DOI 10.35948/2532-9006/2024.32234
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Due lettori ci sottopongono tre termini che, pur non essendo attestati nei dizionari di lingua, risultano impiegati in àmbiti specifici: suonabilità, liuteristico e confraternale.
Prima di rispondere alla domanda di fondo posta da un lettore (“come comportarsi di fronte a un lessico raro, impiegato solo nella cerchia degli specialisti, ma non ancora accolto dal vocabolario della lingua italiana, dalla lingua comune?”), esaminiamo brevemente le tre parole che nelle due domande pervenute hanno fatto sorgere dubbi sulla loro accettabilità. Visto che parliamo di accettabilità, cominciamo da un altro sostantivo in -ità derivato da un aggettivo in -bile, suonabilità, che ha sollevato dubbi tra i nostri corrispondenti. Anche se non è ancora registrata nei vocabolari, suonabilità non è parola dell’ultima ora e vale sia al passivo, come ‘caratteristica di ciò che può essere (ben) suonato’ sia all’attivo come ‘caratteristica di ciò che suona (bene)’. Una proprietà ricorrente negli astratti da aggettivi in -bile, questa, come abitabilità, che significa sia ‘la caratteristica di una casa che può essere abitata’ sia ‘il requisito che una casa deve possedere per fungere da abitazione’. Nel lessico musicale suonabilità, come avverte un lettore, è, con tutta probabilità, il traducente italiano dell’inglese playability e come questo nomina ‘la facilità o la difficoltà con cui uno strumento musicale può essere suonato e/o la qualità del suono da lui emesso’. Dal punto di vista grammaticale non ci sono obiezioni al suo impiego. Dal punto di vista semantico neppure, tanto più che non c’è una parola in italiano che possa essere usata al suo posto per esprimere l’attitudine di uno strumento al suono o a essere suonato oppure la possibilità di eseguire su uno strumento un’idea, una scrittura musicale. Per di più, la parola circola con discreta abbondanza in rete tra gli addetti ai lavori, è trasparente, di facile comprensione e quindi non ci sono ragioni per sconsigliarla.
Veniamo a liuteristico: un aggettivo in -istico ‘che riguarda le attività di fabbricazione dei liuti’, che concerne la liuteria. Gli aggettivi con questo suffisso hanno perlopiù base da un sostantivo in -ismo (perfezionistico da perfezionismo), ma anche da altri diversi (come stilistico da stile). Sono però pochissimi i sostantivi a suffisso -eria che hanno generato aggettivi in -istico. Ce ne sono alcuni di scarsa circolazione come erboristico da erboristeria, maglieristico da maglieria, orologeristico da orologeria, tutti limitati al comparto produttivo espresso dal sostantivo di partenza. Ma sono, ripeto, pochi. I pur simili e molto comuni aggettivi tipo ragionieristico, infermieristico o ingegneristico non derivano da una base in -eria, ma da una in -iere e quindi non fanno testo. La scarsità d’uso però non implica l’inaccettabilità della parola, che è formalmente ammissibile, trasparente e senza equivalenti già consolidati nell’uso (il corradicale liutistico significa ‘del liuto’, non ‘della liuteria’).
Infine, confraternale (da confraterno) nel senso ‘di confraternita, delle confraternite’, attestato già dall’Ottocento. Ma il tipo è raro anche perché gli aggettivi in -ale, quando non sono di diretta derivazione dal latino (superficiale da superficialem) o adattamenti dall’inglese (ottimale da optimal), hanno origine prevalentemente da sostantivi (amicale da amico, aziendale da azienda) e solo raramente da aggettivi (angelicale da angelico, rusticale da rustico). Se il raro maternale deriva da un latino maternalem, fraternale nasce nel Trecento da un italiano fraterno e allo stesso modo, più recentemente, il nostro confraternale da confraterno. Ma fraternale o maternale significano ‘che è fraterno, proprio di un fratello’ o ‘che è materno, proprio di una madre’. Confraternale invece sembrerebbe voler indicare più che, od oltre che, ‘proprio di confratelli, di un confratello’, anche ‘proprio di una confraternita, delle confraternite’; si legge infatti di “un’antichissima Europa confraternale” (Liana Bertoldi Lenoci, Studi sull’associazionismo laicale in Puglia, in “Confraternitas”, 1990, p. 8), probabilmente in simmetria e opposizione, come si vede dall’esempio, a laicale. In letteratura confraternale nel senso di ‘relativo alle confraternite’ è ben attestato e non ci sarebbe motivo per dubitare della sua legittimità se non fosse che è attestato anche un più appropriato confraternitale (spesso si legge di Chiesa confraternitale, vita confraternitale, pala confraternitale), già presente nella Vita e miracoli del glorioso padre S. Nicola da Tolentino di Lodovico Zacconi (Pesaro, appresso Flaminio Concordia,1624, p. 159), dove si parla di “veste confraternitale”. Essendo disponibile un aggettivo più preciso come confraternitale, legato anche formalmente alle confraternite, si potrebbe, quando si cerca un aggettivo di relazione per questo antico e illustre comparto della vita religiosa, evitare il più generico confraternale, per quanto, certo, il farlo non sia proibito. Del resto, i due aggettivi si contendono su Google più o meno lo stesso numero di attestazioni nell’esiguo spazio relativo alla pubblicistica sulle confraternite.
E veniamo ora alla domanda preliminare di un lettore sulla legittimità di impiego di termini rari, usati in settori specifici e circoscritti. Non c’è dubbio che l’uso di tecnicismi dell’ambito di cui si tratta sia pienamente ammissibile, direi ovvia. La dose dipenderà dalla destinazione del testo e potrà essere più grande o più piccola in rapporto a una più specialistica o una più divulgativa. Quando poi i tecnicismi sono deboli, trasparenti e attestati (sia pur parcamente) nella bibliografia specializzata come quelli sottoposti qui alla nostra attenzione non c’è alcun motivo per censurarli.