Consulenze linguistiche

Cronoprogramma o cronogramma, cronistoria o cronostoria?

  • Vittorio Coletti
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2021.9560

Licenza CC BY-NC-ND

Copyright: © 2020 Accademia della Crusca


Quesito:

Sono giunte varie domande sui discendenti italiani dell’antico Crono, in greco Chronos, il tempo. In particolare si dice cronoprogramma o cronogramma, cronistoria o cronostoria?

Cronoprogramma o cronogramma, cronistoria o cronostoria?

Cominciamo da cronoprogramma e cronogramma e precisiamo subito che sono due parole diverse per forma e significato. Cronogramma non ha, come chiede un lettore, il significato di ‘diverse fasi di verifica e realizzazione (meglio forse invertire le due parole ndr) di un… programma’, che è il significato di cronoprogramma. Il cronogramma, come si vede nel GRADIT, è un termine tecnico della letteratura e indica composizioni in cui appaiono lettere leggibili come numeri romani la cui somma dà la data del componimento che le contiene. Oppure è un termine della vulcanologia per indicare un diagramma che correla i tempi dei materiali eruttati da un vulcano con la loro composizione chimica. Del resto, sono due parole anche formalmente (etimologicamente) differenti: cronogramma è composto da crono- (primo elemento di origine greca che sta per ‘tempo’) e gramma, altro grecismo che sta per ‘lettera’, ‘rappresentazione grafica’ come in elettrocardiogramma. Cronoprogramma è invece composto sì anch’esso da crono- ma poi da programma, per altro pure lui parente del gramma greco, ma già nell’antica lingua presente proprio come prógramma, ‘avviso pubblico’, da cui (via il solito adattamento tardolatino in progràmma) poi la nostra ben nota parola col suo significato comune. Insomma, cronogramma non va confuso con cronoprogramma. Purtroppo accade, come si legge in vari articoli della “Repubblica” (il 17 luglio del 2001 un ingegnere intervistato promette di rifare “un cronogramma dei lavori, per ridefinire la data di consegna” di un aeroporto non concluso; il 2 febbraio del 2007 si parla di un “cronogramma dei prossimi sei mesi di lavoro” di cui fanno parte concorsi per l’assunzione del personale alla Regione Puglia) e del “Corriere della sera” (si consulti la Stazione lessicografica del nostro sito), nonché in vari siti di Internet. Si capisce la causa della confusione, favorita dalla quasi omofonia, ma sempre confusione è. Meglio dunque, se si deve parlare di certe cose, usare cronoprogramma.

Ma di che cosa si parla quando si usa cronoprogramma?, chiedono i lettori. Nell’estate del 2008, si evince dal blog PuntoPanto, Tullio De Mauro, rispondendo a una domanda su Internazionale, aveva scritto che cronoprogramma è “un buon equivalente” italiano dell’inglese timeline, cioè linea, sequenza temporale di lavori, ricerche ecc. Senza dubbio. Va aggiunto che in genere un cronoprogramma è rappresentato in un grafico o in un diagramma che collega i tempi di esecuzione di una data attività ad altri parametri (costi, avanzamento ecc.) ed è usato specialmente nell’edilizia. Lo prevede la legge stessa: il DPR 207/2010 definisce cronoprogramma “un diagramma che indichi la pianificazione dei lavori secondo una sequenza logica e temporale” e anche “un grafico con le attività costruttive suddivise in livelli che consentano di individuare le singole lavorazioni o parti di esse in termini di costi e di tempi”. Insomma, il cronoprogramma è la rappresentazione grafica dello svolgimento e sviluppo di qualcosa nel tempo e secondo determinati parametri (perlopiù, ripeto, i costi). Ci sarebbero anche altre, più comuni parole per dire la stessa cosa, tipo tempistica e persino calendario, se il cronoprogramma non includesse un incrocio grafico tra il tempo e altri dati che nelle due non è necessariamente previsto. Per altro, cronoprogramma è perlopiù seguito da specificazioni come “dei lavori, delle attività, della ricerca ecc.”, esattamente come le altre parole citate. Ma, da ultimo, cronoprogramma ha allargato il suo ambito d’uso ed è passato a indicare più genericamente il calendario o la tempistica o la sequenza temporale o (figuratamente) la tabella di marcia di lavori, progetti, programmi ecc. e, in questo senso meno specifico, è, a rigore, superfluo se non inappropriato. Mentre tempistica è già ben presente nei vocabolari (e non parliamo ovviamente di calendario), cronoprogramma è entrato solo da poco nella lessicografia (non è nel GRADIT e il Supplemento 2009 del GDLI lo usa in una citazione sotto rewamping, ma non lo lemmatizza) con le registrazioni del Devoto-Oli 2018 (che lo data dal 1996) e dello Zingarelli 2020 (che lo attesta dal 1981).

