DOI 10.35948/2532-9006/2023.28996
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Alcune lettrici e lettori, tra cui un’intera classe di una scuola secondaria di primo grado, ci hanno scritto proponendo di sostituire eroina ‘donna eroica’ con altri nomi (eroessa, eroa, la eroe), perché infastiditi dall’omonimia con eroina ‘alcaloide ricavato dall’oppio usato come sostanza stupefacente’ e/o perché percepiscono il suffisso -ina come diminutivo.
Comincio con una nota personale: mi sono molto stupita del fastidio provato da alcuni lettori e lettrici per l’omonimia tra il nome di agente femminile e il nome della droga, perché questa omonimia non mi ha mai disturbato. Sono ultrasessantenne, e sono certa di aver incontrato la parola eroina nel senso di ‘donna eroica’ o di ‘protagonista femminile’ di un romanzo o altro molto prima che nel senso di ‘droga’. Mi chiedo però se la mia esperienza non sia generazionale: forse chi è nato o cresciuto nel terzo millennio incontra per primo il senso di ‘droga’? Non è facile rispondere con certezza senza indagini più approfondite di quelle che ho potuto artigianalmente condurre; comunque, tra persone nate negli anni Novanta da me consultate (mie studentesse e studenti di laurea magistrale) la maggior parte ricorda di aver incontrato prima il senso di ‘donna eroica’, ma un paio dichiarano invece di aver incontrato per primo il senso di ‘droga’. La IB (della coorte 2020) dell’istituto Marcelli di Foiano della Chiana ci scrive che «[q]uando un nostro compagno ha letto che il femminile di “eroe” è “eroina” siamo scoppiati a ridere, perché è un termine che richiama alla mente la droga»: è possibile quindi che per le generazioni giovanissime il senso più noto di eroina sia quello di ‘droga’, e questo può spiegare il fastidio provato nei confronti dell’omonimia, quando si apprende l’esistenza di eroina nel senso di ‘donna eroica’.
Ma come mai si ha questa omonimia? Per comprenderlo dobbiamo ricostruire la storia del termine eroina nel senso di ‘droga’. Per farlo mi sono avvalsa, oltre che dei normali strumenti di consultazione (dizionari di varie lingue e enciclopedie), anche del competente aiuto dell’amico e collega Massimiliano Aschi, professore ordinario di chimica all’Università dell’Aquila, che ringrazio.
L’eroina è un alcaloide, cioè una molecola di natura vegetale con base azotata, che si forma a partire dalla morfina, tramite un processo detto acetilazione. Si tratta dello stesso processo che, per esempio, produce l’acido acetilsalicilico, che comunemente chiamiamo aspirina, dall’acido salicilico (che deriva da sostanze contenute nella pianta di salice). Gli alcaloidi hanno nomi comuni (diversi dai loro nomi scientifici, di cui parleremo tra breve) formati con il suffisso -ina (che in questi nomi non è un suffisso diminutivo, ma è solo omonimo del diminutivo -ino al femminile singolare) unito a basi che indicano la pianta da cui si estrae la sostanza (come nel caso di caffeina, cocaina, nicotina) o gli effetti che la sostanza ha, come nel caso di morfina. Come nasce il nome morfina? Questa sostanza fu isolata nel 1806 dallo scienziato e farmacista tedesco Friedrich Wilhelm Sertüner (1783-1841), che la denominò Morphium, in analogia con Opium, a partire dal nome di Morfeo, divinità del pantheon greco legata ai sogni e al sonno, in quanto la sostanza deriva dall’oppio e ha, tra l’altro, effetti ipnotici. In francese la sostanza fu invece denominata morphine (da Gay-Lussac, secondo l’Enciclopedia italiana Treccani, s.v.), e questa voce, attestata in francese dal 1817, è stata il modello per l’italiano morfina (attestato dal 1821). L’eroina, che come si è detto deriva dalla morfina, fu sintetizzata negli ultimi anni del XIX secolo in Germania presso la Bayer: il nome tedesco Heroin fu coniato dalla base neoclassica di origina greca hero- ‘eroe’ (presente in tedesco anche nell’aggettivo heroisch ‘eroico’) con il suffisso -in (corrispondente al fr. -ine e all’it. -ina) comunemente usato nei nomi di alcaloidi. Fu scelta questa base perché la nuova sostanza è molto più potente della morfina (gli effetti che si ottengono con 1mg di eroina equivalgono a quelli ottenibili con 10 mg di morfina), e la grande potenza è caratteristica degli eroi. Il tedesco Heroin fu subito adattato in héroïne in francese e in eroina in italiano.
Nomi come morfina e eroina (e i loro equivalenti in altre lingue) sono nomi di uso comune, che non sono però (più) usati come nomi scientifici: le due sostanze, nella nomenclatura ufficiale della IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry) si chiamano rispettivamente “(4R,4aR,7S,7aR,12bS)-3-methyl-2,4,4a,7,7a,13-hexahydro-1H-4,12-methanobenzofuro[3,2-e]isoquinoline-7,9-diolo” e “(5α,6α)-7,8-didehydro-4,5-epoxy-17-methylmorphinan-3,6-diol diacetato” (la loro struttura è illustrata nelle Figure 1 e 2).
