Consulenze linguistiche

Concorrenti “al femminile” di fraterno: scendono in gara sororale, sororio, sorellevole e sorellesco

  • Matilde Paoli
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2022.14686

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Quesito:

Molti lettori e lettrici ci chiedono se in italiano esista un equivalente al femminile dell’aggettivo fraterno per indicare qualcosa che è specificamente ‘di sorella, da sorella’.

Concorrenti “al femminile” di fraterno: scendono in gara sororale, sororio, sorellevole e sorellesco

E dappoichè dalla voce fratello si formò fratellesco, fratellevole, fratellevolmente, affratellare, affratellanza, affratellamento, formeresti tu parimente dalla voce sorella, sorellesco, sorellevole, sorellevolmente, assorellare, assorellanza, assorellamento? Da ciò si comprende a quali assurdi nel fatto della favella condurrebbe l’analogia chi ciecamente seguir la volesse. (Michele Colombo Del modo di maggiormente arricchire la lingua senza guastarne la purità, in Opuscoli, Parma, per Giuseppe Paganino, 1824, pp. 109-110; poi in Lezioni sulle doti di una colta favella e sullo stile, Genova, Stamperia di Giulio Arena, 1829)

Non è raro che vengano poste al nostro servizio di consulenza domande riguardanti i rapporti di parentela che a volte sembrano non avere nella lingua corrispondenti adeguati a esprimere la complessità delle relazioni implicate: è il caso di nipote oppure quello di fratello usato al plurale per indicare i figli degli stessi genitori anche se di genere diverso.

Venendo al nostro caso, l’aggettivo fraterno è usato in italiano come termine non marcato in riferimento al legame che c’è tra i figli degli stessi genitori (e anche, in senso lato, tra persone che si considerino parte di una comunità assimilabile a una famiglia) indipendentemente dal loro genere: non solo è possibile dire l’affetto fraterno che lega Mario e Lucia, ma anche il legame fraterno fra Marta e Lucia o, come proposto da un lettore, le tre donne erano amiche fraterne.
Questione analoga si è posta per il termine fratellanza: non dovremmo usare un termine specifico per indicare il rapporto particolare che lega le donne tra di loro? Bruno Migliorini, molti anni fa, in una lettera conservata nell’Archivio dell’Accademia, rispondeva proponendo sorellanza già allora esistente.

Anche l’equivalente “al femminile” di fraterno è già disponibile nella nostra lingua, anzi se ne possono trovare più di uno. Questa sovrabbondanza dipende da più fattori: il primo è che nella “stratificazione” della nostra lingua esistono almeno quattro termini per indicare la sorella, tutti riconducibili alla forma latina soror sorōris: suora (sòra, dal nominativo), soróre (dall’accusativo); poi siròcchia (serocchia, sorocchia) e sorella ottenute mediante suffissi alterativi. Tutte queste forme erano presenti nell’italiano antico; lo stesso Dante usa sorella, sirocchia e suora nella Commedia. Ognuno di questi termini poi può potenzialmente produrre più aggettivi tramite i diversi suffissi di relazione disponibili nella nostra lingua.
Nel solo GDLI sono registrati, per indicare ‘da sorella, della sorella’, sororale (usato da D’Annunzio, Piovene e Gramsci), sororio (dal latino sorŏrĭu(m), usato da Scroffa e Gioberti), sorellesco (attestato in Baretti), sorellevole (in Pellico, Faldella e Carducci) e anche sirocchievole (in Firenzuola e Bresciani). Se allarghiamo le nostre ricerche alla rete e al corpus di Google libri ci imbattiamo in ulteriori forme: sororista, sorerno, evidentemente costruito in analogia a fraterno, sorellare e altre ancora.

Vediamo di esaminare tutte le alternative per individuare la più “quotata”. Cominciamo con sirocchievole (anche serocchievole): è la voce che ha meno numeri per vincere la partita in quanto derivata, tramite il suffisso -evole da sirocchia (dal latino sorŏrcŭla(m), diminutivo di soror, -oris), termine attestato dal sec. XIII e da tempo fuori dall’uso.