Passiamo ora alla domanda su cronistoria o cronostoria e rispondiamo subito: il resoconto dettagliato e in ordine cronologico di eventi, vicende familiari o pubbliche ecc. è chiamato spesso cronistoria e mai si dovrebbe dire o scrivere cronostoria, che non risulta in alcun dizionario, anche se appare in questo significato sui social e sui giornali per errore (come in chi cita Storia e cronostoria [sic] del canzoniere di Umberto Saba!!). Potrebbe avere un minimo di legittimità come gioco (se voluto) di parole, in un testo che su Internet rievoca la storia della cronoscalata automobilistica Malegno-Borno. Ma per tutto il resto cronostoria per cronistoria è un errore da evitare. Perché? Anche per una ragione etimologica.

Cronistoria non è, come sarebbe l’ipotetica cronostoria, parola composta col grecismo crono- (tempo), tipo cronometro, cronologia, o il cronoprogramma e persino il cronogramma di cui abbiamo appena parlato, ma con l’abbreviazione dell’italiano croni(ca), variante antica del corrente cronaca, ancora ben attestata nell’aggettivo corradicale cronico. Per altro, anche in cronica/cronaca e in cronico è ben evidente l’impronta di crono, del ‘tempo’ greco, sia nella forma (etimologicamente sono tutti grecismi mutuati in italiano via latino e appartenenti alla famiglia di khronos), sia nel significato (la cronaca, infatti, prima di significare semplicemente resoconto, nel Medioevo indicava la narrazione in ordine cronologico di qualche avvenimento o delle vicende di una città ecc.). Anticamente la forma di gran lunga prevalente era in ‑i‑ (cronica) come da etimo latino (chronicam) calcato sul greco khronicos; il corpus OVI ne attesta più di 180 contro solo 4 in ‑a‑ (cronaca). Il passaggio di ‑i‑ o di ‑e‑ etimologici ad a in vocale atona postonica di parole proparossitone (sdrucciole) non è raro in fiorentino e poi in italiano, come mostrano il caso di cofano, anticamente cofino da lat. cophinum su greco kophinos, e la sequenza antica giovene/giovane nonché la lunga oscillazione tra giovine e giovane. Fatto sta che le storie cittadine medievali toscane erano dette e organizzate come croniche, racconti di eventi disposti in ordine cronologico (in latino si parlava anche di Annales, annali, sottolineando l’ordinamento per anno). Cronica si intitolava, a inizio Trecento, quella di Dino Compagni e pochi decenni dopo Giovanni Villani cominciava la sua scrivendo “Questo libro si chiama la Nuova cronica”. E anche quella veneziana Delli imperadori e quella dell’Anonimo romano dello stesso XIV secolo sono, ciascuna, una cronica. Il Vocabolario della Crusca nelle prime due edizioni conosce solo la forma cronica, mentre cronaca si affaccia solo nella terza a fine Seicento. Ma la forma antica in ‑i‑ è sopravvissuta nel composto cronistoria (croni‑[ca] + storia) di cui ci occupiamo, e anche in cronista e cronistico, col significato moderno di giornalista, giornalistico.

La forma più recente, cronaca, ha invece soppiantato quella più antica ed etimologica, sia nel significato storico, di resoconto cronologico di vicende, sia in quello oggi comune di servizio giornalistico. Le due forme si sono specializzate in due significati diversi, particolarmente visibili nella differenza tra cronaca sostantivo e l’aggettivo cronica (maschile cronico) attestato nel Medioevo come ‘propria del tempo, temporale’, e già isolatamente emerso (nel cosiddetto Almansore, volgarizzamento fiorentino trecentesco di un Liber medicinalis), col significato medico di (malattia, patologia) lunga e ripetuta nel tempo, permanente, di malato che lamenta sempre la stessa indisposizione: “la ’mfertà fue lunga e cronica”, significato affermatosi ampiamente (anche con valori figurati) più tardi (secondo il GRADIT dal XVI secolo).

Nei composti derivati dalla base di cronica/cronaca si è salvata la forma più antica e oggi desueta (cronica), come appunto in cronista (che, prima di essere un sinonimo di giornalista, indicava lo scrittore di cronache o meglio di croniche o anche di annali, le già ricordate opere, resoconti storici in ordine cronologico) e nella nostra cronistoria. La forma cronaca ha prodotto invece derivati diversi, come l’antico cronachista, autore di cronache/croniche, e i moderni cronachismo e cronachistico, riferiti ad attività, stile, del cronista (anche spregiativamente), di cui abbiamo appena detto.

Il tempo greco (khronos) è, come si diceva, all’origine di tutte queste parole. Nel caso di cronaca/cronica il punto di partenza più vicino è però un suo derivato, l’aggettivo greco khronikòs (relativo al tempo) ricevuto in italiano via latino chronicum, che poi, dal neutro plurale chronica (che indicava, sempre sul modello greco, i libri di cronologia), ha prodotto la nostra cronica/cronaca singolare (non è raro che plurali neutri latini siano reinterpretati in italiano come femminili singolari, succede anche alla mela e alla pera). Dalla cronica è nata la cronistoria, che ha un sinonimo in cronografia (altro grecismo palese in entrambi gli elementi che lo compongono), da non confondersi con l’omofona e omografa cronografia, come tecnica per l’uso dei cronografi, cioè dei cronometri che registrano i tempi che misurano.

Tra tutti questi figli e nipoti e pronipoti di khronos se qualcuno si confonde e scrive cronostoria per cronistoria è da capire, ma non da perdonare.

Parole chiave