Consulenze linguistiche

Che ci aspettiamo da una (o più?) lectio magistralis

  • Paolo D'Achille
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2023.27909

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Copyright: © 2023 Accademia della Crusca


Quesito:

Ci sono arrivati quesiti che chiedono da un lato a quale genere di conferenze si possa attribuire l’etichetta di lectio magistralis, dall’altro se l’espressione al plurale resti invariata, perché da considerare un forestierismo, oppure se vada declinata secondo le regole della grammatica latina.

Che ci aspettiamo da una (o più?) lectio magistralis

Due sono i problemi che sollevano i nostri lettori: il significato dell’espressione latina (con implicito riferimento a un certo abuso che oggi se ne fa) e quale sia la forma corretta del suo plurale.

Inizio col dire che – diversamente dal semplice lectio ‘lettura’, ‘lezione’ e dalle polirematiche lectio facilior, lectio difficilior (usate in àmbito filologico) e lectio brevis, che indica una ‘lezione più breve del solito’ (in genere quella che avviene in un giorno prefestivo, in cui l’orario scolastico viene ridotto) – lectio magistralis non ha trovato accoglimento nella lessicografia italiana, il che è strano, se si pensa che l’archivio del quotidiano “la Repubblica” ne restituisce 4.316 risultati (dal 1994 al 2022) e che, come vedremo più oltre, l’espressione in contesti italiani è documentata almeno dal 1970.

L’unico dizionario che registra lectio magistralis (e si tratta di una novità rispetto all’edizione precedente) è lo Zingarelli 2023, che s.v. lectio, nell’accezione 2 (“nelle antiche università, lettura esplicativa di un testo”), ne dà questa definizione: “conferenza di particolare rilievo, anche fuori dall’ambito universitario, per la grande autorevolezza scientifica di chi la tiene”. Aggiungo una definizione un po’ più ampia che si trova in rete (in cui inserisco qualche corsivo):

La locuzione latina lectio magistralis (composizione di lectio che significa “lettura, lezione” con măgistralis che vuol dire “del maestro”, quindi “lettura o lezione del maestro” - pronuncia leczio magistralis), è utilizzata in ambito universitario, culturale o religioso per indicare la lettura, la conferenza o lezione tenuta da una personalità che per autorevolezza o comprovata capacità scientifica conferisce particolare rilievo all’evento (lectio magistralis, Glossario, Civitas-schola.it).

In effetti, si tratta di un modo un po’ altisonante (la stessa scelta del latino lo prova) per indicare una lezione che non rientra nella normale attività didattica. Nel mondo universitario viene spesso definita così l’ultima lezione tenuta da un professore ordinario prima di andare in pensione; ma si può definire lectio magistralis anche l’intervento di un docente, o comunque di una personalità autorevole, all’interno di un corso di aggiornamento, di una scuola estiva, di “giornate scientifiche”, ecc., intervento che si pone di solito al di fuori del consueto calendario per collocazione oraria, durata o tematica. Certo, definire così ognuno degli interventi previsti in un ciclo di incontri sembra eccessivo, a prescindere dal prestigio dei singoli relatori, perché – come si è detto – l’espressione postula che la lezione abbia un carattere in qualche modo “eccezionale”.

Quanto all’aspetto morfologico, sia il GRADIT sia lo Zingarelli considerano lectio invariabile al plurale e dunque anche lectio magistralis dovrebbe mantenere al plurale la stessa forma che ha al singolare, in quanto rientrerebbe tra i femminili in -o, che appartengono alla classe degli invariabili: si pensi a la soprano le soprano, la dinamo le dinamo o a latinismi scientifici come libido, magnitudo, ecc. (cfr. Paolo D’Achille, Anna M. Thornton, I nomi femminili in -o, in Prospettive nello studio del lessico italiano. Atti del IX Congresso Internazionale della SILFI, Firenze, 15-17 giugno 2006, a cura di Emanuela Cresti, Firenze, University Press, 2008, vol. II, pp. 473-481; a p. 475 si cita anche “lectio (brevis, magistralis, ecc.)”). D’altra parte sono invariabili anche latinismi moderni (che potremmo definire piuttosto pseudolatinismi o neolatinismi, perché tali sul piano semantico e/o morfologico), entrati in italiano per mediazione di lingue straniere, come referendum, ultimatum, solarium, sponsor, ecc.

In effetti, l’espressione è spesso usata anche come plurale: della stringa le lectio magistralis l’archivio della “Repubblica” ci offre 44 risultati (dal 2002 al 2021) e quello del “Corriere della sera” 12 (dal 2007 al 2021). Numerose sono anche le attestazioni in rete, come la seguente, recente (2021):

Ciclo di Lectio magistralis
Questa sezione conterrà la documentazione relativa al ciclo di 6 lectio magistralis, organizzate dalla Presidenza della Corte dei conti e tenute da giudici costituzionali, dal titolo d’insieme “La Corte dei conti nel quadro della legalità costituzionale”. (Ciclo di Lectio magistralis, Corteconti.it)

Ma, specie in siti universitari, troviamo anche il regolare plurale latino lectiones magistrales (si vedano, per es., in queste pagine dell’Università di Palermo, dell'Università di Siena e della Bocconi). Il plurale latino, del resto, è documentato anche sulla stampa: 22 risultati nell’archivio della “Repubblica” (dal 2006 al 2020; abbiamo anche 2 esempi di lectiones magistralis, con il nome pluralizzato e l’aggettivo lasciato al singolare, del 2008 e 2009) e 5 sul “Corriere della Sera” (1999, 2008, 2018, 2021, 2022).

