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Scena del crimine: repertamento o repertazione? Gli oggetti sono repertabili?

  • Miriam Di Carlo
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW - IN ANTEPRIMA

DOI 10.35948/2532-9006/2024.33264

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Quesito:

Rispondiamo ad alcuni lettori che ci chiedono se l’azione che consiste nell’acquisizione di reperti per un’inchiesta giudiziaria si debba chiamare repertazione o piuttosto repertamento. Rispondiamo anche a un lettore che ci chiede se esista l’aggettivo repertabile.

Scena del crimine: repertamento o repertazione? Gli oggetti sono repertabili?

Tutte e tre le parole in questione sono derivate per suffissazione, ossia attraverso l’aggiunta di un morfema legato, a destra della base derivativa. Per tutti e tre i termini la base è costituita dal verbo repertare, senza il suffisso proprio dell’infinito (-re), con il mantenimento della vocale tematica della prima coniugazione (per i dubbi interpretativi circa la forma della base verbale, soprattutto per la seconda coniugazione: cfr. Livio Gaeta, I suffissi -mento e -zione; Davide Ricca, Il suffisso -bile, in Grossman-Rainer 2004, pp. 323-334, pp. 422-428).

La base “di partenza” del verbo repertare, usato prevalentemente nel linguaggio specialistico del diritto e in quello burocratico con il significato di ‘catalogare un reperto’ (Devoto-Oli online), è il sostantivo reperto (dal latino repertu(m), participio passato neutro del verbo latino reperire ‘trovare’), che, nello stesso ambito, significa ‘oggetto rinvenuto durante una perquisizione, un’indagine e sim. e posto sotto custodia giudiziale come mezzo di prova o comunque ai fini di un processo penale’ (GRADIT). Sia reperto sia repertare sono due parole relativamente recenti: stando al DELI, entrambi i termini, nel significato che acquisiscono nel lessico specialistico del diritto, sono stati registrati nel Dizionario di Panzini, rispettivamente nell’edizione del 1905 e in quella del 1923 (Alfredo Panzini, Dizionario moderno, Milano, Hoepli, 1905, 19082, 19233). Lo stesso Panzini, già nell’edizione del 1905, specificava che il sostantivo repertare poteva essere usato nell’ambito settoriale della medicina con il significato di ‘descrizione di ciò che si è trovato con un esame medico’. Ancora oggi, nello stesso ambito settoriale, reperto indica ‘l’insieme dei dati rilevati nel corso di un esame diagnostico generale o specialistico’ (es. reperto radiologico, GRADIT), e il verbo derivato repertare ‘riscontrare attraverso un’analisi obiettiva’ (Devoto-Oli online).

Repertazione e repertamento 
Entrambi i termini sono nomi d’azione, suffissati attraverso -zione e -mento, che indicano appunto l’azione espressa dalla base derivativa. Tra i due, l’unico termine a essere registrato dal solo GRADIT come appartenente al lessico specialistico del diritto e attestato prima del 1999 è repertamento. Ciò può apparire incongruente con i numeri della diffusione delle due parole: repertamento conta 12.500 risultati nelle pagine in italiano di Google mentre repertazione 20.700; repertamento ha 15 occorrenze nell’archivio della “Repubblica”, mentre repertazione arriva a 45. I dati vanno però integrati da quelli desunti dai siti della polizia scientifica e del dipartimento della scientifica dei carabinieri, nonché dei Genetisti Forensi Italiani (GeFI; le ricerche sono aggiornate al 30/12/2023).

Sebbene i due suffissi siano molto simili, sia semanticamente, sia morfologicamente (anche nella selezione delle basi), esistono alcune, seppur minime, caratteristiche che li differenziano. Tra queste ci interessa quella per cui “le basi formate mediante conversione mostrano una leggera preferenza per i derivati in -zione [...] rispetto ai derivati con il suffisso -mento” (Livio Gaeta, cit., p. 332). Parafrasando, esistono alcuni verbi in italiano che nascono per conversione di un sostantivo o di un aggettivo, con l’aggiunta del suffisso verbale: ad esempio da angoloNome > angolareVerbo > angolazioneNome ma anche compattoAggettivo > compattareVerbo > compattamentoNome. Nell’analisi delle neoformazioni del Novecento fatta da Gaeta, i derivati da verbi semplici in -mento sono più numerosi di circa 22 unità rispetto a quelli in -zione, mentre i derivati da verbi convertiti in -mento sono meno numerosi di circa 30 unità rispetto a quelli in -zione. Nel nostro caso, il verbo repertare è un verbo convertito (repertoNome > repertareVerbo e, per formare il nome d’azione corrispondente, dovrebbe privilegiare -zione rispetto a -mento

