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Un brèndolo di storia della nostra lingua

  • Matilde Paoli
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW - IN ANTEPRIMA

DOI 10.35948/2532-9006/2024.31214

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Quesito:

Una lettrice ci scrive dagli Stati Uniti per chiederci il significato della locuzione a brendoli che ha trovato in una novella di Pirandello.

Un brèndolo di storia della nostra lingua

Per la strada intanfata di fumo e di stalla ruzzavano ragazzi cotti dal sole, alcuni ignudi nati, altri con la sola camicina, a brendoli, sudicia; e le galline razzolavano, e grugnivano, soffiando col grifo tra la spazzatura, i porcellini cretacei. (Luigi Pirandello, L’altro figlio, in Novelle per un anno, vol. II, Mondadori, Milano, 1987, pp. 31-54: p. 32; I ed. 1905)

Benché usata da un autore del peso di Pirandello, la voce brendolo è registrata dal GDLI, la vasta opera lessicografica testimone della nostra tradizione letteraria, soltanto nel Supplemento 2004, senza alcuna citazione a sostegno. In realtà, “frugando” all’interno del dizionario, qualche brendolo si poteva trovare già in precedenza nelle citazioni a corredo di altre voci:

Un giacchettóne di fustagno che perde i brendoli, con un solo bottone e anche questo per carità. (Ippolito Nievo [1831-1861], Novelliere campagnuolo e altri racconti, a cura di I. De Luca, Torino, 1956, p. 220: GDLI, vol. VI, 19701, s.v. Giacchétto2 § 2)

Tenevano in mezzo un ragazzaccio a brendoli, colle mani legate, una figura smilza e imbozzacchita dai vizi e dalle prigioni. (Emilio De Marchi [1851-1901], Arabella, in Id., Grandi romanzi, a cura di G. Ferrata, Milano, 1960, p. 733 [in altre edd. a sbrendoli]: GDLI, vol. VII, 19721, s.v. Imbozzacchito, § 2)

Nello spazio riservato alla definizione, il GDLI nel Supplemento 2004 “traduce” brendolo (riportato nel lemma in grassetto con l’accento grave, seguito tra parentesi dalla ripetizione della voce in corsivo ma con accento acuto) con sbrendolo senza altro in aggiunta, se non, nella sezione etimologica, l’indicazione “Var[iante] tosc[ana] di brandello”. Alla voce sbrèndolo (vol. XVII, 1994), glossata come genericamente “Region[ale]”, troviamo come prima accezione “Brandello di tessuto per lo più penzolante da un abito logoro”, seguita da altre più specifiche corredate da molte citazioni letterarie di autori vissuti, come Pirandello, tra Otto e Novecento, e per la maggior parte settentrionali, ma non solo. Ci sono passi di Giovanni Faldella, Elio Vittorini, Riccardo Bacchelli, Giovanni Boine, Bruno Cicognani, e altri ancora. Il dizionario riporta anche la locuzione a sbrendoli (parallela all’a brendoli pirandelliano oggetto della domanda della nostra lettrice), che assume funzione aggettivale con il significato di “tutto strappato, logoro” se riferito ad abiti o altri oggetti in stoffa. Si citano “un soprabitone a sbrendoli” in De Marchi, “calzoni a sbrendoli” in Federico De Roberto, “un giacchetto bianchiccio a sbrendoli” in Ardengo Soffici.
Sono registrati anche diversi derivati di sbrendolo (così sbrèndola “donna cenciosa, stracciona”; sbrendolare “ridurre a brandelli, stracciare”; sbrendolone “sciatto nel vestire”, ecc.) tutti glossati come regionali. Uno di questi, sbrendolato, è usato due volte dallo stesso Pirandello, sempre in riferimento a una camicia, ancora in Novelle per un anno:

Ancora, passando per le viuzze alte del paesello, popolate d’innumerevoli bambini strillanti, nudi o con la camicina sudicia e sbrendolata addosso, ancora voleva esser guardata con amorosa ammirazione […]. (La maestrina Boccarmè, in Novelle per un anno, cit., vol. II, 1987, pp. 331-349: p. 346; I ed. 1902)

Nel vedergli la camicia sbrendolata e sudicia, sforacchiata ai gomiti, provarono tutti una penosissima impressione. (La signora Speranza, in Novelle per un anno, cit., vol. III, 1990, Appendice, pp. 1052-1106: p. 1103; I ed. 1903)

Come già detto, il GDLI glossa sbrendolo come termine regionale, mentre brendolo è annotato specificamente come regionalismo toscano. Cerchiamo allora di capire di quale toscano si tratta.

brendolosbrendolo si trovano nelle cinque edizioni del Vocabolario della Crusca; mentre sbrendolo, sbrendolare e sbrendolone sono registrati nelle Giunte e correzioni (1879) al Tommaseo-Bellini; per il Giorgini-Broglio le medesime voci appartengono all’italiano “secondo l’uso di Firenze”. E lo stesso vale per il Vocabolario italiano della lingua parlata (1874) di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani. In nessuno di questi dizionari compare brendolo. Possiamo quindi escluderne l’appartenenza alla varietà fiorentina.

