “Studi di Filologia italiana”, XVIII (1960), pp. 79-100; Ead., Tre studi quattrocenteschi, in “Studi di Filologia italiana”, XX (1962), pp. 75-98).