Nella lessicografia sirocchievole è attestato a partire dalla terza edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1691) con il supporto di un’unica citazione dalla traduzione del Firenzuola dell’Asino d’oro di Apuleio: “Consentile il frutto de’ sirocchievoli abbracciamenti, e ricría l’animo della tua divota, ed obbligata Psiche” (libro V, 139). Lo stesso passo si trova nell’ottocentesco Tommaseo-Bellini, in cui il termine è dato come già fuori dall’uso (gli affianca la crux). Nel GDLI, che glossa la voce come antica e letteraria, al passo di Firenzuola si aggiunge una citazione da Antonio Bresciani: “Tutte queste credenze... ne’ cuori de’ lor seguaci son così facili e sì benigne che l’una con l’altra di sirocchievole affetto si strugge” (Ammonimenti di Tionide al giovine conte di Leone, Parma, Fiaccadori, 1839, p. 124). La lessicografia contemporanea o lo dà come fuori dall’uso (GRADIT e Zingarelli) o non lo registra affatto (Devoto-Oli, Vocabolario Treccani online).

Il corpus di Google libri rimanda solo ad attestazioni lessicografiche mono o bilingui, a grammatiche e manuali di ortografia, a edizioni o citazioni delle opere del Firenzuola o del padre Bresciani, con rarissime eccezioni che si arrestano nei primi decenni XIX secolo.
In rete la parola è citata solo in quanto valida per giocare a scarabeo/scrabble.

Passiamo alle forme legate direttamente al termine attualmente in uso per ‘sorella’, apparentemente più “in linea” con l’italiano contemporaneo. Di quelle potenzialmente coerenti con la morfologia derivazionale della nostra lingua, possiamo escludere sorelliano (costruito come cristiano o manzoniano) o sorellano (come popolano o montano) poiché le uniche occorrenze che si trovano in rete o nel corpus di Google libri si riferiscono a termini che indicano una relazione con le opere e con l’ideologia di Georges Sorel (cfr. GDLI s.v. soreliano). Un caso a parte è sorellista che può anche non essere legato al sorellismo, inteso come movimento di adesione al pensiero soreliano, ma può avere altri valori come, per esempio, quello di ‘sostenitori di una sorella’, secondo i Neologismi Treccani, in particolare la sorella di Bobo Craxi:

sorellista
i Sorellisti - non sono i soreliani, ovvero quelli che si ispiravano al leader social-rivoluzionario Georges Sorel, ma i fan di Stefania Craxi (il Messaggero, 23/10/2005)

In rete di parla anche di “internazionale sorellista” con riferimento al movimento per i diritti delle donne omosessuali. In ogni caso si tratta di significati diversi da quello che interessa e soprattutto di usi molto rari.

Un po’ più consistenti le possibilità di successo di sorellare, costruito probabilmente in analogia a familiare e gemellare, ma che non ci risulta attestato nella lessicografia sincronica contemporanea, né in quella più antica; non lo si trova neanche nel GDLI.
In rete ha una presenza non trascurabile (oltre 2.600 risultati in italiano per singolare e plurale, al 7/4/2021), ma basta scorrere le pagine per accorgersi che il motivo è il film di animazione The LEGO® Movie 2: The Second Part (2019) in cui appaiono un Systar sistem e una Systar Starship, creazioni, guarda caso, della fantasia di una sorella. Il termine Systar, chiaro riferimento all’inglese sister ‘sorella’ (che prevede una forma dialettale/gergale sista), è reso nella versione in italiano con sorellare, per cui troviamo il “Sistema Sorellare” (che ha anche dalla sua la vicinanza fonica con sistema solare) e anche un’“astronave sorellare”.
Apriamo una piccola parentesi per dire che analoga origine nella traduzione di una voce inglese ha probabilmente fratellare usato in rete come aggettivo in riferimento a un passeggino (in inglese brother o double stroller) che, rispetto a quello detto gemellare (twin stroller), ha la possibilità di mettere le due parti in versioni differenziate in rapporto all’età (da un lato passeggino, dall’altro carrozzina). Anche l’aggettivo fratellare, che assume il valore di ‘adatto per fratelli’ non previsto da fraterno, non è attestato nella lessicografia italiana, nemmeno in quella più recente.
Tornando a sorellare, se nella ricerca impongo condizioni che escludano il film o i prodotti a esso collegati, le occorrenze si riducono notevolmente, ma qualche esempio pertinente è comunque reperibile:

Con spirito fraterno e sorellare La Scuola dell’infanzia ladina del Südtirol regala ai suoi alunni un ambiente di apprendimento trilingue (titolo di un pdf nel sito della Regione Valdaosta)

Lo stesso richiamo allo “spirito fraterno e sorellare” si trova anche all’interno del testo.
Un altro esempio viene dal mondo dello spettacolo:

Con Veronica è nata una grande storia figliale [sic], ma anche sorellare. (Grande Fratello Vip, Simona Izzo saluta i coinquilini mentre Ricky Tognazzi le manda saluti aerei, www.gossipblog.it)

Se passiamo al corpus di Google libri, sorellare, anche con il plurale, non raggiunge le 200 attestazioni, la gran parte delle quali è frutto di lettura errata o si riferisce al verbo sorellare, variante di assorellare che è attestato in parte della lessicografia contemporanea come di uso letterario o comunque limitato, per ‘unire, vincolare, familiarizzare’ (cfr. GDLI, Vocabolario Treccani online, e GRADIT).

La prima attestazione di sorellare in funzione di aggettivo sembra risalire al 1831 in una recensione allo Spirito della Dialettica (1828-1830) di Licinio Ventebranz (Vincenzo Albertini) in cui alla fine di una citazione dallo stesso Albertini si legge:

E ciò pel già propostomi divisamento di volere colla santa religione nostra, che figlia è pure del cielo, questa cristiana mia filosofia sorellare. (“Biblioteca Italiana: o sia giornale di letteratura, scienze ed Arti”, tomo LXI, a. XVI, 1831, p. 237)

A oggi possiamo dunque affermare che il termine non ha avuto e non ha molto successo.

A differenza di sorellare, sorellevole, analogo ad amichevole e amorevole, è attestato dalla lessicografia: lo troviamo già nel Tommaseo-Bellini:

SORELLEVOLE.
[T.] Agg. Da SORELLA, corrisponde a Fratellevole (V.). [ Cerq] Lo propone il Colombo, e altri l’usa. Sororius, aureo.

Nella voce si cita anche il corrispondente “al maschile” fratellevole e per entrambi si rimanda al Colombo, l’autore della citazione che abbiamo riportato in apertura, il quale però non ci sembra “proporre” sorellevole, se non come un’assurdità. Lo stesso dizionario riporta anche, seppure con la marca “non usit[ato]” l’avverbio sorellevolmente usato da Bandello nelle Novelle. L’aggettivo (non sempre l’avverbio) è giunto fino ai dizionari contemporanei (ma non nel Devoto-Oli 2021) benché in alcuni casi con restrizioni d’uso: antico e letterario nel Vocabolario Treccani online, obsoleto nel GRADIT.

Secondo il GDLI, che attesta anche, come il GRADIT, sorellevolezza e sorellevolmente, la sua prima attestazione risalirebbe a Silvio Pellico nelle Mie prigioni (GRADIT, infatti, lo data 1832) evidentemente non riconoscendo, come fa il Tommaseo, il valore di attestazione piena al testo di Colombo, risalente al 1824; lo Zingarelli 2021 retrodata al 1513 per la presenza dell’avverbio sorellevolmente nelle Selvette di Niccolò Liburnio (dobbiamo questa informazione alla cortesia di Mario Canella e Andrea Zaninello curatori dell’edizione).