Pietro Fanfani nel Vocabolario dell’uso toscano (1863) registrava invece, accanto alle voci con s- iniziale, anche brendolo e i suoi derivati:

BRENDOLÁRE. v. intr. Si dice di vestimento che, o per essere stracciato, o per esser mal cucito e mal messo addosso, ne ricasca un lembo o uno straccio di qua o di là: e Brendolo, si dice il lembo che ricasca; e Brendolone chi attualmente ha tale vestimento addosso, od abitualmente è sciatto e mal vestito. Es.: Che brendolone sei! – Brendola o Semina brendoli da tutte le parti. Più che altro son modi pistojesi.

Troviamo un’identica trattazione del lemma brendolare, compresa la chiusura con il riferimento ai “modi pistoiesi”, nei successivi Vocabolario della lingua italiana (1886) e Vocabolario della lingua italiana per uso delle scuole (1891) dello stesso autore. Anche Policarpo Petrocchi nel suo Novo dizionario universale della lingua italiana (1892) riporta brendolo, brendolare e brendolone, ma li pone nella parte bassa della pagina, quella che accoglie le voci “fuori dall’uso”, glossandoli come pistoiesi, mentre i corrispondenti con s- iniziale sono nella parte alta senza alcuna annotazione.

Possiamo quindi affermare che nell’italiano ottocentesco sbrendolo ha legittima cittadinanza in quanto fiorentino, diversamente da brendolo, che è riferibile a un’area più marginale, quella pistoiese.

Interrogando il corpus di Google libri (si sono cercati brendolo, brendoli, brendola, brendole, brendolato e brendolare), a parte i molti risultati che riguardano un toponimo (Brendola o Brendolo) e un casato (Brendoli, Brendolo) del Vicentino, troviamo una testimonianza interessante già nel XVII secolo, dell’uso della voce, al femminile:

brendola p[enultima] b[reve] strisciòla. Gius. Laurent. (Placido Spadafora, Prosodia italiana, ouero L’arte con l’uso degli accenti nella volgar favella d’Italia…, in Palermo, appresso Pietro d’Isola, 1682, parte I, p. 147)

La fonte “Gius. Laurent.” citata da Spadafora è Josephi Laurentii [Giuseppe Laurenzi] “Lucensis [= lucchese] S[anctae] T[heologiae] D[octor]”, Amalthea onomastica…, in cui, a p. 88 dell’edizione 1640 (Lucca, Baldassarre Del Giudice), le voci “strisciola o brendola” vengono tradotte con il latino “Striga, ae”, ovvero, presumibilmente, ‘filare, striscia di terra’ (cfr. strĭga1 in VoLat). Ci troviamo ancora in Toscana, in area nord-occidentale, per la precisione a Lucca.

La prima attestazione del termine, o meglio di una sua variante, riferibile all’area della montagna pistoiese, si trova nelle Disgrazie della Mea di Jacopo Lori (1722-1776), pievano di S. Marcello Pistoiese, in cui si parla di certa “zazzumaglia” [= razzumaglia] intoccabile in quanto “ha il brendur rosso” (Fanfani 1870). L’espressione viene spiegata come “Avere il brendolo o cintolo rosso” da Giuseppe Tigri (Tigri 1856, pp. 381-415: p. 384, note alla stanza 11) e da Pietro Fanfani (1870, p. 52): “v. 4. C’ha il brendur rosso? Che ha il brendolo, il cintolo rosso? Si dice comunemente di chi va esente da qualche noja che tocchi ad altrui. Forse da’ gran privilegj che Cosimo concedè a’ Cavalieri di S. Stefano”.

Nell’Ottocento, accanto alle numerose testimonianze della voce usata al plurale per indicare una pianta, il Cytisus laburnum, detta maggiociondolo per i suoi grappoli di fiori penduli (ciondolanti), in opere che trattano di nomenclatura botanica tradizionale, come il Trattato degli Alberi della Toscana di Gaetano Savi (Pisa, s.n., 1801), o il Dizionario botanico italiano di Ottaviano Targioni Tozzetti (parte I, Firenze, Piatti,1809), troviamo la voce con il significato affine a quello pirandelliano in raccolte di lessico tradizionale toscano: così brendolo (ma anche sbrendolo, sbrindolo e brindolo) per “ritaglio, frastagliatura prodotta in un cencio o simile per ragion di vecchiezza” appare come proprio del Montale Pistoiese nel Saggio di Gherardo Nerucci (1865, p. 51) e con significato quasi identico nelle Cincelle da bambini (1880, p. 97; qui anche brìndolo) dello stesso autore; per la locuzione a brendolone detto di una “bela catena” possiamo allargare l’area di diffusione all’area massese (cfr. Giannini 1889, p. 286) e per brendolone riferito a una persona, anche alla Versilia:

Si suol dire che marzo, catarzo (sudicio, tristo), figliuol d’un brendolone, scortica la pecora e il montone. […] − (Versilia.) (Giambattista Giuliani, Saggio d’un dizionario del volgare toscano, in Id., Moralità e poesia del vivente linguaggio toscano, Firenze, Le Monnier, 1871, p. 178)

Il termine compare anche in alcuni dizionari dialettali di aree diverse dalla Toscana, proposto come traducente italiano (toscano) di voci locali: così brendolone è usato da Casaccia (18762), accanto al fiorentino brindellone e a straccione, per “tradurre” il genovese cinsön; Mattioli (1879) affianca brendoli (e sbrendoli) alla voce romagnola brandàcul; Angiolini (1897) usa brendoli nella trattazione delle voci milanesi bindolêra (a) e šfilaprênt e il verbo brendolare in quella di bandolera (a). E ancora, Traina (1877) e Nicotra (1883) propongono brendolone come alternativa italiana al siciliano sfantisu; e altrettanto fa Andreoli (1877) per il napoletano sfelenzo.

La voce è impiegata anche al di fuori della lessicografia dialettale, in testi di autori toscani riferibili ad àmbiti diversi, sia in senso proprio, come in questo passo del già citato Gherardo Nerucci, originario del Montale Pistoiese:

[…] circa quattro ore prima che cominciasse il combattimento di Curtatone, […], la Bandiera, […] quella che si conserva nell’Università di Pisa, ma tutta in brendoli per colpa di chi la lasciò vergognosamente strappucchiare […], quella Bandiera fu nella sua fodera d’incerato spedita in sicuro a Goito con le salmerie del Battaglione […]. (Gherardo Nerucci, Ricordi storici del Battaglione Universitario toscano alla guerra dell’indipendenza italiana del 1848, Prato, G. Salvi, 1891, p. 371);

sia in senso figurato:

Il concetto stesso di raggranellare il sapere tutto quanto in brendoli e brani prova la miseria mentale dei suoi autori, […]. (Francesco Della Scala [Francesco Dini, n. a Colle di Val d’Elsa], Discorso di filosofia, Firenze, Andrea Bettini libraio, 1873, p. 43)

Testimonianze analoghe si trovano anche in testi di autori non toscani:

Il povero nostro ministero è tutto lacero e se ne va in brendoli. È proprio un ministero degno della giovine Italia, la quale se ne va a rotoli. (Rattoppatura del Ministero, “Il Subalpino”, I, 98, 30/9/1862)

E adesso un Papa dà in corrucci e in pianti / Se gli si leva un brendolo d’Ancona, / O invece d’ire armati ai Luoghi Santi / Si vuol passare il Tevere alla buona; / E strepita un Cugino di Rodolfo, / Se gli si chiede un bricciolo di golfo. (Giovanni Prati [trentino], Amedeo VI di Savoia ossia Il conte verde, in Id., Opere edite e inedite, vol. IV, Milano, M. Guigoni, 1863, ottava C, p. 59)

Rivolsi il capo e vidi uscire dalla fitta dei lentischi, una donna. […] Stette immobile, con un braccio teso a scostare le ramatelle, coll’altra mano tenendo raccolta la veste succinta e tutta a brendoli: una posa statuaria. (G. Attas [i. e. Giacinto Satta, sardo], Un matrimonio alla macchia, “Rivista economica della Sardegna”, II, 1, gennaio 1878, pp. 85-104: p. 86)

[…] è la parte pulita della città, salvochè le truppe accampandovisi come all’epoca dell’ultima guerra, non la disseminino di brendoli d’abiti e di rifiuti di cucine […]. (Giovanni Battista Licata [napoletano, di padre siciliano], Assab e i danàchili: viaggio e studii, Milano, Fratelli Treves, 1885, p. 57)

Ogni veste in fantastici / Disegni si ricama: / La ricchezza frastaglia / I merletti alla dama, / E l’abile miseria / Alle povere donne / In pittoreschi brendoli / Sa ricamar le gonne. (Ferdinando Fontana [milanese], Napoli, in Id., Poesie vecchie e nuove (1876-1891), Milano, Presso l’autore, 1892, pp. 5 sg.)

Brendolo e sbrendolo, oltre ad avere dalla loro l’appartenenza alla varietà toscana considerata ancora alla fine dell’Ottocento modello di lingua, offrivano anche il vantaggio di essere formalmente, ed etimologicamente (cfr. LEI 4, 1551 bar(r)-/ber(r)-/bir(r)-/br-) assai vicini a forme tradizionali di altre aree della Penisola: dallo (s)brindolon veneto e trentino (Boerio 1829, Nazari 1876, Pajello 1896, Rasmo 1881), all’abruzzese sbrènzele (Pansa 1885, p. 43), fino al siciliano bbrìnnulu o brìndulu (rispettivamente Traina 1890 e Piccitto 1950; per altre attestazioni in repertori dialettali si rimanda al LEI cit.).

La scelta di Pirandello quindi non è difforme da quella di altri autori a lui contemporanei, e se anche egli non usa il fiorentino sbrendolo, opta comunque per un termine “certificato” toscano dalla lessicografia e di cui potrebbe aver constatato l’uso vivo da parte dei parlanti quando, come sappiamo, ebbe occasione di soggiornare a San Marcello Pistoiese (per l’attenzione dello scrittore siciliano all’uso parlato toscano durante le sue permanenze nella regione cfr. anche Stussi 2000). Inoltre, come abbiamo visto, rispetto a sbrendolo, brendolo ha in più il vantaggio di avere un omologo nel dialetto siciliano: la tendenza all’uso di parole dialettali che avessero coincidenze nel toscano letterario, o anche arcaico, non era insolita per Pirandello, quasi queste coincidenze costituissero una sorta di “ratifica” nella tradizione letteraria di un elemento lessicale (anche) siciliano (cfr. Stussi 2000 e 2002).

Nota bibliografica:

  • Raffaele Andreoli, Vocabolario napoletano-italiano, Torino [etc.], Paravia, 1887.
  • Francesco Angiolini, Vocabolario milanese-italiano coi segni per la pronuncia, Torino [etc.], Paravia, 1897.
  • Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, Andrea Santini e figlio, 1829.
  • Giovanni Casaccia, Dizionario genovese-italiano, Genova, Tip. di Giovanni Schinone, 18762.
  • [Pietro Fanfani], La Mea di Polito: poemetto montanino, di Jacopo Lori, con annotazioni filologiche di Pietro Fanfani, Pistoia, Vangucci, 1870.
  • Alfredo Giannini, Canzoni del contado di Massa Lunense, XIII, La malmaritata, in “Archivio per lo studio delle tradizioni popolari”, VIII, 1889, pp. 273-286.
  • Antonio Mattioli, Vocabolario romagnolo-italiano, Imola, Tip. d’I Galeati, 1879.
  • Giulio Nazari, Dizionario vicentino-italiano e regole di grammatica: ad uso delle scuole elementari di Vicenza, Oderzo, Tipografia Bianchi, 1876.
  • Gherardo Nerucci, Saggio di uno studio sopra i parlari vernacoli della Toscana: vernacolo montalese (contado) del sotto-dialetto di Pistoia, Milano, G. Fajini e Comp., 1865.
  • Gherardo Nerucci, Cincelle da bambini in nella stietta parlatura rùstica d’i Montale pistolese, Pistoia, Tip. Rossetti, 1880.
  • Vincenzo Nicotra, Dizionario siciliano-italiano, Catania, Bellini, 1883.
  • Luigi Pajello, Dizionario vicentino-italiano e italiano-vicentino, Vicenza, Stab. tip. a vapore Brunello e Pastorio, 1896.
  • Giovanni Pansa, Saggio di uno studio sul dialetto abruzzese, Lanciano, R. Carabba, 1885.
  • Giorgio Piccitto, Per un moderno vocabolario siciliano, Catania, Università di Catania, Biblioteca della Facoltà di Lettere e filosofia, 1950.
  • Ricardo Rasmo, Prove linguistiche sul dialetto della valle di Fiemme nel Tirolo italiano, Innsbruck, Wagner, 1881.
  • Alfredo Stussi, Lettura linguistica di “Il fumo” di Luigi Pirandello, in “Leggiadre donne…”. Novella e racconto breve in Italia, a cura di F. Bruni, Venezia, Marsilio, 2000, pp. 189-200.
  • Alfredo Stussi, Plurilinguismo passivo nei narratori siciliani tra Otto e Novecento?, in F. Brugnolo e V. Orioles (a cura di), Eteroglossia e plurilinguismo letterario, Atti del XXVIII Convegno interuniversitario di Bressanone (6-9 luglio 2000), Roma, Il Calamo, 2002, vol. II, pp. 491-515.
  • [Giuseppe Tigri], Canti popolari toscani raccolti e annotati da G. Tigri, Firenze, Barbera Bianchi e Comp., 1856.
  • Antonino Traina, Vocabolarietto delle voci siciliane dissimili dalle italiane, Torino [etc.], Paravia, 1877.
  • Antonino Traina, Nuovo vocabolario siciliano-italiano, Palermo, L. Finocchiaro e F. Orazio, 1890.

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