A mio parere la scelta di lectiones magistrales è quella senz’altro più appropriata (così come l’uso del plurale curricula al posto dell’invariabile curriculum, pur molto diffuso e ormai accolto dalla lessicografia). Un conto, infatti, è l’invariabilità dei neolatinismi citati sopra (ultimata e referenda sono forme inaccettabili), un altro quello di parole ed espressioni nate in ambienti in cui il latino era normalmente usato, come l’insegnamento universitario, la Chiesa, l’ambito giuridico. Meglio, allora, usare gli adattamenti italiani curricolo curricoli e, nel nostro caso, lezione magistrale lezioni magistrali, forme che del resto hanno una certa diffusione in rete (negli archivi della “Repubblica” e del “Corriere della sera” si trovano anche, se pure isolatamente, ibridi inaccettabili, o forse semplici errori di stampa, come lectio magistrali e lectiones magistrali).

La nostra espressione è nata certamente in ambito scolastico e, grazie alle indicazioni ricevute dal collega e amico Angelo Luceri, docente di Lingua e letteratura latina presso l’Università Roma Tre, posso dire qualcosa di più sulla sua storia.

Nel Thesaurus Linguae Latinae (disponibile in rete) lectio magistralis non figura né sotto il lemma lectio, né sotto le voci magistralis e magisterialis. Invece il Mediae Latinitatis Lexicon Minus di Jan Frederik Niermeyer (fasc. 7-11, Leiden, Brill, 1959-1964) documenta la sequenza magistralis lectio (p. 591) in un passo di Wazo (o Wazone), vescovo di Liegi dal 1041 al 1048, che sembra però distante dal significato moderno: “ut magistralis lectio edocet” (Wazo Leodiensis episcopus, Commentarius in Gerberti Regulas, in Gerberti … opera mathematica, a cura di Nikolaj Jurevic Bubnov, Berlin, Friedlander, 1899, p. 278; trad. ‘come insegna la lezione di un maestro’).

Con riferimento alla lettura e al commento delle opere degli autori che veniva tenuta da un maestro (il lector, appunto), significato da cui deriva quello attuale, l’espressione è stata coniata e si è affermata negli statuti universitari, anche se è difficile datarla con sicurezza. Uno studio di Betsey B. Price (Master by Any Other Means, in “Renaissance and Reformation / Renaissance et Réforme”, n.s., XIII/1, 1989, pp. 115-134) nella nota 25 cita un passo dall’introduzione al vol. I del Chartularium Universitatis Parisiensis, a cura di Henri Denifle ed Émile Chatelain, Paris, Fratres Delalain, 1894: “Incipere fuit primam lectionem magistralem legere” (p. XXXI; trad. ‘cominciare è stato leggere la prima lezione magistrale’). Dallo stesso testo, grazie a Google libri, posso citare un altro passo, dall’introduzione al vol. III: “Quae fuerit sive Parisiis sive alibi lectio magistralis magistri in theologia, usque adhuc ignorabatur; magistrum eum disputationibus tantum praesedisse putabant” (p. XVIII; trad. ‘Finora si ignorava cosa fosse la lezione magistrale di un maestro di teologia sia a Parigi sia altrove; si riteneva che il maestro dovesse soltanto fare da moderatore alle discussioni’).

Sempre Google libri ci documenta l’espressione (sia al singolare sia, più spesso, al plurale) nei secc. XVI, XVII e XVIII soltanto in testi latini, laici o ecclesiastici, mentre nel sec. XIX compare anche in opere scritte in tedesco e in francese. Stando a questa fonte, i primi esempi di lectio magistralis in contesti italiani risultano notevolmente posteriori:

furono introdotte nuove Esercitazioni pratiche, la «Lectio magistralis» durante l’anno e la Ripetizione delle lezioni: e ciò perché gli Uditori acquistassero non solo il metodo scientifico, ma anche l’arte dell’insegnare (Pontificium Athenaeum Antonianum ab origine ad praesens, Antonianum, 1970, p. 55);

Dopo il secondo anno di scuola, si vide l’opportunità di impegnare gli studenti nell’elaborazione d’una «tesina» compilata sotto la direzione d’un professore e presentata in classe come una «lectio magistralis» (ivi, p. 181).

Ma fino al volgere del millennio le attestazioni restano circoscritte; oggi invece le lectiones magistrales, anzi (purtroppo!) le lectio magistralis sono diventate frequentissime. Il latino (o magari il latinorum…) continua dunque a esercitare un suo fascino, anche su chi non lo conosce.


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