DOI 10.35948/2532-9006/2024.31208
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Il termine turistificazione non è registrato in nessun repertorio lessicografico italiano, sebbene conti nelle pagine in italiano di Google 20.300 risultati (tutte le ricerche sono aggiornate al 16/2/2024); proviene dall’ambito specialistico dell’urbanistica e dell’architettura:
La crescita dei flussi turistici sta investendo le principali città italiane (e non solo) in modo incontrollato, trasformando i centri storici in beni di consumo da cui estrarre valore attraverso un rapido processo di turistificazione. Con questo termine intendiamo l’insieme delle trasformazioni sociali, economiche e spaziali innescate dalla crescita del settore turistico e l’eccessiva specializzazione funzionale di alcune parti della città, condannate a una monocultura che progressivamente esclude dallo spazio urbano tutto ciò che non rientra in pratiche di consumo turistico. Molte sono le esternalità negative della turistificazione alle quali abbiamo guardato con preoccupazione in questi anni: l’espulsione degli abitanti, la precarizzazione del lavoro, la privatizzazione e la militarizzazione dello spazio pubblico, la mercificazione del patrimonio culturale, l’inquinamento. (Nicola Capone, Alessandra Caputi, Alessandra Esposito, Turistificazione, in Trame: pratiche e saperi per un’ecologia politica situata. Ecologie politiche del presente, Napoli, Tamu Edizioni, 2021, pp. 115-132, a pp. 115-116; il grassetto è mio)
Si tratta di un prestito la cui storia risulta difficile da ricostruire con certezza: confrontando le attestazioni del corrispondente inglese e francese touristification, sembrerebbe che il conio si debba all’inglese, lingua in cui la prima occorrenza che siamo riusciti a reperire risale al 1934 nella rivista “The Atlantic Monthly” (Rowland Raven-Hart, Odyssey of a Sixty-Per-Center, 4, pp. 440-448, a p. 447). La successiva attestazione, sempre in inglese, è in Go! (s.l., Through Europe edition, 1961, vol. II, p. 35), in cui viene affrontato il problema dell’eccessiva turistificazione in Spagna. Negli anni Sessanta si registrano diverse occorrenze in testi in lingua inglese, alcune in testi in francese; negli anni Settanta assistiamo a una crescita di attestazioni nei testi in francese e una decrescita in quelli in inglese. Confrontando i testi di ambito specialistico relativi all’architettura e all’urbanistica (ma non solo, come vedremo), sembrerebbe che il termine sia passato all’italiano attraverso lo spagnolo, divenuto lingua di prestigio in questi settori proprio negli ultimi cinquant’anni. Infatti, negli anni Settanta turistificación comincia a comparire nei testi in spagnolo e negli anni Ottanta turistificazione in quelli in italiano, con una connotazione sempre più vicina a quella negativa che viene registrata oggi:
Si añadimos a esto los problemas de la turistificación, de los campos militares y los parques naturales, podemos ver que hay también cuestiones ligadas a la política global [traduz. mia: Se aggiungiamo a questo i problemi della turistificazione, dei campi militari e dei parchi naturali, possiamo vedere che ci sono anche questioni legate alla politica globale]. (Beltza, Nacionalismo vasco y clases sociales, Portuetxe (Donostia), Txertoa, 1976, p. 174)
Sono due almeno le fasi di questa azione: turistificazione (a) e folk-revival (b). [...] (a) turistificazione: “le tradizioni popolari diventano l’aspetto visibile in un mondo esotico verso il quale vengono indirizzati quanti intendono fuggire, anche se momentaneamente[,] dalla costrizione, dalla monotonia e dalla prevedibilità della società urbana contemporanea”. (Emanuele Amodio, Lamientu e passioni: il teatro, la festa, la morte in una cultura meridionale, Ragusa, Sicilia Punto L., 1982, p. 21)
Il termine non è comunque registrato in nessun dizionario inglese, francese e spagnolo; ma la parola spagnola turistificación, che ha trovato largo impiego in relazione ai fenomeni turistici legati ad alcune città (come ad esempio Barcellona), è stata analizzata nel 2017 nel sito Fundéu (Fundación del Español Urgente), curato dalla Real Academia Española de la lengua, dove viene definita “término bien formado” [‘termine ben formato’] e “neologismo válido”:
Il sostantivo turistificación è un termine ben formato con il quale si allude all’impatto che ha la massificazione turistica nel tessuto commerciale e sociale di determinati quartieri e città. [...] Questo sostantivo e il verbo turistificar, che si impiega anch’esso abitualmente, si riferiscono all’impatto che ha, per il residente di un quartiere o di una città, il fatto che i servizi, le infrastrutture e i servizi commerciali comincino a essere orientati e concepiti pensando più al turista che al cittadino residente. Con questo significato si impiega anche, sebbene in misura minore, l’alternativa turistización, che pure non può essere censurata, e che si usa perlopiù per indicare, in una maniera più neutra, che qualcosa diventa più turistico, come ad esempio in: «Puntiamo alla turistización degli eventi che si tengono in città». Si raccomanda di mantenere questa specializzazione semantica, per cui l’uso sembra differenziare tra una turistificación, incentrata più sull’effetto, generalmente – anche se non solo – negativo, e una turistización più neutra, che può risultare molto utile per le informazioni. (traduz. mia di Turistificación, neologismo válido, fundeu.es, 17/3/2017)
Morfologia
La parola italiana turistificazione potrebbe considerarsi un nome d’azione derivato dal verbo turistificare; questo verbo, pur attestato, conta però un numero di occorrenze molto basso (nelle pagine in italiano di Google sono appena 230 i risultati per l’infinito turistificare e 3.169 per le forme participiali turistificato/i/a/e). Proprio questa scarsità di attestazioni rende poco probabile l’ipotesi che il verbo sia la base su cui è stato formato il nome: è più probabile che il sostantivo sia un prestito e il verbo una retroformazione. Assumendo, invece, che la trafila derivativa sia stata quella più consueta in italiano, si deve supporre che turistificare sia stato formato attraverso il suffisso -ific- dall’aggettivo turistico, che presenta, come tutti gli aggettivi in -ico, la caduta del suffisso quando si combina con -ificare (autent-ico > autent-ificare; tecn-ico > tecn-ificare; per le questioni derivative si legga Maria Grossmann, Verbi denominali, in Grossmann-Rainer 2004, pp. 450-458; Eadem, Verbi deaggettivali, ivi pp. 459-465). Il suffisso -(i)ficare, poi, deriva dal latino -ficāre (tratto, a sua volta, dalla radice di făcere ‘fare’) e ha valore causativo, dando al derivato il senso di ‘dare a qualcosa o a qualcuno le caratteristiche espresse dalla base’: beato > beatificare ‘rendere beato qlcn.’ (Serianni 1989, pp. 650). A volte il suffisso verbale ha un valore processuale, indicando – con una connotazione negativa – una crescita progressiva e irreversibile: si pensi a desertificare e a desertificazione. Analogamente, turistificare e turistificazione significano rispettivamente ‘rendere turistico qualcosa’ e ‘azione di rendere turistico qualcosa’, in cui l’aggettivo turistico assume una connotazione negativa, che riguarda l’eccessiva massificazione del turismo, con conseguente depersonalizzazione e perdita di qualità (basti pensare a ristorante turistico, con cui si indica un locale con vivande poco curate o comunque lontane dall’autenticità tradizionale).
Turisti(ci)zzare/turisti(ci)zzazione
Accanto a turistificare/turistificazione si è notata la presenza e la registrazione in molti dizionari italiani (GDLI, Palazzi-Folena, GRADIT, Devoto-Oli online, Zingarelli, a partire dalla XII edizione del 1993) di turisti(ci)zzare e turisti(ci)zzazione, che manifestano un significato più neutro, scevro (ma non sempre) da ogni sfumatura negativa legata alla massificazione turistica: ‘rendere idoneo ad accogliere i turisti allestendo infrastrutture, predisponendo i servizi propri dell’industria del turismo’ (GDLI). Il GDLI è l’unico dizionario che lemmatizza turistizzato, che, come turistificato, presenta invece l’accezione negativa: ‘modificato (per lo più, anche gravemente alterato e snaturato) per le esigenze dell’industria turistica (un paesaggio, un luogo)’. Abbiamo affrontato turisti(ci)zzare/turisti(ci)zzazione per due motivi: (1) nell’italiano contemporaneo -ific- e -izz- sono tra i suffissi verbali più produttivi che presentano caratteristiche morfo-semantiche affini; (2) le voci turistificazione e turistizzazione spesso si sono sovrapposte nel significato, tant’è che, come vedremo, il secondo termine, spesso con accezione negativa, aveva una netta prevalenza sul primo, almeno fino agli anni Novanta.
Segnaliamo, infine, alcune retrodatazioni: il GRADIT data la più antica attestazione di turistizzazione al 1955, ma le prime occorrenze che siamo riusciti a reperire risalgono al 1938 e 1939, in entrambi i casi accompagnate da virgolette, che rivelano una certa estraneità del termine all’uso comune:
E lasciamo da parte la «turistizzazione» di Kyoto e di Nara, ivi compresi i giovanotti che parlano inglese nelle botteghe curios nella Shimonzen, o strada di negozi, ed anche la vendita di cartoline e di amuleti, floridissima a Nara come a Kyoto. (Enrico Rizzini, Due città stragiapponesi, “Corriere della Sera”, 5/6/1938, p. 3)
La «turistizzazione» di una località porta inevitabilmente con sé l’introduzione di usi cittadini, non sempre rispondenti alle vedute degli abitanti i centri rurali [...]. (“Rassegna d’oltremare: Il commercio italo-africano”, 1939, p. 18)
Anche turisticizzazione va retrodatato: il GRADIT lo fa risalire al 1983, mentre la prima attestazione che siamo riusciti a reperire con Google libri risale al 1955 (“[Padre] Pio subisce una turisticizzazione, dice così, che fa salire i prezzi”; Tommaso Fiore, Il cafone all’inferno, Milano, Einaudi, 1955, p. 210).
Storia del termine turistificazione
Come abbiamo già visto, la prima attestazione di turistificazione da noi reperita risale al 1982; la successiva, invece, al 1990:
Tanta solenne ed essenziale bellezza, testimonianza di un’epoca fiorente di commerci, divenne pressoché inutile con la crisi internazionale dei trasporti marittimi e la conseguente chiusura dei docks di Liverpool negli anni Settanta. O almeno corse seri pericoli di diventarlo. Certamente fece sorgere una volta di più quello che sembra essere un problema tipico del nostro tempo: la riconversione, con la sua coda strisciante della “turistificazione” e dello snaturamento. (“Abitare”, n. 288-291, 1990, p. 268)
Quest’occorrenza all’interno di “Abitare”, rivista di architettura e design, presenta già una connotazione negativa che si registra in quasi tutte le attestazioni contemporanee, tant’è che il sostantivo viene affiancato a snaturamento. Negli anni Novanta le occorrenze sono molto più numerose, soprattutto all’interno di testi specialistici che affrontano problemi architettonici e/o urbanistici ma anche geografici, sociologici e antropologici:
Nella seconda parte del volume si affronta il processo di “turistificazione”, variabile a seconda del quadro storico di riferimento, dei mezzi di trasporto e di comunicazione, delle azioni e delle strategie dei protagonisti. (“Rivista geografica italiana”, vol. 102, 1995, p. 522)
E proprio gli scossoni che il mondo ha conosciuto […] possono forse aprire uno spiraglio di ottimismo rispetto alla fosca chiusura del volume di Turner e Ash dove si disegna uno sbocco inquietante alla turistificazione del mondo: «la ricerca di semplicità finisce nella complessità tecnologica e nel mutamento sociale accelerato; l’inseguimento dell’esotico e del diverso finisce nell’uniformità». (Ulderico Bernardi, Del viaggiare: turismi, culture, cucine musei open air, Milano, Franco Angeli, 1997, p. 26)
Bali è senz’altro un esempio particolare; ma se andiamo poco lontano da essa, cioè e Toraja, vediamo che le dinamiche, pur assai diverse, e per processi di turistificazione e per effetti di impatto, rispondono a forme di assestamento istituzionale comuni. (Alessandro Simonicca, Antropologia del turismo: strategie di ricerca e contesti etnografici, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1997, p. 113)
Il termine comincia a subire un aumento notevole delle occorrenze a partire da aprile del 2018, quando viene fondata la rete SET-Sud Europa di fronte alla turistificazione, un “coordinamento di associazioni, collettivi e comitati di quartiere che raccoglie esperienze diffuse soprattutto in Spagna con le prime adesioni anche in Italia (Venezia e per l’appunto Napoli) e in altri paesi sud-europei”. (Ugo Rossi, Emergenza abitativa, turistificazione, resistenza dal basso, euronomade.info, 14/7/2018)
L’attenzione che la Spagna ha dimostrato per il fenomeno della massificazione turistica è stata trainante per l’Italia (e in particolare per la città di Napoli), che ha fatto tesoro delle esperienze spagnole, introducendo la parola all’interno delle trattazioni di settore:
In molte città del Sud Europa stanno nascendo movimenti di resistenza ai processi di turistificazione che le stanno investendo. Associazioni e collettivi di alcune di queste (Venezia, Valencia, Siviglia, Palma, Pamplona, Lisbona, Malta, Malaga, Madrid, Girona, Donostia/San Sebastian, Canarie, Camp de Terragona, Barcellona) si sono incontrati nel corso dell’ultimo anno in diverse occasioni, con l’obiettivo di condividere e scambiare esperienze e conoscenze. [...] Anche se ognuna di queste città presenta problemi specifici legati a questo fenomeno, alcuni sono senza dubbio comuni a tutte loro.
- Il più importante ed esteso: l’aumento della precarizzazione del diritto all’alloggio [...].
- Aumento dei prezzi e trasformazione delle attività commerciali locali in attività turistiche slegate dai bisogni delle popolazioni locali [...].
- Massificazione di strade e piazze che rende difficile la vita quotidiana dei residenti [...].
- Saturazione delle reti di trasporto pubblico.
- Alta dipendenza dell’economia locale dal settore turistico, con tendenza alla monocultura.
- Precarizzazione delle condizioni lavorative della popolazione [...].
- Alti tassi di inquinamento (aerei, navi da crociera, corriere...) e di residui [...]; uso massivo di risorse – acqua e territorio – e perdita del diritto a vivere in un ambiente sano.
- Uso smisurato e ampliamento costante delle infrastrutture (strade, porti, aeroporti, depuratori, impianti di dissalazione) [...].Il grado di incidenza di questi problemi nelle diverse città non è affatto omogeneo, anzi molto variabile, giacché spesso dipende direttamente dal grado di turistificazione che le colpisce. [...]
Questo manifesto è il primo passo per la internazionalizzazione della lotta alla turistificazione delle città e dei territori, attraverso il quale continuiamo il dibattito, la riflessione e la mobilitazione comune. (Nasce SET: una rete di città contro l’attuale modello turistico, dinamopress.it, 25/4/2018)
Il termine, a partire dal 2018, viene impiegato in testi accademici che trattano il fenomeno dal punto di vista architettonico, urbanistico e geografico, raramente ricorrendo all’anglismo non adattato, come in [2], in cui, pur facendo riferimento a testi spagnoli, il termine presenta la base derivativa con grafia italo-spagnola (da turistico) ma la parte suffissata con grafia inglese (meno probabilmente francese) -tion, divenendo l’ibrido turistification:
[1] I processi di turistificazione comportano dunque spesso effetti negativi sia sul piano sociale che economico e ambientale, stimolando nel lungo periodo processi di disappropriazione del luogo da parte della comunità insediata. (Massimo Carta, Maria Rita Gisotti, Elena Tarsi, Dinamiche di turistificazione e città giusta: analisi e prospettive dal caso della Medina di Fès, Marocco, in Il bisogno di giustizia nella città che cambia (Atti della Conferenza Internazionale, 23 novembre 2018, Triennale di Milano), a cura di Michele Talia, Roma-Milano, Planum Publisher, 2018, pp. 53-60, a p. 54)
[2] Nello studiare una città non ancora coinvolta dalla pandemia e che era in procinto di vivere un fenomeno come quello della turistification, risulta infatti necessario comprendere quali sono gli andamenti e le caratteristiche di questi due fondamentali aspetti dell’economia di una città per comprendere appieno come e se si stessero modificando in maniera tale da risultare più appetibile [sic] all’interno dell’industria turistica. (Federico Prestileo, Geografie del turismo a Palermo, “Etnografie del contemporaneo” III/3, 2020, pp. 49-61, a pp. 50-51)
Il termine turistificazione comincia a comparire sui quotidiani nel 2018 e nel corso del 2023 vede un incremento d’uso notevole: ad esempio, sulla “Repubblica” alle 2 occorrenze del 2018, ne seguono 11 nel 2019, 6 nel 2020, 6 nel 2021, 1 nel 2022, e ben 47 nel 2023. Quest’andamento va senz’altro analizzato alla luce della pandemia e di una stasi totale e poi parziale dei flussi turistici, che ha coinvolto non solo il 2020 ma anche gli anni immediatamente successivi, con una conseguente e massiccia ripresa nel 2023, dovuta all’eliminazione di tutte le restrizioni fino a quel momento vigenti, soprattutto nei movimenti internazionali. Riportiamo le prime attestazioni rilevate sui principali quotidiani:
«Napoli è un brand forte perché preserva un ottimo rapporto qualità-prezzo e soprattutto riesce, nell’era della globalizzazione, a non cedere alla mercificazione né alla “turistificazione”». Luigi De Magistris sfoglia con interesse la nuova “Guida ai sapori e ai piaceri della Campania” di Repubblica nel foyer del Teatro San Carlo e rappresenta «la gratitudine per chi ogni giorno si impegna con competenza e passione per esprimere alcune delle ricchezze più importanti della nostra terra, che per la verità ne offre tantissime». (Monito di De Luca e de Magistris “Non siamo la Terra dei fuochi” “Valorizzazione turismo e gastronomia”, “la Repubblica”, sez. Cronaca, 6/12/2018, p. 8)
Quello che emerge dalla discussione è che la «mano morta» della turistificazione si sta estendendo per il solito motivo: la politica – cioè i cittadini – è molto più debole delle potenze del neoliberismo. (Massimo Marnetto, Lettera a Aldo Cazzullo, “Corriere della Sera”, 18/12/2019, p. 29)
Il fenomeno non è solo catalano, ma qui gli effetti sono più evidenti, tanto che sono stati coniati termini, «turismofobia», «turistificazione», che pur senza approvazione della Crusca sono entrati nel lessico di strada. (Francesco Olivo, L’appello di Barcellona ai turisti: “Non dite che siete stati qui”, lastampa.it, 9/8/2019)
Mentre le attestazioni in articoli firmati sui quotidiani dimostrano una presa di distanza dalla parola, segnalata dall’uso delle virgolette, nella lettera inviata da un cittadino ad Aldo Cazzullo, il termine si presenta senza virgolette, quasi a testimonianza del fatto che non viene avvertito come nuovo o strano. L’incremento nel 2023 è testimoniato dalle attestazioni del termine anche in altre testate giornalistiche, come l’“Huffington Post” (Silvia Renda, Pericolo turistificazione: Firenze e Venezia sono a un passo dallo scoppiare, huffingtonpost.it, 14/12/2023) e il “Manifesto”, in cui la parola compare anche nella forma prefissata con iper- (in questo caso il prefisso ne aumenta la connotazione negativa):
La città ha offerto un mix di condizioni che hanno agevolato questa deriva: grandi patrimoni in mano a singoli proprietari; case a basso prezzo ma in palazzi storici (un elemento adesso sparito a causa della bolla speculativa innescata dall’iperturistificazione); un’ampia fascia di popolazione con lavori precari che ha investito in un immobile a fini turistici per integrare i guadagni. (Adriana Pollice, Napoli, no alla turistificazione: la rete dal basso per restare abitanti della propria città, ilmanifesto.it, 10/5/2023)
Turistificazione, gentrificazione e airificazione: nuovi fenomeni e nuove parole
Nel 2023 è stata bandita una borsa di ricerca presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Catania sul tema “Turistification e Gentrification. Strumenti per la pianificazione urbanistica e architettonica dei piccoli borghi”. Colpiscono due fenomeni: (1) in ambito specialistico, spesso si preferisce usare il termine, “ibrido” nella grafia e ammiccante all’inglese, turistification (non si esclude che, in alcuni casi, si tratti di un errore dovuto alla scarsa conoscenza della grafia inglese); (2) in molte trattazioni il termine turistificazione si affianca a quello di gentrificazione, parola con cui si indica un cambiamento di carattere urbanistico e architettonico nelle città contemporanee (si veda la scheda di approfondimento di Raffaella Setti, Gentrificazione).
Si rileva, soprattutto nei testi specialistici relativi all’architettura e all’urbanistica, l’associazione del termine turistificazione ad airificazione (dall’inglese airification da Air(bnb) + -ification), parola d’uso incipiente non ancora stabilizzata nel lessico italiano (498 r. nelle pagine in italiano di Google; “airification” 606 nelle pagine in italiano, 3.880 in tutte le lingue):
La difficoltà di conciliare, a scala locale, turistificazione/airificazione e salvaguardia del patrimonio culturale e dei bisogni della comunità locale si evidenzia in modo particolare in contesti urbani densi e articolati, come l’ambito qui indagato. [...] Napoli è stata interessata, nell’ultimo decennio, da un intenso processo di airificazione che ha prodotto evidenti criticità ed esternalità negative. [...] L’emergenza pandemica, che ha paralizzato il comparto turistico, ha congelato anche il discorso e il dibattito sul tema dell’airificazione. (Giorgia Iovino, Affitti turistici a breve termine nelle città d’arte. La “airificazione” di Napoli e i suoi impatti, in “Bollettino dell’Associazione Italiana di Cartografia” 172, Trieste, EUT, 2021, pp. 4-19, a pp. 7, 16, 17)
In questo articolo, in cui è attestato anche il verbo airificare (“quartieri «airificati»”, p. 12) si parla dell’eccessiva diffusione di affitti turistici a basso costo, gestiti dal sistema/applicazione Airbnb: fenomeno che ha senz’altro contribuito alla turistificazione di molti centri urbani e territori.
Sinonimi: overtourism e sovraturismo
Infine dobbiamo segnalare la presenza e la diffusione di due termini sinonimici: overtourism e l’equivalente italiano sovraturismo. La parola inglese overtourism, registrata dal Cambridge Dictionary, in italiano è un anglismo non adattato, inserito recentemente nella sezione Neologismi 2023 del Vocabolario Treccani e nel Devoto-Oli online (con prima attestazione al 2017), che così la definisce: “Il sovraffollamento di una località a seguito di un significativo afflusso di turisti, che influenza negativamente la qualità della vita dei residenti e dell’esperienza dei turisti stessi”. Il termine overtourism è stato usato nel 2017 dall’Organizzazione mondiale del turismo (UNWTO/WTM Ministers’ Summit: 60 Tourism Ministers and companies gather to discuss “overtourism”, unwto.org, 2/11/2017) per indicare “l’impatto del turismo su una destinazione, o parti di essa, che influenza eccessivamente e in modo negativo la qualità della vita percepita dai cittadini e/o la qualità delle esperienze dei visitatori” (Overtourism, it.wikipedia.org, ultima modifica 17/12/2023). La parola, che è stata inserita tra gli anglismi “tossici” o meglio “velenosi” del 2018 da Licia Corbolante nel suo blog, conta 86.800 risultati nelle pagine in italiano di Google, 297 nella “Repubblica” e 59 nell’archivio del “Corriere della Sera” (con prime attestazioni del 2017, mentre quelle nei libri digitalizzati su Google libri sono di un anno successive):
Come migliorare la convivenza fra turisti e cittadini: è il tema del convegno in programma domani. Il tema dell’overtourism, cioè del turismo eccessivo in alcune località di grande attrazione, è di estrema attualità e intreccia comportamenti incivili con un oggettivo allarme di sostenibilità ambientale. (L’overtourism: come migliorare la convivenza con i cittadini, “Corriere della Sera”, sez. Eventi, 11/10/2017, p. 43)
Sebbene il significato di overtourism possa sembrare identico a quello turistificazione, questo secondo termine nasce per descrivere il fenomeno dal punto di vista architettonico e urbanistico, geografico e paesaggistico, incentrandosi principalmente sugli effetti del sovraffollamento turistico; overtourism, invece, nasce nell’ambito del turismo inteso nel suo senso più ampio e indica il vero e proprio sovraffollamento turistico, focalizzando l’attenzione più sugli aspetti sociologici, antropologici, ma anche psicologici.
L’anglismo overtourism è stato tradotto in italiano con sovraturismo (la cui prima attestazione è in Stefano De Falco, Una riflessione sulla dicotomia urbano-suburbano tra anacronismo e persistente attualità, in relazione ai determinanti (sovra)turismo e innovazione. I casi studio di Venezia e Napoli Est, in “Rivista geografica italiana”, CXXVI, 3, 2019, pp. 81-115), parola che conta ben poche occorrenze: 877 risultati nelle pagine in italiano di Google, 4 nella “Repubblica” e nessuna nelle altre maggiori testate giornalistiche online (si sono sempre considerate le forme con trattino, sovra-turismo, e senza):
Chi cerca noi vuole una cosa diversa. È chiaro che parliamo di una nicchia, ma in Europa è un movimento in crescita, con cittadini che si rendono conto che le città soffocano per il sovra-turismo. (Marco Bettazzi, “Siamo l’alternativa etica e sostenibile all’affitto per turisti mordi e fuggi”, “la Repubblica”, sez. Dossier, 12/10/2020, p. 5)
La parola risulta essere ben formata e ben traduce, anche morfologicamente, l’anglismo overtourism; malgrado ciò, non sembra avere l’incisività necessaria per imporsi sul prestito concorrente.