DOI 10.35948/2532-9006/2022.25869
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Alcuni quesiti arrivati alla redazione chiedono di far luce sulla natura e l’uso di altrettanto, specie quando introduca una correlazione.
La parola altrettanto è composta da due elementi, altro e tanto, saldatisi tra loro a formare un unico aggettivo e pronome indefinito, attestato in italiano fin dal XIII secolo, anche con valore avverbiale.
Si tratta di un quantificatore che stabilisce una comparazione di analogia per numero o misura: ho due figli e altrettanti gatti; ho altrettanta cura degli uni e degli altri. Come si vede dagli esempi, usato come aggettivo, altrettanto è declinabile e si accorda per genere e numero al nome cui va riferito; lo stesso vale per l’uso pronominale (ne ho altrettanti, ne ho altrettanta), a meno che il pronome non abbia valore generico di ‘lo stesso’ (in questo caso si usa il maschile singolare: farò altrettanto).
Diverso il caso in cui altrettanto modifichi un avverbio (li curo altrettanto bene) o un aggettivo (ho una cagnolina altrettanto esigente). In questo caso altrettanto ha valore avverbiale e come tale è indeclinabile. Quando l’articolo indeterminativo riferito a un nome femminile è adiacente all’avverbio, come nella sequenza ho una altrettanto esigente cagnolina, è possibile usare la variante elisa dell’articolo (ho un’altrettanto esigente cagnolina), sebbene il correttore ortografico segnali la sequenza come errata: la nostra mente riconosce infatti anche a distanza il legame sintattico tra l’articolo e il nome femminile che determina (cagnolina), nonostante l’interposizione del modificatore aggettivale preceduto dall’avverbio comparativo, che potrebbero essere comunque spostati (ho una cagnolina altrettanto esigente sarebbe una sequenza più scorrevole).
Quando altrettanto ha valore avverbiale modifica di regola un aggettivo di grado positivo. Ci viene chiesto se sia possibile usare altrettanto con un superlativo sintetico (ottimo, pessimo ecc.). Si tratta in effetti di un uso sempre più attestato, specialmente nelle recensioni online: ottimo cibo e altrettanto ottimo vino/servizio; pizza pessima e personale altrettanto pessimo. L’opacità morfologica dell’aggettivo (non più percepito come superlativo) unita alla tendenza all’iperbole giustifica la diffusione di questi usi, più accettabili rispetto a esempi come più pessimo e meno ottimo, tipici dell’italiano popolare.
Nelle risposte a frasi augurali (“Buon appetito/Buone feste”) per esprimere reciprocità rispondiamo di solito con “Grazie, altrettanto (buono/buone)”.
A chi ci chiede se si possa rispondere in generale grazie altrettante, intendendo altrettante come aggettivo riferito a grazie, rispondiamo che grazie sostantivato, nel senso di ‘ringraziamento’, è maschile invariabile (porgere un sentito grazie), ma con valore di esclamazione viene usato al femminile plurale (Molte grazie!, Grazie tante!, Grazie mille!, Grazie infinite!). La formula grazie altrettante, che presuppone una correlazione con un’affermazione precedente, sarà quindi sicuramente adeguata come risposta a un Grazie tante!, ma non come risposta, per esempio, all’augurio di Buon fine settimana!, a cui si potrà rispondere solo con Grazie, altrettanto! Come ricorda Luca Serianni nella sua Grammatica (Serianni 1988: VII, 207), altrettanto “indica un raffronto tra due grandezze, ha valore relativo […] presuppone un qualche termine di riferimento”, a differenza di tanto, che “esprime invece una gradazione assoluta”.
Un altro problema che ci è stato posto riguarda il correlativo da usare per introdurre il secondo termine di paragone. I dizionari italiani dell’uso segnalano esempi costruiti con che (Il Nuovo De Mauro: vuole altrettanto bene a te che a me; Vocabolario Treccani online: il mio giudizio vale altrettanto che il tuo) o con quanto (in questo caso il valore di altrettanto si avvicina a quello di tanto: ho ricevuto altrettanti regali quanti ne hai ricevuti tu).
Ci vengono tuttavia presentati esempi in cui la correlazione è stabilita dalla preposizione di, normalmente usata per la comparazione di maggioranza e minoranza: ho altrettanto sonno di te (esempio tratto da una grammatica italiana in circolazione) e ho altrettanta paura di te (esempio tratto da una grammatica del 1965, ivi chiosato come ‘ho tanta paura quanto te’). In entrambi questi esempi altrettanto ha valore aggettivale; nel secondo, come ci viene giustamente segnalato, la presenza della preposizione di crea ambiguità (fuori contesto, la frase potrebbe essere interpretata come ‘anch’io temo te’). Questo rischio è presente anche quando altrettanto abbia valore avverbiale: una frase come parla altrettanto bene di te può essere interpretata sia come ‘è bravo come te a parlare’ sia come ‘anche lui parla bene di te’. Sarà il contesto a disambiguare.
Nonostante la preposizione di risulti, anche per questi motivi, meno adatta alla comparazione di analogia istituita da altrettanto, dobbiamo però registrarne l’uso crescente rispetto ad alternative come che e quanto, anche in testi formali, specie quando altrettanto modifichi un aggettivo: questi centenari avranno una vita altrettanto attiva degli ottantenni attuali; una struttura di potere culturale altrettanto forte di quella economica; macchine altrettanto assurde di quella kafkiana; una mappa completa di Marte altrettanto completa di quella della luna (esempi tratti dal corpus di italiano scritto CORIS/CODIS). Nello stesso corpus, d’altra parte, sono attestati anche esempi di correlazione realizzata con come: non tutti i periodi sono altrettanto favorevoli come gli ultimi vent’anni.
L’invito, dunque, è a valutare nel contesto l’opportunità di scegliere un correlativo più specifico o uno più generico e foneticamente leggero come di, badando alla chiarezza e univocità di interpretazione della frase.