Si tratta di una forma presente nella nostra tradizione letteraria (non è però attestato nei corpora Bibit e DiaCoris), abbastanza da ottenere la registrazione nella lessicografia anche contemporanea, ma, a giudicare dalle domande che ci giungono, non così diffusa da essere presente nella competenza comune; del resto non se ne trova traccia nei corpora CoLIWeb, LIT e LIR, consultati attraverso la stazione lessicografica VodiM, né negli archivi della “Repubblica” e del “Corriere della sera”.

Anche i risultati della ricerca in rete (Google pagine in italiano al 7/4/2021) superano di poco le 900 occorrenze totali tra singolare e plurale e, quando non si tratta di testimonianze lessicografiche, sono più spesso riflessioni sulla parola che usi reali.

Sororale/Sorellevole/Sorellanza
Avete mai sentito queste parole? Noi ce ne siamo innamorate. Perché per una volta i gesti fra sorelle (di sangue o di anima) hanno un nome preciso.
Fra amiche ci si parla con tono sorellevole, ci si sostiene con sororanza. […]
La sorellanza esiste. La completa, incondizionata, meravigliosa donazione di sé alle donne che ricambieranno con la stessa sorellevole solerzia. (post sul profilo Facebook Le Sognatrici, 19/10/2017)

Quei pochi impieghi effettivi che siamo riusciti a trovare sono sempre di registro elevato:

È interessante perciò, in questo consesso sorellevole della mitologia greca, comprendere cos’è una dea. Per questo occorre veicolare l’attenzione verso il concetto di donna, divinità e mortale, e per questo bisogna affrontare il tema dell’iniziazione femminile, per così conoscere meglio il mito attraverso l’aspetto esoterico. (Paolo Battaglia La Terra Borgese, Fra riti e miti, alla scoperta delle radici della Sicilia, il SudOnLine.it)

In Google libri, dalle circa 700 attestazioni del XIX secolo, si passa alle 290 del secolo successivo, che spesso si trovano in opere lessicografiche, citazioni da Carducci o da altri autori ottocenteschi; a volte si parla di rapporti tra suore. In questo secolo, al 7/4/2021, le occorrenze sono 67 e anche in questo caso spesso si parla di suore, si citano Carducci o Pellico (cfr. GDLI); inoltre il termine è spesso virgolettato, in alcuni casi è seguito da un “sic”. Analoga progressiva rarefazione si riscontra per l’avverbio sorellevolmente (XIX secolo: 231, XX: 94, XXI: 8).

Sembra quindi che anche sorellevole sia ormai fuori dalla gara.

L’ultimo concorrente per la squadra di sorella è sorellesco: come già detto lo attesta il GDLI come forma antiquata col valore di “Che è proprio delle sorelle, che è nutrito reciprocamente dalle sorelle (l’affetto)” e con il solo appoggio di una citazione da una lettera di Giuseppe Baretti datata 1° aprile 1763: “L’amor fratellevole lo conosco in prova anch’io, ma dell’amor sorellesco non ho idea, perché per mia sventura non ho sorelle” (cfr. Scritti scelti inediti o rari di Giuseppe Baretti con nuove memorie della sua vita, vol. II, Milano, per G.B. Bianchi e C., 1823, Lettera XIII, p. 27). Il termine non è però registrato nei dizionari sincronici consultati.

In rete se ne trovano poche attestazioni, ma stavolta per lo più in testi di carattere informale: forse si riconosce la forma come vicina alla lingua “di tutti i giorni” in cui abbiamo animalesco, bambinesco, buffonesco e anche fratellesco: si parla di “cena sorellesca”, di “sorellesca miglior amica” di “schermaglie” o “minacce sorellesche”, nonché di “orgoglio sorellesco” e di “compleanni/vestitini/sghignazzamenti sorelleschi”.

