DOI 10.35948/2532-9006/2021.8545
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Alcuni lettori ci chiedono quale sia la forma corretta tra i due aggettivi gasato e gassato, soprattutto quando riferiti all’acqua o altre bibite. La domanda si estende alle forme verbali gassare e gasare e anche a degasare e degassare.
Nella lingua italiana, laddove ci si trovi di fronte a un composto o a un suffissato formati con parole terminanti per consonante, di norma quest’ultima si presenta raddoppiata, soprattutto nel caso in cui la consonante sia una occlusiva sorda (cioè una p, una t o una c “dura”) o se la parola è monosillabica (cfr. Grossmann-Rainer 2004, p. 208). Ciò vale anche in presenza dell’epitesi (cioè dell’aggiunta) di una vocale per evitare la finale consonantica (cfr. Rohlfs 1966, p. 467). Questa tendenza, anticamente assai estesa, risulta oggi meno generalizzata, ma resta comunque attiva, soprattutto nell’ambito del parlato popolare toscano e romano: si pensi a parole come busse ‘autobus’ o tramme ‘tram’, o anche allo stesso gasse ‘gas’ (alla base dei termini segnalati dai lettori), che presentano raddoppiata la consonante finale prima dell’aggiunta della ‑e epitetica.
Non essendo, comunque, il raddoppiamento della consonante finale prima di un suffisso una regola obbligatoria e stringente, tutte le coppie aggettivali e verbali portate all’attenzione dai lettori risultano corrette. La lessicografia italiana contemporanea riporta infatti sia gli aggettivi gassato/gasato che i verbi gassare/gasare e degassare/degasare (cfr. DELI, GRADIT, Zingarelli 2021).
La forma verbale più antica, derivata da gas con l’aggiunta della desinenza ‑are, sembra essere gassare, che presenta la fricativa dentale sorda intensa: il GRADIT la data infatti al 1949, anno in cui appare nelle Lettere sulla psicoanalisi di Umberto Saba, con il significato di ‘uccidere con gas velenosi’, oggi secondario rispetto a quello di ‘rendere effervescente (un liquido) sciogliendovi del gas’. Il verbo gasare è datato nel GRADIT al 1956 ed è indicato come una variante di gassare che ha subito probabilmente l’influsso del francese gazer. Da rilevare che mentre la ss intensa è necessariamente sorda (/gas'sare/), la pronuncia di gasare indicata nel dizionario prevede la sonora (/ga'zare/). Passando agli aggettivi, gassato è datato dal GRADIT al 1942 (ma nel senso di ‘colpito da gas venefici’, come precisa il DELI, che data invece al 1959 la locuzione acqua gassata), mentre la variante gasato non è datata né nel GRADIT, né nel DELI, né nello Zingarelli 2021. Quanto a degassare ‘eliminare i gas contenuti in un liquido, in un solido, in un recipiente’, anche in questo caso il GRADIT indica come data di ingresso il 1956, mentre non offre nessuna indicazione sulla variante degasare.
Grazie al corpus di Google libri le datazioni di molti termini possono però essere anticipate. La forma verbale gassare in riferimento alle bevande appare già nel 1895: “ha inventato un apparecchio per gassare le acque ed il vino” (E. O., A. M., Piccole notizie, in “Giornale vinicolo italiano”, 41, 13/10/1895, p. 490); la variante gasare risale invece al 1899: “perfezionamenti nei mezzi od apparecchi per gasare acqua ed altri liquidi in bottiglie” (Privative industriali, in “L’industria rivista tecnica ed economica illustrata”, XIII, 36, 3/9/1899, p. 575). Anche le forme aggettivali, ricercate all’interno della locuzione acqua gassata/gasata, risultano essere più antiche. La locuzione acqua gassata appare già nel 1901: “ogni bottiglia che si riempie poi con acqua gassata a 8 atmosfere” (Icilio Guareschi, Nuova enciclopedia di chimica scientifica, tecnologica e industriale, Torino, Utet, 1901, p. 441); la variante gasata scempia sembra più tarda, apparendo nel 1932: “macchina per il riempimento di bottiglie con acqua gasata” (“Bollettino della proprietà intellettuale”, 1932, p. 570).
Le varianti fonetiche in esame non differiscono tra loro solo per la datazione, ma si distinguono anche sul piano semantico. La forma gassare, secondo il GRADIT, può infatti assumere tre significati: il primo è quello di ‘rendere effervescente sciogliendovi del gas: g. l’acqua’; il secondo è quello di ‘uccidere con gas velenosi’; il terzo, infine, è quello di ‘trattare i filati con una fiamma per eliminare la peluria’, in cui ha come variante gazare, formata su gaz, variante oggi desueta di gas (su cui torneremo alla fine). La variante gasare ha in più un ulteriore significato figurato, quello cioè di ‘esaltare’, che si riscontra anche nella forma riflessiva gasarsi, che sembra invece precluso a gassare. Anche per ciò che riguarda le forme aggettivali, la situazione è analoga: il significato di ‘esaltato’ può essere assunto solo dalla forma con la scempia gasato. Tra degasare e degassare, invece, non si registrano differenze di significato.
Grazie all’utilizzo dello strumento Google Ngram Viewer, è possibile osservare la frequenza nell’uso scritto delle varianti in esame. Si analizzerà in questa sede la frequenza delle locuzioni acqua gasata/acqua gassata e bibita gasata/bibita gassata che permettono di evitare il problema della polisemia delle varianti gassare/gasare e gassato/gasato, limitando così la ricerca all’ambito semantico delle bevande.
Come è possibile osservare dai grafici, entrambe le locuzioni (nelle loro due varianti) sono costantemente utilizzate nel corso del Novecento, ma quelle più diffuse nello scritto risultano essere quelle con s intensa, il cui utilizzo cresce decisamente nel corso degli anni Duemila (ma anche la forma concorrente risulta in costante aumento).
Per concludere, torniamo alla forma verbale gazare (con il corrispondente aggettivo gazato), che presenta al posto della fricativa dentale s l’affricata dentale z. Il GRADIT la rende foneticamente come /gad'dzare/, secondo l’ortoepia tosco-romana, che prevede la pronuncia intensa della zeta intervocalica, sia sorda, sia, come in questo caso, sonora, ma che molto probabilmente (specie a Nord) verrà pronunciata con la scempia (accostandosi così alla pronuncia di gasare). L’aggettivo gazato e il verbo gazare sono termini tecnico-specialistici di ambito tessile, che si riferiscono al processo di gazatura, che consiste nel passare i filati su una fiamma o una superficie incandescente per eliminare la peluria e conferire lucentezza (cfr. GRADIT).
Riporta invece all’ambito semantico delle bevande gassate il sostantivo gazzosa (originariamente aggettivo riferito ad acqua), che indica una ‘bibita dolce e gassata, aromatizzata con essenza di limone’ (GRADIT) e che ha ben tre varianti: gazosa, gassosa e gasosa (quest’ultima però indicata giustamente come rara dallo Zingarelli 2021). Il DELI (s.v. gassoza, che presenta un evidente refuso anche nella seconda edizione) data la variante gazosa già al 1840, anno in cui figura tra le giunte al volume II del Vocabolario milanese-italiano di Francesco Cherubini. Il GRADIT indica questa variante come il risultato dell’influsso del francese gazeuse, femminile dell’aggettivo gazeux, usato come sostantivo riferito all’acqua, datato però al 1865.
Anche in questo caso, tutte le forme, variamente distribuite sul territorio nazionale, sono da considerarsi corrette. Le varianti sono variamente distribuite anche nell’uso scritto, come si può osservare dal grafico ottenuto grazie a Ngram Viewer.
Il grafico mostra una prevalenza nell’uso della variante gassosa, nonostante essa abbia subito un drastico calo nel corso della seconda metà del Novecento, avvicinandosi alle varianti concorrenti (calo legato probabilmente al declino del designatum, sostituito dall’acqua tonica). Questa tendenza si rispecchia anche nell’uso delle case produttrici di bibite gassate, che danno spesso il nome di gassosa alle proprie bevande frizzanti al gusto di limone: è il caso dei marchi San Benedetto, Guizza, Neri, Plose, Egeria, Sanpellegrino, Carrefour, Coop e molti altri. L’uso della variante gazzosa da parte delle case produttrici è più raro e sembra essere preferito da aziende meno commerciali e di fascia più alta: si pensi ai marchi Lurisia, storica azienda piemontese, Tomarchio, azienda siciliana nata nel 1920, o Abbondio, marchio milanese ancora più antico, nato nel 1889 e produttore delle storiche gazzose con la biglia di vetro in cima, rimaste in commercio fino ai primissimi anni Sessanta.