Si osservi che in tedesco ‘eroe’ è Held, e ‘eroina’ nel senso di ‘donna eroica’ è Heldin: quindi in tedesco non si ha omonimia tra Heroin ‘sostanza alcaloide derivata dalla morfina’ e Heldin ‘donna eroica’. L’omonimia si ha invece tra i due sensi del francese héroïne, ‘sostanza alcaloide’ (attestato dal 1903 in questo senso, come prestito dal tedesco Heroin) e ‘donna eroica o protagonista’ (attestato in francese dal XVI secolo) e dell’italiano eroina (‘sostanza’ attestato almeno dal 1902 secondo il DELI, ‘donna...’ attestato dal XIV secolo); in inglese si ha omofonia ma non omografia tra heroin ‘sostanza’ e heroine ‘donna...’, entrambi /ˈhɛrəʊɪn/ secondo l’OED online.
L’omonimia tra i due sensi di eroina in italiano non è dunque casuale, ma riflette la storia delle due parole, entrambe connesse a eroe, ed è stata anche sfruttata letterariamente, nel titolo dell’atto unico di Dario Fo e Franca Rame L’eroina, rappresentato per la prima volta nel 1991, che ha come protagonista una donna madre di tre tossicodipendenti.
Una delle obiezioni mosse all’uso di eroina riferito a una donna è che -ina sarebbe suffisso diminutivo, e quindi sminuente. In realtà, il suffisso -ina è presente in alcuni nomi indicanti donne e in un nome indicante un animale di sesso femminile, gallina, formati da basi varie, solo in parte coincidenti con i nomi maschili che indicano i corrispondenti individui di sesso maschile. I nomi contenenti questo suffisso che designano donne sono almeno regina (e viceregina), zarina, il raro e ormai antiquato speakerina, crocerossina, mondina, ondina; in regina, zarina e speakerina il suffisso è usato per derivare un nome femminile da un corrispondente maschile, in mondina è usato per creare un nome d’agente femminile deverbale (mondina deriva da mondare, così come imbianchino da imbiancare), in ondina per creare un nome femminile di essere animato da una base inanimata (onda), in crocerossina per creare un nome d’agente femminile da una base sintagmatica (croce rossa). A questi possono aggiungersi alcuni nomi nei quali una sfumatura diminutiva è forse più percepibile, come madrina, e altri dove il valore diminutivo e quello di formazione di un nome femminile si sovrappongono, come signorina (di cui si è già trattato qui) e stellina ‘giovane attrice emergente’ (una stella del cinema può essere detto anche di un uomo, ma una stellina è necessariamente una donna), dove, soprattutto nel secondo caso, è effettivamente percepibile anche una sfumatura spregiativa Possono essere percepiti come appartenenti alla serie dei nomi di persona femminili in -ina anche nomi senza una base analizzabile, quali i prestiti adattati chellerina e beghina, lo spregiativo sgualdrina, e il metonimico velina ‘valletta televisiva’. Vi sono poi vari femminili in -ina simmetrici a corrispondenti maschili in -ino (postina, ballerina, ecc.). Nel complesso, una sovrapposizione tra il valore di formazione di un nome che designa persone di sesso femminile e il valore diminutivo è più fortemente percepita in alcuni casi (soprattutto signorina) e meno in altri (regina). In ogni caso, evidentemente un desiderio di evitare una connotazione diminutiva e quindi almeno potenzialmente spregiativa sembra orientare alcuni parlanti verso l’uso della forma eroa, che potrebbe essere interpretata come retroformazione da eroina, oltre che come creazione di un femminile in -a dal maschile eroe. Qualche attestazione di eroa si ha nel corpus ItTenTen20 (consultabile su Sketchengine.eu), contenente oltre 12 miliardi di occorrenze e costituito da testi reperibili in rete; si osservi che spesso eroa occorre in contesti quasi formulari nei quali comunemente ricorre anche il maschile eroe (la nostra eroa, mia eroa, super-eroa):
la nostra eroa soffre orride tribolazioni dovute alla malattia
@Simona, a te ho già detto tutto: sei la mia eroa!
E inoltre la nostra eroa cambierà anche vestito in certi punti del gioco.
Ma loro erano tristi e piangevano e piangevano, finchè una super eroa non avvertì il richiamo e corse in lor aiuto!
L’uso della forma eroa viene a volte commentato da chi scrive, segno della consapevolezza di star compiendo una scelta stilistica non ovvia:
Carnie, che dal babbo Brian ha ereditato disturbi mentali e alimentari! Carnie, la nostra eroa (dirle “eroina” sarebbe semplicistico)
Per la didascalia forse personaggio è più adatto, sebbene Eroa sia molto più epico!
In contesti analoghi si ha anche qualche sparuta attestazione di eroe usato come nome femminile:
finiamola con questa retorica, la nostra eroe nazionale la Barbara Contini.
Conosciuto la nostra eroe, dedica sui libri, e bellissimo pomeriggio e bellissima gente!
Angelina Jolie torna a rivestire i panni della super eroe dei video games Lara Croft.