L’altra differenza riguarda la preferenza di -zione nella selezione di basi dotte, per caratteristiche sia fonologiche sia semantiche, oppure appartenenti a linguaggi specialistici; d’altra parte -mento, invece, è più comune con basi popolari o appartenenti a registri colloquiali (cfr. l’articolo su Spannolinamento, “Italiano digitale”, XXVII, 2023/4 (ottobre/dicembre). Nel nostro caso, il verbo repertare, alla cui base c’è il latinismo reperto, va considerato un termine appartenente al lessico specialistico del diritto, che quindi si presterebbe maggiormente alla suffissazione con -zione che a quella con -mento.

La terza caratteristica che distingue i due suffissi è di carattere semantico in quanto “-zione tende a ricorrere nel significato di ‘il fatto di essere P[articipio] P[assato]’” mentre -mento ‘l’atto di V[erbo]’: così ad esempio si può cogliere la differenza semantica (soprattutto rilevabile attraverso la lettura dell’intero contesto) tra costipazione e costipamento (cfr. Gaeta, cit. p. 333). Nel nostro caso, la differenza semantica tra repertazione e repertamento è difficile da rilevare, in quanto “fase di repertazione” e “fase di repertamento” (che hanno circa 200 occorrenze di differenza, con prevalenza della prima sequenza nelle pagine in italiano di Google) sono pressoché equivalenti: “gli oggetti sono in fase di repertazione” (‘il fatto di essere repertati’) ma anche di repertamento; così come “la scientifica è in fase di repertamento” (‘sta facendo l’atto di repertare’) ma anche di repertazione. Una minima differenza è rilevabile in un testo pubblicato sul sito dei Genetisti Forensi Italiani, in cui a una parte teorica in cui si parla di repertazione segue una tabella per l’acquisizione dei reperti attraverso la descrizione degli stessi, in cui si legge “data di repertamento” (Linee guida per la repertazione di tracce biologiche per le analisi di genetica forense nel percorso assistenziale delle vittime di violenza sessuale e/o maltrattamento, gefi-isfg.it). Anche nel sito dell’IISFA (Associazione italiana Digital Forensics) il modulo per l’acquisizione dei reperti viene detto Modulo di repertamento e catena di custodia (iisfa.it 2/2021).

In sostanza, però, i due sostantivi sono pressoché equivalenti, tanto che per cogliere l’intercambiabilità dei due suffissati all’interno di uno stesso contesto, o di contesti similari, proponiamo due brani a confronto tratti da testi specialistici digitalizzati in Google libri [1] e [2], due da testi pubblicati nel sito della sezione scientifica dei Carabinieri [3] e [4], e due da articoli della “Repubblica” [5] e [6]:

[1] La repertazione, fase che consiste in quell’insieme di operazioni mediante le quali gli investigatori raccolgono, custodiscono e preservano tutto ciò che può avere attinenza al fatto. (Ugo Ricci, Carlo Previderè, Paolo Fattorini, Fabio Corradini, La prova del DNA per la ricerca della verità: Aspetti giuridici, biologici e probabilistici, Milano, Giuffrè editore, 2006, p. 108)

[2] Per repertamento s’intende quanto consiste nel prelevare, conservare e successivamente trasmettere, tracce, corpi di reato o cose pertinenti al reato, in modo tale che non siano alterate, manomesse, distrutte, al fine di consentire l’esplicazione del loro elemento probatorio. (Incidente stradale: intervento e rilievi tecnici, a cura di Giuseppe Cassano, Rimini, Maggioli Editore, 2008, p. 149)

[3] la seconda [fase] [...] è composta da attività di ispezione [...], di descrizione di quanto percepito ed apprezzato [...], di ricerca di tutte le tracce inerenti al reato ed, infine, di repertazione di quelle asportabili. Alla repertazione seguono altre fasi non meno importanti, sebbene estranee alle attività di sopralluogo giudiziario propriamente detto. (Donatella Curtotti Nappi, Luigi Saravo, Le indagini sulla scena del crimine. Discrasia legislativa, carabinieri.it, comparso in “Rassegna dell’arma” 2011/II, aprile-giugno)

[4] Il repertamento fisico è la fase nella quale l’apparato digitale viene sigillato per la successiva analisi di laboratorio. Si noti la distinzione tra esso e il repertamento dati che si riconduce sommariamente ad una copia certificata di dati di interesse. (Marco Mattiucci, Giuseppe Delfinis, Forensic Computing, carabinieri.it, comparso in “Rassegna dell’arma”, 2006/II, aprile-giugno)

[5] Tra i quesiti rivolti ai medici legali dell’università di Padova, i tempi e le modalità della morte e ogni altro elemento che potrà essere utile all’indagine, come le attività di repertazione del sangue e delle urine. (Rosario Di Raimondo, Strage di Mestre, la procura: “Disposta perizia tecnica sul guardrail”, repubblica.it, sez. Cronaca, 5/10/2023)

[6] Al lavoro ci sono i carabinieri del nucleo investigativo e quelli della compagnia Guastalla. I Ris stanno procedendo alle operazioni di recupero e repertamento. (Giuseppe Baldessarro, Saman, trovati resti umani dentro un sacco nero sottoterra in un casolare abbandonato di Novellara, repubblica.it, sez. Bologna, 19/11/2022)

Dopo aver analizzato vari esempi raccolti, possiamo concludere che non c’è una vera e propria spiegazione della preferenza per un termine a discapito dell’altro: ad esempio, repertamento ha più occorrenze nel sito dei Carabinieri ma meno in quello della Polizia scientifica, mentre repertazione è prevalente nei manuali di ambito settoriale e nei testi divulgativi, come negli articoli di cronaca dei giornali; ma entrambi i termini si possono alternare all’interno di uno stesso testo senza distinzioni di significato.

Infine, per interpretare correttamente i dati dei risultati nelle pagine in italiano di Google bisogna considerare che entrambi i termini possono derivare da repertare nel significato specialistico medico: il termine repertazione indica, infatti, l’individuazione, specialmente in ambito chirurgico, della parte anatomica da operare, esaminare, ecc. Il termine, oltre a derivare da repertare, sarebbe “influenzato” dal francese repérage (cfr. la voce repérage nel Dictionnaire médical del l’Académie de Médicine, academie-medecine.fr), la cui base è il sostantivo repère, da cui l’italiano rèpere, usato nella locuzione appartenente al lessico specialistico della chirurgia punto di rèpere (‘area ristretta della cute che il chirurgo usa come riferimento per individuare parti anatomiche profonde’ GRADIT). Nonostante in ambito medico si possano trovare alcune occorrenze di repertamento con questo significato, il suffissato in -zione viene preferito. I due termini, benché in misura diversa, ricorrono quindi in due ambiti specialistici differenti ma affini, quello della medicina e quello della medicina legale, con due referenti differenti: in quello della medicina l’individuazione del punto da operare chirurgicamente, in quello della medicina legale l’acquisizione di oggetti per l’analisi processuale. Per questo motivo sarebbe opportuno fare ordine dal punto di vista lessicografico.

Repertabile
L’aggettivo repertabile, nonostante non sia registrato in nessun dizionario italiano, è utilizzato nell’ambito specialistico del diritto, della medicina legale e della medicina. È formato attraverso il suffisso -bile, che è il più produttivo per formare aggettivi in italiano, e che vale ‘che può essere P[articipio] P[assato]’, dunque nel nostro caso, ‘che può essere repertato’ (cfr. Davide Ricca, cit., p. 422). Secondo diversi studi, il suffisso -bile, oltre al significato appena espresso, presenta alcune sfumature semantiche di carattere deontico: può valere ‘che è lecito V[erbo]’ (nel nostro caso ‘che è lecito repertare’) o anche ‘che va PP’ (‘che deve essere repertato’; cfr. Antonietta Bisetto, Le regole di formazione di parola e l’adeguatezza esplicativa, in Federico Albano Leoni, et al. [a cura di], Dati empirici e teorie linguistiche. Atti del XXXIII Congresso internazionale di studi della SLI [Napoli, 28-30 ottobre 1999], Roma, Bulzoni, 2001, pp. 377-397). Su Google libri abbiamo notato che ricorre in molti romanzi polizieschi (nei quali, invece, non abbiamo rilevato alcuna occorrenza di repertazione e repertamento):

Nel verbale non prendono neanche nota dei due bicchieri mezzi pieni di aranciata e delle bottiglie sul tavolo della cucina e che si vedono nella foto. Non viene repertato nulla. [...] Se ne vanno così, lasciando le ragazze e la casa in un silenzio irreale, con qualsiasi traccia repertabile perduta per sempre. (Mauro Valentini, Cianuro a San Lorenzo. La storia di Francesco Moretti, Roma, Sovera Multimedia, 2015, p. 52-53)

Ricorre inoltre nei testi specialistici di medicina legale, in cui si riferisce, nel corpo dei cadaveri, ai segnali che indicano patologie, caratteristiche decisive per un’indagine: 

Per quanto riguarda l’enfisema, quello micro-bolloso già dopo 2-4 giorni va scomparendo; l’enfisema interstiziale, invece, permane lungamente sempre in zone limitate e prevalentemente sotto-pleuriche o peribrochiali; esso è repertabile ancora dopo 12 giorni. (Zacchia. Archivio di medicina legale, sociale e criminologica, 1941, p. 113)

L’aggettivo repertabile è molto frequente all’interno dei testi di medicina, senza più alcun riferimento al punto di repere e alla repertazione chirurgica, ma all’individuazione di sintomi, patologie ecc. in generale: 

La lesione più frequentemente repertabile nei soggetti con AKI o IRA parenchimale (si veda oltre) è la cosiddetta necrosi tubulare acuta (NTA). (Medicina interna sistematica, a cura di Claudio Rugarli, Edra, 2015)

Nello spazio pleurico è repertabile una quantità minima di fluido serioso (circa 5 ml), sintetizzato e riassorbito dal mesotelio di entrambe le pleure, che permette lo scorrimento dei polmoni sulla parete toracica e ne consente l’aderenza. [...] Segue uno stato di inerzia uterina, repertabile nella assenza assoluta delle contrazioni, ed un notevole rallentamento ed affievolimento del battito cardiaco fetale, che rendono necessaria la somministrazione di estratto pituitario posteriore [...]. (R. Larsen, T. Ziegenfuß, La respirazione artificiale, Berlin/Milan/New York, Spinger-Verlag, 1997, pp. 15, 307)

In questi casi il termine sembrerebbe significare ‘reperibile’ e alluderebbe alla possibilità di reperire, cioè trovare qualcosa: il fatto che in ambito medico si usino punto di repere e repertazione può aver portato a una confusione tra i verbi repertare / reperire e tra gli aggettivi derivati repertabile / reperibile. La confusione tra i significati ‘repertabile’ e ‘reperibile’ non avviene solo in ambito medico, ma anche in quello artistico, in cui a volte si aggiunge l’accezione di ‘repertoriabile’ (da repertorio > repertoriare > repertoriabile): 

Il dato più significativo di divergenza nell’opera dei due poeti è, a nostro giudizio, repertabile nel quantitativo linguistico romanesco: ancora forte in Zanazzo con tracce di lessico piccolo-borghese e popolare in Pettrich. (Rosangela Zoppi, La lingua di Roma: dialetto, proverbi e modi di dire, Roma, Gangemi, 2023, p. 62)

Ascoltando “Era de maggio”, capolavoro di Salvatore Di Giacomo che dovrebbe prima o poi diventare il nostro inno cittadino, a un certo punto l’innamorato dice alla sua bella: «Turnarraggio quanno tornano li rrose». È uno dei pochi casi repertabili di uso del futuro. (Marco Lombardi, Il futuro perduto dei napoletani, “la Repubblica”, 20/7/2005, ediz. Napoli, p. 1)

Evidentemente, questa preliminare classificazione è suscettibile di ampliamento, laddove estendibile a contesti ove queste categorie risultino insufficienti alla descrizione del patrimonio repertabile e peraltro ancora una volta esclude la rappresentazione delle sottocategorie. (Prospettive architettoniche, conservazione digitale, divulgazione e studio, a cura di Graziano Mario Valenti, vol. II, Roma, Sapienza Università Editrice, 2016, p. 224)

In definitiva, questi tre esempi ci dimostrano che l’aggettivo repertabile è stato coniato in diversi contesti autonomamente perché formato attraverso meccanismi propri della nostra lingua: la suffissazione, a una base verbale, del suffisso aggettivale -bile, che vale ‘che può essere PP’. Per ora, visto che il verbo repertare si riferisce a un’azione propria del diritto, della medicina legale e della medicina, anche l’aggettivo repertabile sembrerebbe essere concluso all’interno di questi ambiti specialistici, sebbene possa comparire in altri testi con il significato, improprio, di ‘reperibile’ e ‘repertoriabile’.


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