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A(h) saperlo! Ma (non) lo sappiamo…

  • Paolo D'Achille
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2023.29104

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Copyright: © 2023 Accademia della Crusca


Quesito:

Ci sono giunte due domande (di una lettrice di cui ignoriamo la provenienza e di un lettore di Tropea) che chiedono se sia corretta l’esclamazione “Ah saperlo!” oppure “A saperlo!”, avendo incontrato entrambe le forme.

A(h) saperlo! Ma (non) lo sappiamo…

Il dubbio nella scelta tra una forma esclamativa costituita da una semplice vocale e una seguita dall’acca si pone solo a livello grafico nel caso di u/uh, mentre non sono usate le grafie e ed i per le interiezioni (rese con eh e ih, ma oggi pure con he e hi; sul tema si veda l’intervento di Enrico Testa sul nostro sito), anche per differenziarle dalla congiunzione e dall’articolo maschile. Meno facile è la distinzione tra o e oh, perché, a parte l’o congiunzione disgiuntiva, esiste un o interiettivo diverso da oh, che si usa prima di un vocativo. Le due forme si differenziano nella pronuncia toscana, che è alla base dello standard, perché solo o (e non oh) provoca di norma il raddoppiamento fonosintattico. Ma talvolta, e in particolare prima di Dio (che in Toscana e nello standard tradizionale viene pronunciato sempre con la d intensa), si ha, come rileva il DOP, s.v. oh Dio, una “sovrapposiz[ione] di o vocativo all’escl[amazione] oh”, che spiega, tra l’altro, “la g[ra]f[ia] oddio [oddìo] entrata in uso più tardi e oggi prevalente”. Il DELI, da parte sua, segnala che Alessandro Manzoni, nell’edizione definitiva dei Promessi Sposi (la cosiddetta quarantana, pubblicata nel 1840-42, dopo il viaggio a Firenze e la ben nota “risciacquatura in Arno”), sostituì con o “inter[iezione] rafforzativa del vocativo” vari oh dell’edizione precedente (la ventisettana, edita nel 1825-27). Anche nella Tosca di Puccini c’è una differenza tra il libretto (di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica), dove si legge Oh! dolci baci, e lo spartito, in cui il musicista corresse O dolci baci, forse anche per raccordarlo al successivo o languide carezze.

Anche a Roma, accanto all’ah interiettivo si usa un a allocutivo, che molto probabilmente è derivato dal primo ma che, a differenza di quello, e della preposizione a, non provoca il raddoppiamento fonosintattico (cfr. Paolo D’Achille, “A Paolo, e falla finita!” Una nota sull’a allocutivo nel romanesco e nell’“italiano de Roma” [1995], in Paolo D’Achille, Claudio Giovanardi, Dal Belli ar Cipolla. Conservazione e innovazione nel romanesco contemporaneo, Roma, Carocci, 2001, pp. 29-42; Michele Loporcaro, Vincenzo Faraoni, Il costrutto allocutivo a Nando! in romanesco: fonologia, morfologia, sintassi, semantica, pragmatica, in “Zeitschrift für romanische Philologie”, 137, 2021, pp. 561-600). Dunque a Paolo, ti vuoi sbrigare! si distingue sia da ah (p)Paolo, che guaio hai combinato!, sia da a (p)Paolo ho dato i soldi ieri.

Il caso proposto dai nostri lettori è un po’ diverso: qui abbiamo l’alternanza tra la preposizione a e l’interiezione ah prima dell’infinito del verbo sapere (accompagnato dal clitico lo). Ora, lasciando da parte il fatto che a saperlo è presente in espressioni del tipo venire a saperlo, riuscire a saperlo, come fare a saperlo, rileviamo che in un contesto esteso, come nell’esempio “A saperlo non ci sarebbero dubbi” riportato dalla nostra lettrice, il problema non si pone neppure, in quanto si tratta certamente della preposizione a, che in questo caso introduce una frase ipotetica implicita, equivalente a “se lo si sapesse”. Dal PTLLIN posso citare un esempio analogo, di Vasco Pratolini:

Sei giovane, non ti prospetti le difficoltà. Soltanto a cambiare l’assegno il rischio è forte”. E lui, immaginando che la difficoltà fosse tutta lì: “A saperlo avrei portato contanti”, aveva risposto. (Vasco Pratolini, Un eroe del nostro tempo, Milano, Mondadori, 1949, p. 158)

L’esclamazione è registrata nel Sabatini-Coletti 2022 (s.v. sapere, 5) in cui, oltre alla possibilità dell’assenza della preposizione, è testimoniato anche l’uso dell'infinito passato:

(a) saperlo!; ad averlo saputo!; averlo saputo!, loc. che esprimono rammarico per non aver saputo prevedere una certa cosa e non aver potuto agire di conseguenza.

Il problema della differenza tra A saperlo e Ah saperlo sorge invece, effettivamente, quando abbiamo due frasi che sono entrambe esclamative, ma che hanno valore pragmatico diverso. Nel primo caso, A saperlo! si spiega a partire da esempi come quelli della lettrice e di Pratolini, in séguito a un’ellissi della frase principale. Pragmaticamente, sembra usato soprattutto come aggiunta, o piuttosto replica, a un enunciato precedente, come nell’esempio di un sottotitolo di Unorthodox, una serie tv recentemente trasmessa da Netflix, riportato ancora dalla nostra lettrice: “Dove può essere andata?” – “A saperlo!”, in cui l’esclamativa equivale a “Purtroppo non lo so!”, “Se solo lo sapessi!”. Come risulta dal Sabatini-Coletti 2022, la presenza della preposizione a non pare però obbligatoria: è presente nel parlato toscano e romano (ed è dunque normale trovarla nel doppiaggio e nei sottotitoli di film o serie tv, data la centralità di Roma in àmbito cinematografico e televisivo), ma sarebbe ammissibile anche il semplice Saperlo!, con l’infinito con valore esclamativo (cfr. Serianni 1989, XIII, § 28, che ne rileva, “nel dialogo, la funzione di riprendere letteralmente ciò che è stato detto da un altro e che suscita meraviglia o sdegno”), tanto che la presenza della preposizione a potrebbe anche essere considerata “Pleonastica (con intonazione familiare)”, come fa, con riferimento ad altri contesti sintattici, il GDLI (vol. I, p. 5, s.v. A2, n. 24, in cui si riportano esempi da Cavalca a Moravia) e forse legata a usi non standard della preposizione diffusi in Toscana e soprattutto a Roma. In ogni caso, proprio questo infinito esclamativo è quello che incontriamo nel secondo caso, dove è preceduto dall’ah interiettivo (che si identifica meglio come tale quando è seguito da una virgola che lo separa dal verbo). Qui il senso dell’esclamazione è piuttosto quello di “Magari lo sapessimo!”, “Non lo sapremo mai!” e sim.

La presenza, rilevata sempre dalla nostra lettrice, di Ah saperlo “in vari siti, tra cui Dagospia, che lo usa quotidianamente in una rubrica” costituisce, per così dire, una “citazione di secondo grado”. L’esclamazione “Ah saperlo!” veniva infatti ripetuta, a mo’ di tormentone, nella trasmissione televisiva Quelli della notte di Renzo Arbore, che andava in onda su Raidue in tarda serata nel 1985. Tra i numerosi partecipanti (molti dei quali sarebbero poi diventati “personaggi televisivi” di successo, da Nino Frassica a Maurizio Ferrini, a Marisa Laurito) c’era anche Riccardo Pazzaglia (più anziano degli altri), il quale interpretava una specie di “filosofo” che tentava di alzare il livello culturale della discussione e che ogni tanto pronunciava espressioni come “Il livello è basso” o, appunto, “Ah saperlo!”. Da qui deriva certamente (come viene, del resto, esplicitamente dichiarato all’interno del sito) il titolo della rubrica su Dagospia, un blog curato, a partire dal 2000, da Roberto D’Agostino, che era anche lui presente a Quelli della notte in veste di “lookologo”.

Ma non tutti sanno che questo “Ah saperlo!” di Pazzaglia è a sua volta una citazione, tratta dalla traduzione italiana della battuta finale delle Tre sorelle (1901) di Anton Cechov (“Ah saperlo, saperlo!”), in cui la sorella maggiore, Olga, riprende – dopo una didascalia e l’intervento dell’ufficiale medico Cebutykin, che prima “canterella sotto voce” e poi leggendo il giornale afferma: “È tutto lo stesso! Tutto lo stesso!” – la parte finale della sua battuta precedente, in cui, abbracciando le sorelle Mascia e Irina, ormai consapevole che non riusciranno più ad andare “a Mosca”, come desideravano, dice: “Oh care sorelle, la nostra vita non è ancora finita. Vivremo! La musica suona così allegramente, così gioiosamente. Si direbbe che ancora un poco e sapremo perché viviamo e perché soffriamo. Ah saperlo, saperlo!” (cito da Ermete Cadei, Anton Cecof, in “Il secolo XX. Rivista popolare illustrata”, XIV, 1915, pp. 419-424, a p. 423, che è il più antico esempio che trovo in rete; lo stesso testo si legge in Ettore Lo Gatto, Saggi sulla cultura russa, Napoli, Ricciardi, 1923, p. 38; evidentemente, entrambi riprendono la stessa versione italiana del dramma, che era stato tradotto in precedenza due volte, nel 1905 [Milano, Sonzogno] e nel 1913 [Lanciano, Carabba; prima traduzione dal russo]; l’espressione compare anche in traduzioni posteriori, ma con la virgola dopo Ah, mentre l’originale russo non presenta alcuna interiezione).

Dunque, un’esclamazione drammatica, che esprime come la vita sia un’inutile sofferenza, una continua disillusione, senza che, al momento, gli esseri umani riescano a comprenderne lo scopo, è stata stravolta nel suo significato, ed è diventata un modo di dire scherzoso, che è tuttavia legato a una ben precisa generazione. Questo Ah saperlo è oggi sconosciuto ai più giovani (che non hanno probabilmente mai visto a teatro o in tv Le tre sorelle e non erano neppure nati all’epoca di Quelli della notte), presso i quali il diverso uso di A saperlo, documentato anche nei sottotitoli delle più recenti serie televisive, è certamente più familiare.

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