Nel corpus di Google libri il termine non trova attestazioni prima dell’Ottocento, se non nel Gran Dittionario reale tedescoDas herrlich Grosse Teutsch-Italiänische Dictionarium di Matthias Kramer (Nürberg, Endter, vol. II, 1702 e più volte ristampato) come traduzione dell’aggettivo Schwesterlich con il valore di “Da sorella, Ciò che conviene a sorella” e nella lettera di Baretti citata in GDLI. Se, come testimoniato nella citazione d’apertura all’inizio del secolo, Michele Colombo nelle sue Lezioni poteva considerarlo un assurdo, si possono trovare, sebbene assai rare, testimonianze di usi reali, di cui riportiamo un solo esempio:

La Teresina che aveva ascoltato tutta la predica, e che aveva visto l’atto della sua Lia, da musone [sic] come era stata sino allora pel dispetto in un angolo della stanza, divenne ilare e prese parte alle sorellesche tenerezze e, poverina! domandato scusa alla Lia, le stampò un bacio sulle guancie [sic]. (Luciano Scarabelli, Precetti ed esempi di moralità civile per l'educazione dei giovinetti italiani d’ambo i sessi, Milano, E. Treves editore, 1870, p. 221)

Nel secolo successivo lo usa Carlo Rosselli in una lettera dal carcere di Como datata 4 aprile 1927 (per la data cfr. Laura Benedetti, «Specchio dell’anima e teatro d’anima»: Amelia Rosselli tra Ibsen e Giacosa in La scena del mondo: studi sul teatro per Franco Fido, a cura di L. Pertile, R. A. Syska-Lamparska, A. Oldcorn, Ravenna, Longo, 2006, ‎pp. 221-231: p. 230):

E non dimentico la gloriosa autrice di Gente Oscura [Amelia, la madre]. Ho raccontato l’altra sera a Ansaldo la trama della prima novella. Gli piacque assai. Perché non ritenti la novella? Un lavoro più breve e succoso forse potrebbe piegarsi alle necessità materne, nonnesche e sorellesche… (I Rosselli: epistolario familiare di Carlo, Nello, Amelia Rosselli 1914-1937, Milano, Mondadori, 1997, ‎p. 329)

È poi usato da Carlo Emilio Gadda in Eros e Priapo: (da furore a cenere) scritto tra il 1944 e il 1945 ma pubblicato nel 1967:

Quanto alla estrusione postica, è innegabile che il suo felice e cospicuo verificarsi sia una gran felicità per i bimbi, per i cresimandi e per gli adulti: e quindi motivo a tutti e ad ognuno di «cara soddisfazione e d'orgoglio personale e paterno: e filiale e nepotile e fratellesco e sorellesco e cuginesco e cameratesco» e chi più ne ha più ne metta. (p. 174 dell’ed. Garzanti, 1990)

Nelle due ultime attestazioni ci sembra di notare una sfumatura ironica e in effetti il suffisso -esco produce aggettivi con connotazione “tendenzialmente” peggiorativa (cfr. Grossmann-Rainer 2004, p. 392).

A fine secolo si trova un’altra attestazione nell’Elmetto inglese di Ugo Baduel, scritto nel 1989 e pubblicato postumo nel 1992.

Nel XXI secolo le attestazioni rimangono nell’ordine delle decine e a volte ancora tra virgolette o “per assurdo”. Diamo un solo esempio che testimonia l’insuccesso di questo concorrente:

E per incoraggiare le nuove [mamme] che verranno, a maggior ragione e più di prima, con il consiglio fraterno (sarebbe meglio sorellesco ma non si può) di voler accogliere questi consigli… (Natalia Piemontese, Mamme Online Come gestire casa lavoro e figli senza impazzire e con un aspetto decente, Cervia (RA), Blu Editore, 2020, p. 13 [e-book])

Esaurite le possibilità dei derivati di sorella passiamo a quelli che rimandano più direttamente al latino soror. Come abbiamo visto sororio e sororale sono attestati nella lessicografia, mentre sorerno è per così dire un “outsider”. Cominciamo proprio da questa forma.

Sorerno è un monstrum chiaramente rifatto su fraterno (dal latino fratĕrnu(m)) che però trova qualche attestazione in Google libri: nella maggioranza dei casi si tratta di citazioni da antichi testi (risalenti per lo più al XVII secolo), prevalentemente di area meridionale (dove la voce sore ‘sorella’ è viva, specie se seguita da possessivo clitico: sòrema, sòreta, ecc.), in cui la voce compare all’interno di una stessa formula ascrivibile all’ambito del diritto di successione (si tratta di dichiarazioni di rinuncia all’eredità da parte di donne che vanno a matrimonio con dote familiare). Un esempio:

…sposerà Lisenia De Noi, figlia di sintellaro, che la doterà con 300 ducati di moneta, chiedendole, inoltre, di rinunciare ad ogni ulteriore, eventuale pretesa sui beni «paterni, materni, fraterni, sorerni, zierni et averni […]. (Annastella Carrino, Parentela, mestiere, potere. Gruppi sociali in un borgo meridionale di antico regime (Mesagne: secoli XVI-XVIII), Bari, EDIPUGLIA, 1995, p. 152 [i fatti a cui si riferisce il testo risalgono al 1599])

In qualche caso, diversamente datato, lo si propone come una forma utile e se ne denuncia la non esistenza nella nostra lingua:

Da sempre esistono parole come fratellanza, fraternità, fraterno, persino fratricidio: ma non si conosce l'uso di parole come sorellanza, sorellità, sorerno, sorellicidio. Segno evidente che né la solidarietà, né la complicità, né l’affetto, né l’eventualità di sbranarsi sono mai stati previsti o ritenuti validi, sino a tenerne conto, tra donne. (Natalia Aspesi, Delle donne non si sa niente, Milano, Il Saggiatore, 2015 [non c’è la numerazione delle pagine]; ristampa di La donna Immobile, Milano, Fratelli Fabbri, 1973)

Abbiamo rintracciato solo un caso di impiego reale:

Peggio che peggio se si tratta di «una» parente; allora sì che mette alla prova tutta la sua ferocia, magari sorerna... Ti piove addosso una gragnuola di fatti, più o meno «acci» o «ucci», di particolari più o meno indecenti o infami… (Piero Mataloni, Pennellate, Roma, Ed. Storie Brevi, 1950, ‎p. 183)

Passando alla rete, si trovano poche centinaia di attestazioni, quasi sempre in testi riconducibili alle chiese protestanti; se ne possono trovare esempi, sempre in associazione a fraterno, sul sito Riforma.it organo di informazione delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi, in cui si parla di “agape” o “comunione fraterna e sorerna”, di “legame” o “incontro fraterno e sorerno”. Del resto in molti siti di movimenti e organizzazioni cristiane in inglese si parla di brotherly and sisterly communion, brotherly and love, brotherly and sisterly agape.

Ci possiamo poi imbattere in creazioni estemporanee come questa:

ammazzà Claudieèè, siamo due fortunelle, he??! bel periodino anche per te la post gravidanza!!! un grande abbraccio veramente sorerno (il femminile di fraterno, appena inventato da me) […] (Forum NoiMamme.it, 10/4/2011)

Il termine sororio ha invece una lunga tradizione e un patrimonio di attestazioni più consistente ed è registrato nel GDLI come letterario, nel Vocabolario Treccani online come letterario e raro, nel GRADIT come di basso uso, ma non nel Devoto-Oli e nello Zingarelli. Termine di diretta discendenza latina viene spesso usato in riferimento all’antica Roma: sororia è l’appellativo di Giunone alla quale secondo il mito l’ultimo Orazio vincitore dei Curiazi eresse un altare per espiare l’uccisione della propria sorella e il Tigillo sororio era un travicello sostenuto da due pali che sorgeva vicino al Colosseo presso il quale si compivano cerimonie di purificazione al rientro in città; il riferimento è ancora all’Orazio superstite (cfr. la voce in Enciclopedia Treccani).

In letteratura la prima attestazione di sororio risale al 1562 nei Cantici di Fidenzio di Camillo Scroffa, poi appare nel Della forma delle Muse di Giovan Paolo Lomazzi (1591), citati in GDLI, e nelle Memorie di Lorenzo Da Ponte (1823-1827) citate anche dal Treccani. I primi due testi rimandano ancora al mondo classico (Scroffa parla di Febo che cede “al bel lume sororio”, Lomazzi di “ben voglienza” sororia delle Muse), mentre in Da Ponte ci si riferisce a una sorella in carne e ossa. In realtà l’attestazione più antica fornita dal GDLI si riferisce a un rapporto familiare non mitico: cognato sororio è il ‘marito della sorella’ nel Libro del Peregrino di Iacopo Caviceo (1516). Sempre GDLI riporta l’uso di Vincenzo Gioberti nel Della protologia (1857; saggio IV), che tratta del “matrimonio fra i prossimi parenti”:

Il coniugio fraternale e sororio dei primi uomini, oltre la necessità, avea un'indole particolare; perchè la prima famiglia fu tutto il genere umano.

Parlando dell’uso di sorerno, si è citata una formula giuridica di rinuncia ai beni in cui comparivano in sequenza gli aggettivi paterno, materno, fraterno, sorerno, zierno e averno; in realtà i testi di natura analoga presenti nel corpus di Google libri presentano in prevalenza all’interno della stessa formula l’uso di sororio. Lo si trova più volte, per esempio, nelle Conclusioni del Pubblico Ministero e sentenza diffinitiva del Tribunal Civile… ([Napoli], 1823), ma anche in testi di diversa area:

La donna che, senza l’assenso del padre, o in mancanza di questo, del fratello e della madre, passava a matrimonio con persona ignominiosa o di condizione molto inferiore, perdeva ipso facto ogni diritto all'eredità materna, fraterna et sororia, […]. (Statuti della città di Trento colla designazione dei beni del Comune nella prima metà del secolo XIV, Trento, Tipografia Monauni, 1858 Libro I, delle cose civili, p. XXXVI; [la norma è rimasta in vigore fino al 1803])

Sembra trattarsi, quindi, di un latinismo stabilizzatosi in ambito giuridico. Ma non solo: il termine in rete, oltre alle attestazioni in riferimento a Iuno o Giunone sororia e al tigillo sororio, ricorre in testi di biologia e botanica nelle denominazioni in latino scientifico di organismi viventi. Sembra quindi forma poco spendibile nel linguaggio comune.

L’ultimo aggettivo della lista è sororale, altro termine di tradizione colta che ha fatto il suo ingresso in italiano piuttosto tardi: secondo il GDLI, che lo glossa come letterario, è usato per la prima volta da D’Annunzio nell’Innocente; in accordo GRADIT e Devoto-Oli 2021 datano il termine 1891, anno della stesura del romanzo, e Zingarelli 2021 lo data 1892, anno della pubblicazione. Oggi possiamo anticiparne la datazione di qualche decennio: lo troviamo infatti in un passo molto simile a quelli citati riguardanti la rinuncia delle donne “dotate”, in Venezia e le sue lagune stampato nel 1847; l’autore del testo, ripubblicato l’anno successivo col titolo Della Giurisprudenza veneta civile mercantile e criminale, è Daniele Manin:

Le donne, cui era stata costituita la dote temporale o la spirituale, costumavano rilasciare al dotante un atto, che chiamavasi quietanza o rinunzia. Con esso, chiamandosi paghe e soddisfatte della dote costituita, in correspettivo della medesima rinunciavano al dotante tutti i loro beni presenti e futuri, paterni, materni, di zii, di zie, aviti, ascendenti, discendenti, fraterni, sororali, trasversali e d’ogni altra qualità. (Venezia e le sue lagune, vol. I, Venezia, Stabilimento Antonelli, 1847, Cap. VI, p. 297)

La diffusione del termine si deve sicuramente a D’Annunzio tanto che, delle oltre 5.000 attestazioni presenti nel corpus di Google libri, molte sono citazioni dalle sue opere. Molte altre rimangono nell’ambito della critica letteraria dove si comincia a parlare di “amor sororale” di Fedra per Ippolito (Giuseppe Checchia, La «Fedra» di Umberto Bozzini, “La rivista abruzzese di scienze, lettere ed arti”, 1910, pp. 405-422: p. 414) o della “sororale Antigone” (Eugenio Della Valle, Saggio su La poesia dell’Antigone, Bari, Laterza, 1935, p. 31).

A partire dagli anni Cinquanta la parola si affaccia anche nell’ambito di un’altra terminologia specialistica, quella dell’etnologia e della sociologia: viene introdotta l’espressione poliginia sororale, calcata sul francese (cfr. Marcel Granet, La Polygynie sororale et le sororat dans la Chine féodale, Paris, Editions Ernest Leroux, 1920) per indicare il costume, o l’obbligo, presente in alcune culture, di sposare la sorella o le sorelle della moglie dopo la sua morte o per la sua provata infertilità (cfr. Dizionario Enciclopedico italiano, Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani, vol. XI 1960, s.vv. sororale e sororato).

In questo secolo nei libri si contano, tra singolare e plurale, meno di 6.000 attestazioni: non si tratta certamente di un termine comune (GRADIT lo dà come di “basso uso”), specie se lo si confronta con fraterno, che ha per il solo maschile singolare (si pensi anche che sororale è ambigenere) oltre 40.000 risultati; se poi ci spostiamo in rete il rapporto tra le due forme al singolare è di 12.200 a 1.510.000, ovviamente a favore di fraterno (ricerca effettuata il 7/4/2021).

A questo punto è lecito porsi una domanda: come mai, se c’è, o c’è stata nel corso dei secoli, una rosa di ben sette termini per indicare l’alternativa femminile di fraterno, nemmeno uno è passato nel patrimonio dell’italiano “di base” o almeno “comune”?

Evidentemente fraterno “funziona” ancora per indicare anche i rapporti tra fratelli e sorelle e anche tra sorelle. Ma è anche vero che le domande che ci vengono poste, oltre alle testimonianze, alle riflessioni e agli “sforzi creativi” reperiti in rete, attestano che c’è oggi un’esigenza diffusa di distinguere l’aggettivo riferito a una sorella da quello che si riferisce a un fratello, almeno quando coinvolge una singola persona o in rapporto con un’altra dello stesso sesso femminile.

D’altra parte, se, come abbiamo visto, più volte, nel corso della storia della nostra cultura, almeno a partire dal XVI secolo con sirocchievole, si è avuto un termine specifico, evidentemente ci sono stati momenti e ambiti in cui tale termine si è mostrato necessario. E non sarà un caso che altre lingue occidentali, parlate in paesi a noi molto vicini, usano da tempo un termine specifico: abbiamo visto che l’inglese ha sisterly e anche sororal, e il tedesco schwesterlich; in francese esiste sororal, lo spagnolo, oltre a hermanal (in spagnolo il fratello è hermano e la sorella è hermana), ha anche sororal.

Per concludere: possiamo affermare che anche in italiano sono disponibili alcuni termini, il più “quotato” dei quali è sicuramente sororale, in quanto gode di una tradizione letteraria a noi più vicina e ha anche il vantaggio di avere un “parente” in tre lingue molto diffuse.

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