Il mio di 5 anni mi dice “Mamma sei la mia super eroe... sei la mamma + gentile del mondo”
Ancor più rare, e tutte accompagnate da indizi che mostrano come anche chi scrive consideri la forma sub-standard, sono le occorrenze di eroessa, solo tre in tutto il corpus ItTenTen20:
mi chiederà cosa ho fatto io per oppormi a questa situazione. io potrò rispondere che mi indignavo su facebook, che eroessa (come direbbe mia figlia)
nei confronti della famosa magistratüra, quella cosa che sinistrissime “sinistre” hanno eletto a loro eroessa, specialmente in Ytalia. Razza esecrabile di servi di merda, complici regolari di assassini di stato, palloni gonfiati al contempo sgonfi
Dedicatasi agli studi sul folklore, la nostra eroessa [Nota: Per non dire “eroina”] si guadagnò la riammissione alla vista di quelli che hanno come secondo nome un numero.
Queste tre occorrenze meritano di essere commentate una per una. Nel primo esempio, la scrivente attribuisce il conio delle forma eroessa a sua figlia, presumibilmente una bambina di un’età nella quale spesso si coniano neoformazioni per soddisfare bisogni espressivi non soddisfacibili con il limitato lessico noto (si veda Lo Duca 1990 per un pionieristico studio sulla creatività derivativa di bambini tra i tre e i sette anni). Nel secondo esempio, il conio ha evidente valore spregiativo, testimoniato anche dal contesto ricco di insulti; è ben noto il valore spregiativo di molti nomi femminili in -essa, messo in luce in particolare da Alma Sabatini nello studio Il sessismo nella lingua italiana del 1987 (cfr. per es. le risposte sul femminile di incisore e di critico d’arte o cinematografico; si veda anche qui). Il terzo esempio è tratto da una pagina che definirei più che scherzosa addirittura “demenziale”, e qui esplicitamente si osserva che eroessa è usato “per non dire eroina”, ma senza specificare da cosa sia motivato il rifiuto di usare eroina. Nel complesso eroessa non sembra un’alternativa adeguata per la sostituzione di eroina da parte di coloro che vogliono evitare questa voce, per un motivo o per un altro (omonimia con il nome della droga, o percezione di valore diminutivo-spregativo in -ina). Peraltro eroessa è sparutamente attestato nel senso di eroina in testi letterari composti tra il XVI e l’inizio del XVIII secolo, ma considerato termine “scherzoso” dal GDLI s.v, dove il primo esempio riportato è il seguente:
Qui fu grande l’allegrezza di questa eroessa e molto riguardevole lo stato suo. (Giuseppe Betussi, Il Raverta, Venezia, Gabriele Giolito, 1544)
La voce evidentemente non ha avuto fortuna, e non sembra una concorrente realistica tra quante potrebbero sostituire eroina per designare una donna eroica, nel caso si voglia davvero abbandonare questa voce di lunga tradizione. Sia eroa che la eroe sembrano invece emergere come creazioni spontanee; entrambe queste voci hanno dalla loro parte la simmetria con il maschile eroe, e la simmetria tra nomi d’agente femminili e maschili è una delle caratteristiche valutate positivamente dalle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana contenute nel lavoro di Sabatini (1987). Questo lavoro non contiene tuttavia nessuna raccomandazione sul femminile da usare in corrispondenza di eroe, e non è chiaro se questo silenzio sia dovuto a dimenticanza o a non percezione di alcuna problematicità nella voce di lunga tradizione eroina. Le Raccomandazioni comunque propongono esplicitamente (a p. 122) usi come la prete, la sacerdote, il cui più immediato parallelo nel caso che ci interessa sarebbe rappresentato dall’uso di eroe come nome femminile oltre che maschile. Tuttavia, dato che eroe è voce che inizia in vocale, l’articolo determinativo eliso in l’eroe non basterebbe a discriminare se il riferimento è a un uomo o a una donna, in assenza di aggettivi o altri elementi in accordo con il nome; nel caso di articolo indeterminativo la norma prescriverebbe un eroe se maschile e un’eroe se femminile, ma è ben noto che l’uso dell’apostrofo con l’articolo indeterminativo rappresenta uno dei casi in cui più frequentemente si osserva deviazione dalla norma ortografica, sia per omissione dell’apostrofo con forme femminili che per indebita introduzione dell’apostrofo con forme maschili, data l’irrazionalità di una norma che pone una distinzione ortografica che non corrisponde ad alcuna differenza fonologica. L’ostacolo potrebbe essere aggirato adottando le forme piene dell’articolo (la eroe, una eroe), secondo una tendenza indipendentemente attestata davanti a nomi femminili inizianti in vocale, oppure adottando la forma eroa, che marca esplicitamente il femminile con la terminazione del nome. Al momento sia la eroe che eroa costituiscono formazioni di uso rarissimo, ma sono le forme che più spesso emergono spontaneamente nell’uso di chi per qualunque motivo voglia evitare il tradizionale eroina, che è però ancora, almeno per parlanti delle generazioni più mature, l’unica forma standard per designare una donna eroica.
Nota bibliografica: