Consulenza linguistica

Dalle altezze della Pasqua

  • Rita Librandi
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2025.36436

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Quesito:

Alcuni quesiti giunti al servizio di consulenza della Crusca riguardano definizioni e nomi relativi alle date, alle celebrazioni e ai piatti tipici della Pasqua. Il primo riguarda un dubbio frequente sul motivo per cui si definisca Pasqua alta quella che cade più tardi rispetto alla bassa, laddove sembra avvenire il contrario con alto medioevo, collocato precedentemente nel tempo rispetto al basso. In realtà, ciò che ci confonde sono, da un lato, il punto temporale da cui si parte e, dall’altro, il significato con cui vengono adoperati gli aggettivi alto e basso.

Dalle altezze della Pasqua

Andiamo con ordine, cercando prima di tutto di capire la nascita e il senso della parola Pasqua, che affonda le sue origini nella denominazione della festività ebraica, la Pesaḥ (indicata a volte con Pesach), il cui significato letterale è ‘passaggio’. La festività, infatti, ricorda agli ebrei la liberazione dall’oppressione egizia e il termine allude sia al passaggio di Jahweh, che colpì i primogeniti degli egiziani risparmiando le case degli israeliti, sia alla fuga dall’Egitto attraverso il mar Rosso. Per il tramite del greco Páskha e dell’aramaico *pasḥā’ arriva nel latino dei cristiani la forma Pascha, dal cui accusativo Pascha(m) e da un probabile erroneo accostamento con il termine pascŭa (plurale di pascŭum ‘pascolo’) deriva l’italiano Pasqua, attestato nei testi in volgare fin dalla prima metà del XIII secolo (DELI, l’Etimologico, TLIO, s.v.).

Sebbene nel Nuovo Testamento la parola indichi perlopiù la festività ebraica, approdando nel latino dei cristiani, e successivamente negli scritti in volgare, Pasqua si identificherà stabilmente con la celebrazione della resurrezione di Cristo, considerata la festa più antica e solenne del cristianesimo (Enciclopedia cattolica, Città del Vaticano, Ente per l’Enciclopedia cattolica e per il libro cattolico, vol. IX, 1952, col. 898). Alla Pasqua di liberazione degli ebrei, che celebra il passaggio dalla schiavitù alla libertà, corrisponde dunque la Pasqua di resurrezione dei cristiani, che celebra il passaggio dalla morte alla vita.

Entrambe le festività sono mobili, perché non cadono sempre in uno stesso giorno dell’anno. La prima, partendo dal libro dell’Esodo (12, 1-18), viene celebrata, secondo il calendario ebraico, al tramonto del giorno 14 del mese di Nisan (più o meno tra marzo e aprile); quella cristiana, invece, secondo quanto stabilito dal concilio di Nicea del 325, cade la domenica successiva al plenilunio che parte dall’equinozio di primavera, convenzionalmente fissato al 21 di marzo. Poiché il ciclo lunare dura 29 giorni, il plenilunio potrebbe verificarsi tra il 21 marzo e il 18 di aprile, ma se il 21 marzo fosse un sabato e ci fosse il plenilunio, la domenica di Pasqua cadrebbe il 22; all’estremo opposto, invece, se il 18 aprile avessimo il plenilunio e fosse domenica, si dovrebbe attendere la domenica successiva, ovvero il 25. Se ne deduce che la festività può oscillare tra il 22 marzo e il 25 aprile, rimanendo, quindi, più vicina o più lontana dalla data di riferimento del 21 marzo.

Giorni e mesi della Pasqua cristiana sono fissati dai cattolici e dai protestanti in base al calendario gregoriano; gli ortodossi, al contrario, si servono del calendario giuliano, stabilendo per la Pasqua date ancora diverse. Senza addentrarci, però, in altri calcoli complessi, passiamo a considerare gli usi degli aggettivi alto e basso, il cui primo significato riguarda la maggiore o minore elevazione dal suolo o da un determinato punto di riferimento. Entrambi sono inoltre adoperati in ambito geografico in relazione alla latitudine (alta o bassa Italia in rapporto al nord o al sud) o talvolta alla minore o maggiore vicinanza alla foce di un fiume (Alto Adige, alto Nilo, basso Danubio), implicando in tal modo un concetto di distanza che ritorna anche in relazione agli usi temporali: con notte alta, per esempio, indichiamo la ‘notte inoltrata’, la più distante, cioè, dal tramonto del sole. È considerato pertanto alto ciò che è più distante da un punto di riferimento e basso ciò che è più vicino: se il punto di riferimento è l’equinozio di primavera, sarà bassa la Pasqua che gli è più vicina (dal 22 marzo al 2 aprile), alta quella più lontana (dal 14 al 25 aprile) e media (specificazione peraltro poco usata) quella equidistante (dal 3 al 13 aprile). Il rapporto vale anche per la definizione che gli storici danno di alto e basso medioevo: prendendo, infatti, come punto di riferimento il 1492, data con la quale si fa convenzionalmente iniziare l’età moderna, è basso il medioevo più vicino a questa data, mentre è alto quello più distante.

Rimaniamo ancora all’interno dei dubbi sulla terminologia legata alla Pasqua con la domanda sul Lunedì in albis, definito anche Lunedì dell’Angelo. Si tratta del giorno successivo alla Pasqua, chiamato familiarmente Pasquetta e non incluso, per i cattolici, nel calendario liturgico. Lo si definisce Lunedì dell’Angelo in base al Vangelo di Marco (16, 1-7), che racconta dell’angelo apparso alle donne andate al sepolcro di Cristo per ungerne il corpo con gli oli aromatici. In albis è invece parte della locuzione latina in albis vestibus depositis, con riferimento ai riti del battesimo che si svolgevano nella settimana successiva alla Pasqua. Nella Chiesa delle origini, infatti, il battesimo veniva somministrato durante la notte di Pasqua agli adulti che si convertivano e che ricevevano, come segno di una vita nuova e pura, una veste bianca. I battezzati dovevano indossarla per otto giorni e potevano deporla la domenica successiva, definita per questo motivo “domenica in cui le vesti bianche sono deposte”. In albis è pertanto da attribuire più correttamente alla domenica che segue la Pasqua, anche se è invalso l’uso di indicare così il lunedì immediatamente successivo. È evidente, in ogni caso, che la preposizione in è parte di una locuzione latina abbreviata e che è da considerarsi erronea la sua sostituzione con di; l’espressione lunedì d’albis (ottenuta forse per incrocio con lunedì dell’angelo) non ha infatti alcun senso.

Ma poiché Pasqua e Pasquetta si associano anche al buon cibo, chiudiamo con la risposta a chi ci chiede se sia più corretto parlare di pizza o di torta pasquale. Dipende, come è facile immaginare, dal prodotto cui ci riferiamo. Con pizza, parola dalla storia lunga e di particolare interesse (cfr. Paolo D’Achille, Che pizza, Bologna, Il Mulino, 2017), indichiamo prevalentemente un alimento rustico a base di farina, olio e sale, e dunque una pietanza salata (a base, per esempio, di formaggi e verdure) per la quale sarebbe meglio usare la denominazione pizza di Pasqua. Se invece parliamo di un prodotto dolce, a base di farina e zucchero (o anche di formaggio dolce come nel caso della ben nota pastiera napoletana), sarà opportuno ricorrere alla definizione di torta di Pasqua. È anche vero, d’altro canto, che se ci riferiamo solo alla forma prevalentemente rotonda di pizze e torte, siamo soliti specificare la natura di sapori e ingredienti tramite aggettivi, per cui parliamo di pizza dolce e torta salata, invertendone così la natura originaria. Da ciò deriva, con buona probabilità, l’uso di adoperare indifferentemente l’una o l’altra denominazione anche in assenza della delimitazione degli aggettivi. Non va dimenticata, inoltre, la varietà delle tradizioni gastronomiche regionali: nell’Italia centrale, per esempio, la pizza di Pasqua è normalmente quella dolce, che si consuma nella ricca colazione che si faceva (e in molte case si fa tuttora) la mattina di Pasqua. In un caso o nell’altro, dolci o salate che siano le pizze e le torte, si tratterà sempre di un ottimo modo per festeggiare la Pasqua di resurrezione.


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